L'amore che torna di Guido da Verona pagina 69

Testo di pubblico dominio

Quand'ebbero servite le frutte, mi levai rapidamente, afferrandole un polso con un gesto febbrile. — Dimmi!... — esclamai, — ne ami un altro? Sei stata d'un altro?... La verità! — E se fosse? — ella domandò placidamente, con un sorriso negli occhi limpidi. — Rispóndimi! — la esortai duramente. Un cameriere, entrando, m'interruppe. Allora detti ordine che sparecchiassero, e, quand'ebbero finito: — Vi chiamerò, se occorre, — soggiunsi. Restammo soli. Ella non si era mossa, non aveva detta una parola. Io stavo sul divano ch'era contro la parete; lo specchio di fronte mi rimandava l'immagine della mia faccia turbata. Ella prese a carezzare i fiori che non avevan tolti dal mezzo della tavola ed a giocare con il tovagliolo annodato al collo della bottiglia di Sciampagna. Ad ogni scossa il ghiaccio crepitava, sciacquando, fra il vetro della bottiglia ed il vassoio che la conteneva. — Elena, — la pregai con dolcezza, — vieni a sedere qui. — Che vuoi? — Vieni, sii buona... Ella sorse in piedi; andò a guardarsi nello specchio, si tolse uno spillone dal cappello, ve lo rimise; fece il più largo, più lento giro che potè, e venne a sedermi vicino. Mise un ginocchio su l'altro e con le mani congiunte lo ricinse. Io passai un braccio sotto il suo braccio e l'attrassi dolcemente. — Rispóndimi dunque. Sei stata d'un altro? Dimmi la verità. — Non ancora, — ella rispose con una voce pacata. — Ah... vedi! — esclamai giubilando. — ... ma lo sarò, — aggiunse tosto con la medesima voce fredda. — Mia sarai! mia! — l'interruppi con ardore, come per cancellare la sua risposta. Ella volse il capo lentamente ed i suoi occhi m'investirono con uno sguardo che mi colpì come una staffilata. Poi fece con le labbra un atto rapido, in cui le scintillarono i denti, e fu quasi uno scherno, quasi un sorriso. — Senti... — esclamò con gioia crudele, — nemmeno se dovessi morirne! — Elena! — Ti ripeto: nemmeno se dovessi morirne! — E con la mano e con la voce scandiva il cadere di queste parole sorde, pesanti, che in me andavano scavando un profondo solco di dolore. Sentii qualcosa di vivo schiantarmisi nel petto, e mi pareva che una rovina immensa precipitasse nel mio freddo spirito. Allora, con un movimento quasi felino, ella si levò e mi venne di fronte. — Ah, tu hai creduto, — ella disse, un po' curva, un po' arrossata — che potrei di nuovo appartenerti qualora tu lo volessi? Hai creduto che anch'io, come tutto quello ch'è passato nelle tue mani, fossi un piccolo gingillo da potersi lasciare o prendere a tuo piacimento? Ebbene, Germano, ti sei ingannato! Senti, voglio dirti una cosa.. Quell'ultima sera, te ne ricordi? quand'io t'ho accompagnato alla stazione, quando ci siamo abbracciati, ed anzi quando già eri nel treno, ancora non credevo che tu potessi partire... Invece sei partito, ed è stata la fine. — Ma io... — Non dire nulla, non dire nulla... che vuoi? parole! Me ne hai dette tante! Oh, c'è stato un tempo nel quale avresti potuto fare di me quello che volevi! Ero tua. Sei stato il solo uomo che abbia mai amato, e siccome è l'ultima volta che ci parliamo, lo puoi anche sapere. Le caddero due lacrime dagli occhi, ed ansava. Mi levai, freddo sin nell'anima, e poichè non trovavo parole, cercai di afferrarla; fui rude. — No, lásciami e ascolta. Non è tutto ancora. Io, che sono stata sempre una donna calma e cattiva, per te avrei fatta qualsiasi cosa... mi sarei anche venduta per farti ricco, se tu mi avessi amata lo stesso. Ti ho nascosta la mia vita — e non lo sai oggi come non lo sapevi allora — per un capriccio bizzarro, ed anche perchè mi piaceva di avere qualcosa in me stessa che non fosse in tuo pieno dominio. Ma vedevo intanto ch'eri un uomo incapace di amare, che ti allontanavi da me, rimpiangendo la tua vita passata e la ricchezza che un'altra ti poteva dare. Non sono di quelle che si umiliano e ti ho resa la tua libertà. Solo, da quel momento, sono tornata l'avventuriera che fui sempre. Non so se ti amo ancora o se