L'amore che torna di Guido da Verona pagina 88

Testo di pubblico dominio

lontananza, e di vento e d'ombra una fredda solitudine. Sì, becchino, queste orgogliose parole non ti faccian sorridere. Provengon da un'oscura fede nella mia potenza, da un ingenito senso della mia diversità, la quale mi collocava, per una specie d'inerte potere, al di sopra della turba, e di là, senz'alcuna grandezza, guardavo tuttavia nel mondo come da un'altura. Poichè non la mia vita vissi, ma quella, forse dispregevole, del mio nemico interiore. Fa piano a depormi nel féretro, o scortese becchino!... Questo mio corpo che malamente scuoti, fu amato in verità e cosparso di carezze dalle calde labbra e dalle bianche mani di molte donne soavissime. Or queste si affaccian su l'orlo della cassa ove mi poni, e guardano. Ahimè! ricoprimi bene la faccia, ch'elle non mi vedano così bianco! Due più curve stanno, e, quasi più attente, cercano d'interrogare il silenzio, d'indovinare la morte. Una di gramaglie veste, ma l'altra è vestita di sole, perchè i suoi capelli conservano quel colore indefinibile dell'oro antico e del bronzo, che fascia il suo volto fermo in un velo di scintillante oscurità. Entrambe da me non seppero qual d'esse il mio sterile cuore abbia veramente amata. Ma ora, prima che il coperchio di piombo mi sia la più diuturna coltre, ora domandano con paura — (e non le odi tu forse?) — domandano: «Quale?» Becchino disattento, becchino privo di urbanità, poichè non posso io rispondere con le mie suggellate labbra, e tu per me rispondi: «Amò di voi la più lontana, quella che si chiamò «Perduta», quella che si adornò per lui d'un nome ancora più torbido, «Sconosciuta?...» Su la tua bocca odorosa di forte vino e di aspro tabacco, le belle frasi ch'io ti suggerisco parranno quasi una celia inconsapevole; ma tu non mutarne sillaba e fedelmente ripeti: «Amò di voi quella che parve al suo amore più vietata, sebbene quest'uomo che io seppellisco porti con sè nella fossa un cuore povero come la morte.» Ma se colei non t'ascolti che veste le gramaglie della vedova, e l'altra, nei chiari occhi, paia della mia morte pensosa, su questa cùrvati e dille, o buon seppellitore, ma furtivamente, all'orecchio dille, che soltanto lontani, oltre la rinunzia, dopo l'irreparabile, al di là dall'amore si ama; soltanto nella memoria, nella impossibilità si ama... A lei dillo, becchino, a lei sola... e che l'altra, la mia vedova, non oda. Perchè fino all'ultimo giorno ella mi conobbe ormai per un marito fedele, nè io vorrei farla soffrire in cambio del bene che mi diede. La sua dolce anima vegliava intorno alla mia tepida indolenza come la lampada funeraria veglierà fra poco sul marmo della mia sepoltura; nel mondo ella non ebbe altra gioia, se non quella di riscaldare con il suo àlito il mio stanco disutile cuore...» Ma perchè indugiarmi a discorrere con te, o becchino che mi sei ancor distante, quando la vita è tuttora bella, ed in queste giornate di sole Roma splende, quasi fosse un mosaico di gioielli, e sembra tuttavia la città miracolosa dove il destino d'un uomo, la sua giovinezza, i suoi liberi sogni possono ad ogni giorno rifiorire? Orsù amici! Sono ancora quel patrizio romano che vi stupiva con le sue liberalità; ho ancora banchetti sontuosi da offrire all'ingordigia dei parassiti, lucenti sale da schiudere agli ozi delle mie clientele; ho ancora eleganze da insegnare, denaro da spendere, ottimi cavalli da cavalcare, magnifici cocchi sui quali trascinarvi nei viali delle profumate ville romane, mentre lontano, al vento, si disperderà in un leggero nembo di polvere il confuso rumor d'applausi e l'ira delle attonite platee... La casa Guelfo ha riscattata la signoria che i suoi maggiori le avevan tramandata per secoli di splendore; sul pennone di Torre Guelfa sventola il vessillo antico signoreggiando l'aria verso il monte e verso il mare. Il feudo è risorto; le terre, libere d'ogni gravezza, ricomperate o rivendicate, biondeggiano di folte messi e maturano vigne al sole; ancora, quando passo, calco la terra mia. E perchè non perisca il mio nome — la cosa più bella che portai, — da due anni aspetto con impazienza l'erede. La buona sorte, mia fedele amica, mi ha dunque tutto recato, anche — bisogna credere — la felicità. Solo, di quando in quando, nelle ore di solitudine, viene a sedermi sulle ginocchia una piccola sconosciuta, e mi butta le braccia intorno al collo, rovesciando la sua testolina bionda, e parla, e parla, e sorride, la mia bambina di laggiù... Allora sorgo in fretta, faccio attaccare a quattro redini la pariglia saura con i morelli di tre balzane, ed esco guidando la quadriglia, che scalpita per l'acciottolato. Su l'arco del palazzo Laurenzano splende l'arma dei Guelfo di Materdomini; ed il suo motto dice: «Placet, si vis, Domine.»

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Argomenti: colore indefinibile,    dolce anima,    ingenito senso,    volto fermo,    sterile cuore

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