L'amore che torna di Guido da Verona pagina 46

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dovrai, dopo, raccontarmi ogni cosa. — Non c'è più nulla che tu non sappia. Il resto è vero è tutto vero, fuorchè una sola bugia... — Quale? — Sì: quel certo Schillenheim, quell'ufficiale austriaco... ti ricordi? — Sì. — Bene: quello non è stato mio amante... — Ah? E perchè me lo hai detto allora? — Chissà? Forse perchè c'è andato vicino... E siccome uno ci voleva, ho preferito questo a quello. Per te in fondo era lo stesso, e per me... anche! La fissai negli occhi attentamente, come per scrutarla fin nell'anima oscura; ma quegli occhi erano troppo splendenti perchè si potesse guardarvi nel fondo. Poi, che importava? Era così dolce il crederle, così angoscioso il dubitare... — Vieni... — le dissi traendola. — No, aspetta. — Che fai? — Apriamo la finestra: è l'aurora! Nell'aria fresca del mattino un raggio di pallido sole dorava i suoi capelli disciolti. V Come sdebitarmi ora con Yvonne Tellier? Il denaro vinto a quel modo mi dava una specie di molestia, e, nonostante il suo divieto, provavo da un lato il bisogno di renderlo sotto una forma qualsiasi, dall'altro il rincrescimento di privarmene in quell'ora di penosissima carestia. Pensai ad un ripiego elegante: un gran cesto d'orchidee, che potesse costare mille lire almeno... Le orchidee, per fortuna, costano quanto si vuole. Uscii prima del mezzogiorno per andare dal fioraio. Ma, strada facendo, nel meditare tristemente ai casi miei, venni a concludere che mille lire d'orchidee per una Yvonne qualsiasi erano forse troppe... In questo pensiero la mia decadenza era palese. — In fondo, — ragionai per consolarmi, — questa liberalità potrebbe anche parere una ostentazione di pessimo gusto. Così, vestendo l'idea del risparmio con pretesti eleganti, allorchè giunsi al negozio, invece di mille lire ne spesi quattrocento, e mi parve che a Parigi le orchidee si pagassero care assai. Pur troppo mi sentivo già orrendamente borghese: avevo sempre la mente piena di cifre, ed il lusso che vedevo intorno mi dava una stretta al cuore. Nonostante la nostra vita di parsimonie, molte spese andavano accumulandosi, facilitate assai dal credito dei negozianti, che memori del mio tempo migliore non dubitavano affatto della mia solvibilità. In fondo non ne dubitavo io stesso, parendomi oltremodo impossibile che la buona stella non volesse un'altra volta splendere tra le confuse ombre del mio cammino. Per tutto il pomeriggio restai nel dubbio se andare o non andare da Yvonne; poi mi parve scortesia mancare la visita promessa, e vinto insieme dalla curiosità risolsi di andarvi. M'accolse in una stanza ingombra di molti oggetti femminili, libri e ninnoli, ritratti e cesti da lavoro, una stanza che pur essendo arredata con i mobili di uno studiolo aveva in sè qualcosa di più intimo, poichè filtrava in essa il profumo dello spogliatoio vicino. Le mie grandi orchidee, poste in un angolo, trascoloravano in mille tinte irreali, variando nella luce tenue. Yvonne portava una vestaglia scollata, quasi fluida per la delicatezza del colore. — Siete sola? — domandai, entrando. — Sola e vi aspettavo. Vi aspettavo guardando i vostri bellissimi fiori. Amo le orchidee perchè sembrano il fiore del tormento, il fiore dell'impossibilità. Vi ringrazio. E senza levarsi dalla poltrona mi tese una mano bianchissima, che si era come liberata dal suo carico d'anelli e portava solo, nell'anulare, un rubino di straordinaria bellezza. — Credevo, — mi disse con una indolenza studiata, — credevo che non sareste venuto. — Oh, perchè? — So che non siete libero... — Ma questo non importa! Non sono libero per tutte le altre; per voi sì. — Ditemi una cosa, — ella domandò improvvisamente. — Come avete conosciuto Elia d'Hermòs? Certo la sua domanda non era oziosa. — Lo conobbi, — risposi — alcuni anni or sono, a Chantilly, fra una corsa e l'altra. Si avevano molti amici comuni. Poi lo