Decameron di Giovanni Boccaccio pagina 37

Testo di pubblico dominio

postami sopra uno de' lor cavalli, mi menarono a uno monastero di donne secondo la lor legge religiose; e quivi, che che essi dicessero, io fui da tutte benignissimamente ricevuta e onorata sempre, e con gran divozione con loro insieme ho poi servito a san Cresci in Valcava, a cui le femine di quel paese voglion molto bene. Ma poi che per alquanto tempo con loro dimorata fui, e già alquanta avendo della loro lingua apparata, domandandomi esse chi io fossi e donde, e io conoscendo là dove io era e temendo se il vero dicessi non fossi da lor cacciata sì come nemica della lor legge, risposi che io era figliuola d'un gran gentile uomo di Cipri, il quale mandandomene a marito in Creti, per fortuna quivi eravam corsi e rotti. E assai volte in assai cose, per tema di peggio, servai lor costumi: e domandata dalla maggiore di quelle donne, la quale esse appellan badessa, se in Cipri tornare me ne volessi, risposi che niuna cosa tanto disiderava. Ma essa, tenera del mio onore, mai a alcuna persona fidar non mi volle che verso Cipri venisse, se non, forse due mesi sono, venuti quivi certi buoni uomini di Francia con le loro donne, de' quali alcun parente v'era della badessa, e sentendo essa che in Ierusalem andavano a visitare il Sepolcro, dove colui cui tengono per Idio fu sepellito poi che da' giudei fu ucciso, allora mi raccomandò e pregogli che in Cipri a mio padre mi dovessero presentare. Quanto questi gentili uomini m'onorassono e lietamente mi ricevessero insieme con le lor donne lunga istoria sarebbe a raccontare. Saliti adunque sopra una nave, dopo più giorni pervenimmo a Baffa: e quivi veggendomi pervenire, né persona conoscendovi né sappiendo che dovermi dire a' gentili uomini che a mio padre mi volean presentare, secondo che loro era stato imposto dalla veneranda donna, m'apparecchiò Idio, al quale forse di me incresceva, sopra il lito Antigono in quella ora che noi a Baffa smontavamo; il quale io prestamente chiamai, e in nostra lingua, per non essere da' gentili uomini né dalle donne intesa, gli dissi che come figliuola mi ricevesse. Egli prestamente m'intese: e fattami la festa grande, quegli gentili uomini e quelle donne secondo la sua povera possibilità onorò, e me ne menò al re di Cipri, il quale con quello onore mi ricevette e qui a voi m'ha rimandata che mai per me raccontare non si potrebbe. Se altro a dir ci resta, Antigono, che molte volte da me ha questa mia fortuna udita, il racconti.” Antigono allora al soldano rivolto disse: “Signor mio, sì come ella m'ha più volte detto e come quegli gentili uomini con li quali venne mi dissero, v'ha raccontato. Solamente una parte v'ha lasciata a dire, la quale io stimo che, per ciò che bene non sta a lei di dirlo, l'abbia fatto: e questo è quanto quegli gentili uomini e donne, con li quali venne, dicessero della onesta vita la quale con le religiose donne aveva tenuta e della sua virtù e de' suoi laudevoli costumi, e delle lagrime e del pianto che fecero e le donne e gli uomini quando, a me restituitola, si partiron da lei. Delle quali cose se io volessi a pien dire ciò che essi mi dissero, non che il presente giorno ma la seguente notte non ci basterebbe: tanto solamente averne detto voglio che basti, che, secondo che le loro parole mostravano e quello ancora che io n'ho potuto vedere, voi vi potete vantare d'avere la più bella figliuola e la più onesta e la più valorosa che altro signore che oggi corona porti.” Di queste cose fece il soldano maravigliosissima festa e più volte pregò Idio che grazia gli concedesse di potere degni meriti rendere a chiunque avea la figliuola onorata, e massimamente al re di Cipri per cui onoratamente gli era stata rimandata: e appresso alquanti dì, fatti grandissimi doni apparecchiare a Antigono, al tornarsi in Cipri il licenziò, al re per lettere e per ispeziali ambasciadori grandissime grazie rendendo di ciò che fatto aveva alla figliuola. Appresso questo, volendo che quello che cominciato era