L'amore che torna di Guido da Verona pagina 83

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resto, eravamo fidanzati; e poi, una volta... ma Dio buono, perchè me lo vuoi far dire?... è una sciocchezza! — Bene, dilla. — Una volta, insomma, ero più ricco! Adesso mi pare... — Oh, come sei ruvido! Perchè dici queste cose? Vedi, sei tu che mi offendi! Lasciò cadere il gomito che la reggeva e nascose la fronte contro la mia spalla. Dagli interstizi delle tendine filtravano lame di sole, polverose. — Sei sempre lo stesso! — continuò. — Chi pensa a queste cose facendo un regalo? Certo non te l'avrei potuto comperare, perchè se ne sarebbero forse avveduti; ma lo avevo; era un gioiello che tenevo caro, e per questo appunto mi piace che lo abbi tu. Te l'ho fatto solamente rilegare. Vedi, e sapevo bene la misura del tuo dito. Hai l'anulare appena un poco più grosso del mio póllice... Senti: rimane mio, se vuoi, ma pórtalo tu, sii buono! E le sue labbra mi passavano sotto la gola, su la bocca, su la fronte, con soavità. Una sottana di seta, su la spalliera d'una seggiola, percossa da una freccia di sole mandava sprazzi irridescenti, come fosse d'oro. — Che bimba! che bimba! — esclamai, carezzandole i capelli. — Ecco, — ella disse con voce addolorata, — invece di farti piacere, ti ho reso triste... Che brutto carattere hai! Non si può dunque farti un regalo? E sono certa che se domani, per esempio, tu avessi un fastidio qualsiasi, andresti chissà da chi piuttosto che dirlo a me. — Oh, questo poi è naturale! — esclamai ridendo. — Ecco: è naturale!... Vedi come parli tu! Mi ricinse con le braccia, si fece piccola piccola, vicina vicina, e mi disse: — Purtroppo tu non riesci a comprendere ch'io voglio confondere la mia vita nella tua, quasi non esistesse fra noi alcuna differenza. Non devi per me avere secreti! Tu ed io, io e te, fa lo stesso; nessuna paura ci deve mai dividere. Qualsiasi cosa m'accada, io te la racconto, e te la racconterò sempre; tu invece ti nascondi. Perchè? Certo perchè mi consideri come tutte le altre amanti che hai avute; non come l'amante unica, vera, quella che può sapere tutto. Ed il sole era venuto fin sul letto, le dorava una gamba ignuda, guizzando sul raso del copripiedi. — Ma non ti nascondo nulla, — osservai. — Non mi è possibile amarti più intensamente. — Allora, poniamo un caso. Se tu, domani, avessi bisogno di denaro — via, non irritarti, perchè ho detto poniamo un caso... — dunque, se domani tu avessi bisogno di denaro, lo diresti a me? permetteresti a me di aiutarti?... No, è vero? — Certamente no, — feci con un sorriso. — Ecco, ed invece io non voglio! Pretendo che tu me lo dica sùbito, perchè, se domani, per esempio, ne avessi bisogno io, te lo direi sùbito. — Ma è un'altra cosa. — Come un'altra? No, è la stessa, identicamente la stessa! Tu, vedi, non arrivi a pensare come penso io, a volermi bene come te ne voglio io. Tutto è lecito fra noi, perchè io sono la stessa cosa di te, tu di me... comprendi? — Sì, amore, però non bisogna che io dimentichi... — Invece bisogna dimenticare tutto! Quello che gli altri fanno, o pensano, è fuori di noi. Dobbiamo essere al di là da tutte le convenzioni, e solo amandomi come ti amo lo potrai comprendere. La mia gioia più grande è quella di poter indovinare un tuo desiderio: se me la neghi mi fai male. — Dunque non parliamone più! Tengo l'anello e vi farò incidere la data di questo giorno. — Sì, mio amore... E si abbandonò sul letto, impudica ed innocente, nel tremore dei sensi che riaccendeva la sua giovinezza. Il copripiedi soffice, di bella seta chermisi, spiumava da invisibili scuciture ad ogni moto che si facesse, e tanti piccoli fili, colore della luce, lievi come una polvere di seta, navigavano via, piano piano, salendo nel raggio di sole. — Mi sento così felice... — mormorò, — troppo felice!... — Oh, se la vita potesse tutta somigliare a queste ore che fuggono!... — Forse non dipende che