rividi a Nizza ed ora soltanto siamo entrati in maggiore intimità. — Elia d'Hermòs ha una predilezione per voi. — Si direbbe. Od almeno vuol farmelo credere. Ella sorrise in un suo modo finissimo, e parve cercare una risposta. — E' un uomo — disse — che non fa mai nulla per nulla. — Me ne sono accorto. Ma questo non mi turba. E' un uomo che mi diverte: non voglio sapere altro. — Allora vi confesserò che sono più curiosa di voi, forse perchè conosco tanto bene il d'Hermòs da non poter supporre ch'egli si dia la pena di divertire alcuno... impunemente. — Bah!... — feci; impunemente o no, sono convinto ch'egli non mi possa nuocere in alcun modo. — Allora perdonate la mia curiosità. — Anzi, la trovo naturale. Mi sembra tuttavia che il d'Hermòs non sia troppo nelle vostre grazie... — Infatti egli ebbe il torto di credersi un padrone con me, come si crede con tutte. Questo non glielo perdonerò mai. Un sorriso pieno d'ironia crudele orlava la sua bocca; e soggiunse: — Gli avete parlato già di questa visita? — No davvero! Non mi è sembrato necessario. — Di fatti non lo è. — Ma dite, Yvonne: continueremo per un pezzo a discorrere di lui? Non mi sembra che ne valga la pena. E sapete pure che non sono venuto per questo. — Per cosa dunque? — mi domandò con un sorriso pieno d'innocenza. — Piuttosto per parlare di voi... per dirvi che dall'altra sera mi perseguitate... — Oh... che stranezza! Sappiate una cosa: io detesto gli uomini gentili. — Non lo sono affatto: vi dico la verità. — Allora, se volete farmi una dichiarazione d'amore, fatela sùbito, e non pensiamoci più! — Volentieri, piccola Yvonne. Sono venuto per questo. — Per parlarmi d'amore? — Ma certo. È forse ancora ciò che rimane di meglio a fare tra l'uomo e la donna. — Cosa? il parlarne? — Bisogna pur sempre cominciare così... È il preludio necessario. Ella intrecciò le dita insieme, stirando le braccia pigre come per scuotersi da un torpore. — Ma non siete un uomo fedele voi? — Fedeltà, infedeltà... cosa vogliono mai dire queste due parole troppo letterarie, che gli amanti ripetono senza tregua per riuscire a darsi qualche tormento. Appartenere ad una sola quando un'altra vi piaccia, non vuol dire, mi sembra, esser fedele. È più turpe confondere due donne insieme in uno stesso desiderio che domandare a ciascuna, separatamente, una diversa gioia. La nostra sensibilità è come un'arpa, estesa e delicata: non si può con una mano sola farne vibrare tutte le corde... — Oh, l'arpa!... — ella esclamò ridendo, — lasciatela stare! — Vi pare che la mia similitudine non regga? — Non regge. — Peccato! Cerchiamone un'altra. — No, non importa: ho capito già. Una pausa lunga, ridendo entrambi a fior di labbro. — Ebbene, cosa dite? — ella fece, un po' distratta. — Cosa dico? Nulla. Pensavo. — A che? — Pensavo che la mia dichiarazione si è troncata nel mezzo. — Ebbene, credevate forse di farmene una con quell'arpa delicata e con la mano che non può... — Visto che si deve parlare, una cosa val l'altra, non vi pare? — No, vi sono cose che valgono meglio. — Sì, un bacio, per esempio, se volete lasciarvelo dare. Per piegarmi verso la sua bocca m'inginocchiai sul tappeto. — Andiamo... — ella esclamo torcendo il capo; — non fate sciocchezze! — Sarebbe una sciocchezza non farlo, vi pare? — No, affatto! — Avete un profumo che mi turba... — Sì? Lo compero da Houbigant; venti lire la boccetta. Come vedete il prezzo è ragionevole. — Per carità! Non è di quel profumo che parlo. — Davvero? Allora non saprei... E più che il profumo ancora, mi turbava il contatto del suo corpo fragile. — Ma sì, ne avete un altro, un altro senza nome, indefinibile... Perchè non portate il busto? — Non lo porto mai; forse non mi è necessario... su, lasciatemi stare! E mi puntò le due braccia contro le spalle, per tentare di respingermi. Le maniche ampie della vestaglia scoprivano le sue braccia venate; s'indovinava il buio tepore

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