avesse effetto, cioè che ella moglie fosse del re del Garbo, a lui ogni cosa significò, scrivendogli oltre a ciò che, se gli piacesse d'averla, per lei sì mandasse. Di ciò fece il re del Garbo gran festa: e, mandato onorevolmente per lei, lietamente la ricevette. E essa, che con otto uomini forse diecemilia volte giaciuta era, allato a lui si coricò per pulcella e fecegliele credere che così fosse; e reina con lui lietamente poi più tempo visse. E per ciò si disse: “Bocca basciata non perde ventura, anzi rinnuova come fa la luna.” 8 Il conte d'Anguersa, falsamente accusato, va in essilio; lascia due suoi figliuoli in diversi luoghi in Inghilterra; e egli, sconosciuto tornando di Scozia, lor truova in buono stato; va come ragazzo nello essercito del re di Francia, e riconosciuto innocente è nel primo stato ritornato. Sospirato fu molto dalle donne per li varii casi della bella donna: ma chi sa che cagione moveva que' sospiri? Forse v'eran di quelle che non meno per vaghezza di così spesse nozze che per pietà di colei sospiravano. Ma lasciando questo stare al presente, essendosi da loro riso per l'ultime parole da Panfilo dette e veggendo la reina in quelle la novella di lui esser finita, a Elissa rivolta impose che con una delle sue l'ordine seguitasse. La quale, lietamente faccendolo, incominciò: –Ampissimo campo è quello per lo quale noi oggi spaziando andiamo, né ce n'è alcuno che, non che uno aringo ma diece non ci potesse assai leggiermente correre, sì copioso l'ha fatto la fortuna delle sue nuove e gravi cose; e per ciò, vegnendo di quelle, che infinite sono, a raccontare alcuna, dico Che essendo lo 'mperio di Roma da' franceschi ne' tedeschi transportato, nacque tra l'una nazione e l'altra grandissima nimistà e acerba e continua guerra, per la quale, sì per difesa del suo paese e sì per l'offesa dell'altrui, il re di Francia e un suo figliuolo, con ogni sforzo del lor regno e appresso d'amici e di parenti che far poterono, ordinarono un grandissimo essercito per andare sopra i nemici. E avanti che a ciò procedessero, per non lasciare il regno senza governo, sentendo Gualtieri conte d'Anguersa gentile e savio uomo e molto loro fedele amico e servidore, e ancora che assai ammaestrato fosse nell'arte della guerra, per ciò che loro più alle dilicatezze atto che a quelle fatiche parea, lui in luogo di loro sopra tutto il governo del reame di Francia general vicario lasciarono, e andarono al lor cammino. Cominciò adunque Gualtieri e con senno e con ordine l'uficio commesso, sempre d'ogni cosa con la reina e con la nuora di lei conferendo; e benché sotto la sua custodia e giurisdizione lasciate fossero, nondimeno come sue donne e maggiori l'onorava. Era il detto Gualtieri del corpo bellissimo e d'età forse di quaranta anni, e tanto piacevole e costumato quanto alcuno altro gentile uomo il più esser potesse; e, oltre a tutto questo, era il più leggiadro e il più dilicato cavaliere che a quegli tempi si conoscesse e quegli che più della persona andava ornato. Ora avvenne che, essendo il re di Francia e il figliuolo nella guerra già detta, essendosi morta la donna di Gualtieri e a lui un figliuol maschio e una femina piccoli fanciulli rimasi di lei senza più, che costumando egli alla corte delle donne predette e con loro spesso parlando delle bisogne del regno, che la donna del figliuolo del re gli pose gli occhi addosso e, con grandissima affezione la persona di lui e' suoi costumi considerando, d'occulto amore ferventemente di lui s'accese; e sé giovane e fresca sentendo e lui senza alcuna donna, si pensò leggiermente doverle il suo disidero venir fatto, e pensando niuna cosa a ciò contrastare, se non vergogna, di manifestargliele dispose del tutto e quella cacciar via. E essendo un giorno sola e parendole tempo, quasi d'altre cose con lui ragionar volesse, per lui mandò. Il conte, il cui pensiero era molto lontano da quel della donna, senza alcuno indugio a lei andò; e postosi, come ella volle, con

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