L'amore che torna di Guido da Verona pagina 20

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rivide il sole, i tetti, le chiese, le foreste, il cielo, confusamente, come in un barbaglio d'ombra e di luce; poi, quando potè discernere, vide Elena, in piedi, che si annodava il velo. Osservò nello specchio il dorso della sua mano bianchissima, ch'ella si passava su gli occhi ripetutamente, come per tergersi una lacrima, e rimase lì, trasognato, a guardarla, quasi non vedesse più lei, ma il fantasma di lei, partita. Allora ella si volse, gli tese ambe le mani, e pronunziò il suo nome, pianissimo, quasi con paura: — Mathias... Egli si battè la fronte, volle sorridere ma non potè, volle parlare ma non ebbe voce: prese quelle due mani e se le portò congiunte sul cuore. Le due mani fecero una croce, come sopra una cosa morta. E restò a lungo in tal guisa, mentre un nodo gli saliva entro la gola, irresistibile. — Addio, Elena... addio... — balbettò, premendosi quelle due mani sul cuore, che martellava impetuosamente, producendo la strana impressione di un organo troppo vitale in quel petto così fragile. — Addio! addio!... Ricòrdati di me, Elena... Forse non ci rivedremo mai più... E rise e pianse, ed ella chinò la fronte, con la faccia solcata di lacrime, sotto il lungo velo. Dopo un attimo di perplessità s'abbracciarono, confondendo le anime fraterne, quella rosa che se n'andava, tutta in fiore, e quel povero sterpo che rimaneva per intisichire. Veniva un gran sole da quel pomeriggio d'autunno, e lì, nella camera sgombrata, i mobili di noce mandavano luccicori fermi; la coltre disfatta era traversata in lungo da una striscia di sole, che sopra vi poltriva come una pigra e scintillante nudità. Tutte le cose lucenti, la specchiera, le maniglie delle porte, l'acqua in una brocca piena, e, sovra tutto, come una fiamma oscura, la foltezza de' suoi capelli biondi, si accendevano di bagliori continui, quasi avessero dentro di sè una viva gioia e volessero comunicarla, per offendere lui, quel buio, doloroso innamorato. Tacitamente allora egli si tolse un anello, adorno d'una pietra pallida, che portava sempre in un dito della mano femminea, e lo passò in dito ad Elena, prendendola per il polso, dove il colore delle sue vene minute somigliava un poco alla trasparenza turchina di quella pietra. Ella fece una mossa di rifiuto, e Mathias le chiuse la mano perchè non si potesse togliere l'anello. — Conservalo, ti prego; l'ho portato io per tanti anni, anche tu pórtalo per tanti anni, sempre, se puoi.... E rise. Gli venne su dal petto una gran risata, simile ad un urlo convulso. Le disse: — Va... sii felice. Io non ti rivedrò più. Che la vita per te sia buona, quanto è stata perfida con me.... Poi guardò in alto: gli occhi del giovine s'illuminarono; sorrise. — Mi rimane ancora il mio quadro... — mormorò. E tremava. Ella cercò di baciargli una mano, volle promettergli sommessamente: — Ma tornerò presto, Mathias.... Egli ebbe un gesto come d'incredulità, poi rimase a fissarla, toccando le piume del suo cappello, i pizzi che aveva intorno ai polsi, e disse, con un'altra voce: — Per me sarà sempre troppo tardi, anima mia.... E soggiunse: — Promettimi solo una cosa.... — Parla Mathias. — Se ti facessi chiamare... dovunque tu sia, promettimi che verrai. Ella comprese; chinò la faccia sul petto, gli rispose con un alito: — Sì.... Allora egli ebbe negli occhi un sorriso di morte, poi vide trascolorare ogni cosa all'intorno, tutto si confuse: la stanza, la luce, quel viso di donna ch'egli aveva dipinto, ch'egli aveva amato, per tanti anni, senza nulla sperare, in silenzio... Ancora una volta la cercò supremamente, con le labbra, con le mani, con l'anima... ebbe nella faccia il suo respiro, le sue lacrime, udì la sua voce ancora, come in un sogno, gridargli: — Addio! addio!... — poi non comprese più nulla, non vide più nulla, non sentì che l'enorme rombo del vuoto, e in sè, fuori di sè, la tenebra, la distruzione. Quando si ridestò, la stanza era deserta, e di fronte, nella casa di fronte, una ragazza cuciva i panni alla finestra e cantava. La baronessa