L'amore che torna di Guido da Verona pagina 18

Testo di pubblico dominio

grande letto avete! Infatti nella casa della provvida signora Gräfe i letti erano vasti assai. L'Hohenfels, con la fronte accesa, le venne vicino e cominciò a parlare ambiguamente, carezzandole un braccio. Intimidita, ella fece un movimento brusco, si ritrasse fino alla soglia ed uscì. — Che avete? Vi faccio paura? — egli domandò ridendo. — No... ma, sapete, sono gelosissima della mia camera; non mi piace che nessuno vi entri. E fu tutto per quella sera. Dopo alcune settimane l'Hohenfels le annunziò che l'amico parigino, un certo Ernest Duvally, era giunto, ch'era informato già d'ogni cosa e desiderava solamente conoscerla. Per questo era opportuno ch'ell'andasse a pranzo da lui, dove lo avrebbe incontrato quella sera stessa. Il Duvally approvò con fervore l'idea di farne un'attrice; spiegò ad Elena qual fosse la più rapida via per iniziarsi a quell'arte, anzi promise di guidarla egli stesso nei difficili esordi parigini, mentre si riprometteva di farle ottenere un'ammissione immediata su le scene, tosto che avesse compiuti gli studi necessari. La repentina felicità tratteneva Elena da ulteriori considerazioni. D'altronde non temeva l'uomo, e l'ebbrezza di poter riuscire valeva ogni rischio. Con Mathias tenne secreta la sua decisione per non affliggerlo sino all'ora della partenza. Egli non era venuto una sola volta nella sua casa, e quand'Elena gli domandò la ragione di questo suo riserbo egli rispose in modo evasivo, cercando pretesti, poi confessandole che tutta quella casa, ed in particolar modo la signora Gräfe, non gli piacevano affatto. Ma Elena ormai non viveva più che per la sua nuova speranza. Quel Duvally era un uomo giocondo, garbato, salace, ricco di aneddoti; la corteggiava in modo amabile, con quella galanteria francese che piace alla donna, poichè la lusinga nella sua femminilità. Era inoltre un bell'uomo, con la bocca fresca, il labbro raso, i denti minuti e bianchissimi. — Sapete, — le aveva detto un giorno, parlandole dell'Hohenfels, — questo Gambrinus è buono per cominciare. Ma poi ci vuole di meglio! D'altronde che bisogno avete di lui? Quando vi sarete risolta, basterà scrivermi una parola. E con lui non era possibile offendersi, perchè aveva sempre una trovata spiritosa, una celia bizzarra, e pareva non ammettere alcun valore a coteste sue frasi. Egli diceva inoltre: — Avete anche un pittore che vi fa il ritratto? Nulla di più opportuno. Bisognerà farvelo dare, perchè un bel quadro non è l'ultimo argomento di buon successo per un'attrice bella. Solo, mi raccomando, non troppo vestito, per Parigi... I pittori, qui, amano la stoffa; noi amiamo il nudo. Contraddizioni di razza, diversità di scuola: ecco tutto! E partì su questa mezza intesa, mentre l'Hohenfels per proprio conto credeva prossimo il trionfo della sua laboriosa pazienza. Fu la signora Gräfe ad annunziarle una sera, di punto in bianco, che l'Hohenfels le aveva dato incarico di condurla da una buona sarta, perch'ella si comandasse in tempo tutti gli abiti che occorrevano prima della imminente loro partenza. Elena fece le sue maggiori maraviglie. — Capirai, — le spiegò la Gräfe, — dovendo vivere a Parigi con un signore come l'Hohenfels, i tuoi abiti non sono abbastanza eleganti. — Dovendo vivere?... con chi? — Elena interruppe, dando in uno scoppio di riso. — No, no! Ringraziatelo pure, ma ditegli che alla sarta provvedo io stessa! Credo, in verità, che ci siamo intesi male... Questa volta la signora Gräfe perdette la pazienza. — Ma senti, bambina mia, — le disse, — che intenzioni hai finalmente? Perchè qui si tratta di venirne in chiaro! E nel suo gergo fiorito prese a magnificarle tutte le delicate cortesie dell'Hohenfels, i sacrifizi, anche di denaro, ch'egli faceva per lei, non volendo che «la si andasse a rovinar la salute nelle stamberghe umide, tra i filosofi ed i cenciaiuoli dei quarti piani». — Te ne faccio la confidenza, ma non lo dire a lui, per l'amore di Dio!... per l'amore di Dio! — le andava ripetendo ad ogni tratto. Allora Elena