da noi, — le risposi. — Da noi, e da troppe altre cose. Io, vedi, non ho ancora provata la gioia di vivere con te un intero giorno, da un'alba fino all'altra. E poi un giorno è poco! Un mese, vorrei, un anno... sempre! Come invidio le donne che son libere, che possono darsi al proprio amore senza nessun impedimento! Qualche volta sogno che tu potresti portarmi via, con te, in un altro paese, dove nessuno riuscisse mai a ritrovarci... Dopo tutto, che importa il resto? Non ho che te, amo te solo. E non puoi credere com'io senta il bisogno di occupare tutta la tua vita, d'investigare, di conoscere... Le cose meno importanti son quelle che più mi fanno sentire questa mancanza di libertà. — Ed aggrappandosi a me con un fervido impeto: — Rispóndimi dunque: mi vuoi bene davvero? — Sì, amore lo sai. — Molto? — Infinitamente. — Sino a quando? — Fino a sempre. — E, dimmi, dimmi una cosa! Non pensi più a... nessuno? — Bambina che sei!... Penso a te, a te sola. — Questo lo dicevi anche allora, poi... — Ma è stata un'aberrazione, come ti ripeto ancora. I nervi e nulla più. — Già... i nervi, tu li fai servire a tutto! Sollevata sui gomiti, s'empì le mani de' suoi capelli sciolti e mi fasciò la gola. — Scommetto, — prese a dire, fra scherzosa e titubante, — che vi pensi ancora un poco... — Nemmeno per sogno, mai. — Qualche volta sì però... senza volerlo... Dimmi la verità! — Ma no, amore: ho dimenticato assolutamente. — Giùralo!... cioè è inutile, perchè i tuoi giuramenti non contano. — Se vuoi, te lo giuro. — E, dimmi: quando le volevi bene, le volevi bene più che a me? — Non ho mai amato come ti amo. — Ma era più bella, però... — Era diversa. — Cioè, come? bionda? — Sì, bionda. — Grande? — Un poco più di te. — Con gli occhi azzurri? — Mi fai sempre le stesse domande!... — Non importa, rispondi: che occhi aveva? — Scuri. — Allora ti piaceva più di me! — Amore, mi fai ridere! Se mi fosse piaciuta sarei dunque rimasto con lei. — Non hai un suo ritratto? — Me li hai fatti bruciare tu. — Ma certo ne avrai altri, nascosti... — No. — Giùralo... cioè... bene: giura lo stesso. — Te lo giuro. — Ed io non ti credo! Bada!... Vorrei venire una volta nella tua casa... Chissà quante cose nascoste vi sono!... — Eh!... una quantità! — Però lei ti scrive... — Non una lettera, non una sola. — Che fa? — Lo ignoro. Nella camera gonfia d'estate filtrava un pallor di crepuscolo, denso di luminose ombre; le cicale a poco a poco affievolivano il loro canto; i galli rumorosi empivano di chiacchierate il cortile. Un poco d'oscurità le si raccolse nel viso affaticato; aveva i seni erti, la gola bianca, e l'amavo. IX Tre giorni appresso, lasciata Edoarda poco dopo le cinque del pomeriggio, m'affrettai verso casa, dove sapevo che il d'Hermòs sarebbe venuto a salutarmi, dovendo egli nella serata ripartire per Milano e Parigi. Lo trovai difatti che m'aspettava su la terrazza, fumando. — Sono in ritardo; scusa. È molto che sei qui? — Dieci minuti appena. — E parti proprio stasera? — Sì, alle otto e quaranta. — Allora, senti: mi cambio in cinque minuti e vengo a pranzo con te. — Non voglio che ti disturbi; tu non sei uso a pranzare così presto. — Che importa? Ho quasi fame. Vieni di là, così non perdo tempo. Ludovico mi aveva tutto apparecchiato, e mi spogliai rapidamente. — Dunque, — disse il d'Hermòs, — prima che si parli d'altro, ricordati che ho la tua promessa per la fine d'Agosto. — Puoi contarvi. Nell'ultima settimana d'Agosto verrò ad incontrarti ove sarai, e passeremo un mesetto insieme. Edoarda in quel tempo sarebbe stata in viaggio col marito e, senza dubbio, con il Capuano. — Guai a te se manchi di parola! — Se mancassi... al diavolo queste camìce stirate così male!... dunque, se mancassi, ti do il diritto di venirmi a prendere con la forza. Ludovico! Ludovico! — Via! non ti affannare così. Abbiamo tutto il tempo necessario. E, dimmi: per Elena

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