ti odio, il che forse, ad un certo punto, è lo stesso; ma sicuramente non mi avrai più, nemmeno se ti mettessi a ginocchi, nemmeno se dovessi disperarmene anch'io... Ma non temere: sono forte! E rideva e piangeva, d'un riso e d'un pianto convulsi. Io, che l'avevo ascoltata, con la faccia nascosta fra le mani, atterrito e folle, tentai tutte le persuasioni: la preghiera, lo scherno, la minaccia, la violenza... e tutto fu invano. La vidi correre all'uscio per sfuggirmi... allora mi dominai. — Bada, — ella disse, — mi devi rispettare almeno come uomo, tu, che come amante non mi hai risparmiata. — Elena, io non t'ho fatto mai alcun male. — Ah, credi? Lo credi, perchè tacevo? perchè la mia fierezza m'impediva di mostrarti quanto soffrissi? Ma senti... senti... — e mi venne contro, mi afferrò per le braccia, mi scosse. — Dimmi dunque! tu, che ne parli tanto, sai cosa vuol dire... Ma poi no! che serve? — E si mise a ridere d'un riso che le torceva la bocca. Sedette, si levò; mi venne vicino, tornò via; prese dal mezzo della tavola, fuor dal vassoio, la bottiglia gocciolante, ne versò un bicchiere colmo fino all'orlo, e ridendo lo vuotò d'un fiato, come per inebbriarsi. Di quel momento non ricordo più nulla, se non la specie d'annientamento che mi gravava su l'anima, interrompendomi tutte le facoltà. L'amore mio si prosternava dinanzi a lei, ch'era la più crudele e la più forte. — Senti, — le chiesi fuor di me stesso, dopo un lungo silenzio, — cosa vuoi ch'io faccia? Che mi umilii ancor più? che ti chieda perdono a ginocchi? Trovami dunque un pentimento che ti basti! cerca una vendetta che ti possa contentare!... Elena, vuoi vedermi pazzo? Stava seduta presso la tavola, e tenendo il braccio alzato fissava contro luce il suo bicchiere vuoto; un cerchio di splendore, fermo, saettando fuor dal vetro, le batteva sul polso nudo e luccicava come una medaglia. S'era tolta il cappello, alcune ciocche scomposte le ingombravano la fronte. Guardandola, mi ricordavo con una sensazione terribilmente chiara il sapore che avevano le sue labbra nei baci d'amore; qualcosa di lei passava traverso le mie vene prodigandomi una molteplice carezza. — Elena!... — le gridai forte. — Elena! Ella si scosse con un brivido repentino, come risvegliata nel mezzo d'un sogno, poi lentamente, con stanchezza, mi tese una mano. E mentre voleva sorridere, la testa le cadde giù, su la tavola, di schianto. Mormorava: — Tatto quello che tu soffri, è nulla... è nulla! Io ho fatto di più! — Che hai fatto? che hai fatto? — Io, — balbettò — io, quando tu partivi, ero incinta già di tre mesi... e non volevo dirtelo mai! Ora è nata... una bimba, la nostra bimba... e si chiama Evelyn... Qualcosa mi passò nell'anima che non ha parola: tenerezza e paura, smarrimento e gioia, riconoscenza e vergogna. Se è possibile amare al di là dell'amore, in quel momento l'amai. — Evelyn... — balbettavo, — Evelyn... Un rumor sordo e vuoto mi turbinava nel cervello, come un ammulinar di vento. Non potendo far altro, la sollevai nelle braccia e la feci sedere su le mie ginocchia; ella mi rovesciò il capo sovra una spalla e pianse tutte le lacrime che portava suggellate nel cuore. — Dov'è?... dov'è?... — chiesi. — Lontana da noi, lontana di qui, Germano... Ma non cercarla: è solamente mia. Per lei mi sono già venduta e per lei non ti posso appartenere più. Voglio farle una vita bella... non come la mia, non come la nostra, povero Germano, povero amore mio... Comprendi ora? — Sì, — bestemmiai soffocatamente — sì... taci! E le mie mani cercarono il suo collo delicato, col desiderio di stringere forte... forte... per amarla meno! — Mi fai male... che fai? Su la bocca le dissi: — Amore mio... Ella tremava, ed io le conoscevo quel tremore. — Che fai?... — bisbigliò, tutta bianca. — Taci... III Allora una specie di follìa mi travolse. Dopo avere

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Argomenti: lento giro,    profondo solco,    piccolo gingillo,    uomo incapace,    polso nudo

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