ebbe uno scatto di vergogna e d'ira, dolendosi per quel denaro che non poteva sùbito rendere all'obliquo insidiatore. La mattina seguente lasciava quella casa, prima che l'Hohenfels avesse il tempo di rivederla. Qualche giorno dopo, recandosi a visitare Mathias, egli, che ormai le parlava con un triste riserbo, le porse una lettera dicendo: — È venuto ieri da me un domestico e mi ha lasciata questa lettera per voi. Diceva di non conoscere il vostro nuovo indirizzo, ed anzi me lo domandò. Io credetti bene di rispondere che non lo sapevo. E si rivolse alla sua tela, in silenzio. Povero Mathias!... Com'egli la guardò, quand'ella gli ebbe raccontata quella storia! Perchè non avergliene parlato prima? Egli vedeva il male, ma non osava darle consigli, poichè gli sembrava ch'ella non volesse più considerarsi come una vera sorella per lui. E sùbito le offerse il denaro da rendere a quell'uomo. — Grazie, Mathias, ma non voglio. Egli è ricco, voi no. — Che importa, visto che ve lo posso dare? — Ve ne ringrazio di tutto cuore, ma non voglio. Lo renderò io stessa quando potrò. D'altronde il piacere che egli ebbe nel desiderarmi vale assai più di quanto ha speso. Mathias non potè trattenersi dall'osservarle che questa frase non era degna di lei. — Che volete mai? Fra queste indegnità s'impara finalmente cosa la nostra bellezza vale! Il quadro intanto appariva ogni giorno più maraviglioso, ed il pittore si dimenticava davanti alla sua tela. Una volta Elena gli domandò: — Quando sarà finito il mio quadro? — Mai, — rispose Mathias, con tristezza. — Questi quadri non si finiscono mai. Ogni giorno viene un pensiero nuovo, perchè ad essi manca sempre qualcosa. — E cosa? — Non so, — egli disse, turbandosi; — la vita, forse, per essere come voi. Elena chinò la faccia. — Non lo esporrete, Mathias? — No. Il quadro mi appartiene. Vi ho dipinta per avervi con me quando andrete via. — Credete ch'io partirò di nuovo? — Lo credo; sì, lo credo. Anzi m'immagino che vi pensiate ogni giorno. Voi avete il destino degli erranti e non potete far altro che passare. — È così, Mathias. Forse andrò via di fatti... Aveva pochissime lezioni a quel tempo. Era il finir dell'estate; molte allieve indugiavano ancora nei luoghi di cura e di campagna. Faceva un calore insopportabile nelle vie di Berlino ed Elena si annoiava mortalmente. Un giorno, con una risoluzione subitanea, scrisse al Duvally. Scrisse una lettera evasiva, raccontandogli ad un dipresso com'erano andate le cose con l'Hohenfels. Questi non tardò a rispondere, dicendo fra l'altro che, tempo addietro, egli pure le aveva scritto, ma senza ottener risposta. Ed Elena comprese che la lettera doveva essere caduta nelle mani dell'Hohenfels per mezzo della signora Gräfe. Il Duvally la incitava inoltre a perseverare ne' suoi propositi, e soggiungeva che presto avrebbe avuta occasione di recarsi a Francoforte. Perchè dunque non si vedrebbero? S'ella consentisse, avrebbe allungato il viaggio fino a Berlino per venirla a prendere, poi sarebbero tornati a Parigi insieme. — Ora, come rispondergli? Certo nelle parole della ineffabile signora Gräfe c'era qualcosa di estremamente logico, di estremamente vero... Perchè sprecare la vita così? Era giovine, bella, desiderosa di vivere, l'avvenire poteva serbare per lei molte fortune imprevedibili. Tutta una sera ella rimase nella sua camera a sognare. Si guardò le mani: erano piccole, delicate, bianche... Certo si sarebbero sciupate, fra qualche anno, a forza di scribacchiar manoscritti e dover talvolta prepararsi la cucina da sè. Peccato! Si guardò anche nello specchio, attentamente, come non si era guardata mai. Sorrise a quel sorriso che dallo specchio la guardava. Si sciolse i capelli, e vide scendere una pioggia d'oro, di quell'oro delle medaglie antiche, trovate negli scavi, simile quasi al bronzo. Vi passò dentro le mani, a lungo,

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Argomenti: bel quadro,    grande letto,    galanteria francese,    calore insopportabile,    ineffabile signora

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