von Ritzner si era tosto presa di una caldissima simpatia per Elena e la considerava come un'amica. Viaggiarono insieme da Franzenbad a Ginevra, da Ginevra ad Aix les Bains, a Luchon, a Biarritz, a Pau, finchè, al sopraggiungere dell'inverno, andarono ad abitare una leggiadrissima villa su la Riviera di Cannes. La baronessa le parlava spesso d'uomini e d'amanti, e non si dava nessuna pena per nascondere ad Elena le proprie avventure. Solo era gelosissima di lei; ne allontanava i corteggiatori con maggior severità che una madre ed era molto curiosa di conoscere le sue trascorse vicende. Una volta le disse anzi, per celia: — Bisognerà trovarvi un marito, Elena, perchè, la mia vigilanza non basta più a difendervi dall'assalto! Ed Elena rise. Un marito? Ecco una cosa cui non aveva pensato ancora nella sua vita di zingara. E, meditandovi sopra, le tornava nella mente il buon pastore Miller, co' suoi capelli biondi e ben lisciati, con la sua bocca un po' femminea, che parlava così gravemente. Allora si figurava la propria vita, s'ella fosse divenuta la moglie di quel pastore luterano, e si vedeva in una linda casa tedesca, con indosso un bel grembiule bianco, non sapendo come nascondere l'abbondanza eccessiva de' suoi capelli per parere più semplice; e si vedeva intenta nel rammendare il bucato, nel badare alle cose della cucina, mentre, davanti al fuoco, il pastore leggerebbe ad alta voce la Bibbia e due o tre marmocchi evangelici ascolterebbero attoniti, senza comprendervi nulla. Povero pastore Miller!... Egli era così dolce, ma questo pensiero la faceva nondimeno ridere! La baronessa aveva ora presa l'abitudine di tenerla sempre sotto braccio, la trovava bella e glielo diceva, con una voce strana, carezzandola. S'era innamorata de' suoi capelli; entrava la mattina nella sua camera per guardarla quando si pettinava, e, standole presso, le faceva scorrere le dita gioiosamente nella capigliatura, come un fino pettine; poi ne formava un grosso nodo involuto, pieno di luccicori, e vi tuffava dentro la gola ignuda, poi la bocca, poi l'intera faccia, con voluttà. Elena tuttavia non sapeva rendersi conto di queste ambiguità e vi si prestava a malincuore, fra stupita e lusingata, con un senso insieme di curiosa paura. Avevano le camere uscio ad uscio e la baronessa entrava la sera in quella di Elena mentr'ella stava spogliandosi; con bizzarri pretesti voleva ella stessa fare la sua treccia, legarle i nastri della camicia; toccava con un specie di insidia i lini ch'ella andava smettendo, le parlava di cose d'amore come il più delicato amante... E allora, simulando capricci repentini, le baciava la gola scoperta, la fronte, i capelli, narrandole con parole accese la sua tristezza di rimaner sola, in quelle notti così lunghe... Trascorsero in tal modo il mite inverno, e Febbraio venne, che, tra quel sole, odorava di primavera. Mathias le scriveva sovente, ma le sue lettere suscitavano in lei un senso di grande malinconia. Erano parole sfiduciate, pensieri pieni di una stanchezza estrema, riflessioni amare di un'anima che sente ogni giorno impallidire il fuoco della vita. A poco a poco le sue notizie diradarono; ella rimase varie settimane senza ricevere alcun cenno, finchè, da una lettera della signora Bergmann, seppe che Mathias versava in condizioni gravissime, e che, non avendo alcuno per assisterlo, si era fatto ricoverare all'ospedale. Pochi giorni dopo un telegramma di firma ignota la pregava d'accorrere tosto a Berlino per salutare un'ultima volta il pittore morente. Sentì nel cuore che lo avrebbe trovato spento, pure senza indugio si mise in viaggio. Povero Mathias! Povero triste amico! Le parve a tutta prima impossibile di non rivederlo più, di non ascoltare più la sua voce un poco lenta e pure così dolce. Per la prima volta, dopo la morte della madre, conobbe un dolore profondo, e dietro il velo delle sue lacrime rivide come in un

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Argomenti: due mani,    grosso nodo,    organo troppo,    povero sterpo,    povero pastore

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