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L'amore che torna di Guido da Verona pagina 70inutilmente perseguitata Elena e patite per questo amore le umiliazione più dure, dopo essermi trascinato a' suoi piedi come un servo ed averla oltraggiata come un padrone, dopo averle offerto il mio nome per legittimare questa figlia che non conoscevo, dovetti finalmente arrendermi alla sua volontà più forte e partire. Fuggire piuttosto, inseguito dall'ossessione di questo amore, che mi si era infitto nell'anima come una spina lacerante. Ella era perennemente un incomprensibile mistero. Meditai di uccidermi per non soffrire più, e certo l'avrei fatto, se nel cuore, profondo come il fuoco della stessa mia vita, non mi fosse rimasto il pensiero di poterla riavere un giorno. L'avrei accolta sciupata e macchiata, comunque volesse tornare a me, anche dalla strada ed anche per esserne beffato; avrei tutto sofferto da lei, perfino il disamore, il tradimento, la vergogna, pur di averla sempre vicina e respirare nel cerchio paradisiaco della sua vita. Questo finalmente poteva chiamarsi l'amore. Ma non volle. Mi giudicò incapace di un sacrifizio duraturo e preferì ella sola provvedere al destino della figlia che le avevo data. Qua e là, torvo e sfrenato, corsi allora in cerca d'oblìo. Con una sete rabbiosa mi detti al piacere che mi tediava, alla dissolutezza che mi lasciava nell'anima stanca un più enorme fastidio della vita. Ogni coltre mi era insonne, ogni mensa discara, ogni città piccola e cupa; il riso, che andavo cercando, increspandomi le labbra, mi torceva il cuore. In questa fuga davanti a me stesso imparai quell'intima disperazione che fa dell'uomo più altero un piccolo e miserando essere, il quale cerchi di nascondere alla gente, sotto la maschera dell'indifferenza, la sua rassegnata follìa. Scialacquavo il denaro; mi piaceva sentirmi scendere nuovamente verso la rovina; c'era in me un uomo che neghittosamente si lasciava uccidere, ma un altro v'era che, riottoso e bramoso, voleva risollevare sè stesso, prodigandosi le dimenticanze più soavi ed insieme le più delicate vendette. Qualche volta, come in sogno, mi appariva la bimba sconosciuta, che di lontano mi tendeva le sue manine rosee, cullata fra le braccia di una madre la quale non le avrebbe insegnato il mio nome. Sul finir dell'autunno tornai a Roma, desideroso di rinnovare il mio fasto, perchè nessuno potesse comprendere quanto nell'anima mia fossi affaticato e vinto. Vi giunsi una sera che le torri e le cupole infoscavano tra la nuvolaglia bassa; il Tevere livido serpeggiava sotto i ponti deserti; pareva che una immensa morte fosse calata sulla città neroniana. Dalle suburre antiche tutte le fogne di Roma emanavano per l'aria immobile un odor grave di putredine e di morte. Presi a vivere largamente, comperai cavalli, offersi banchetti, cercai clamorosi amori; e col volgere del tempo l'abitudine, medicatrice paziente, fasciava d'insensibilità il mio nascosto dolore. Ma era necessario che mi stordissi continuamente, che non fossi mai solo, che non allentassi mai lo sforzo al quale mi costringevo. Andavo in cerca degli amici, delle amiche d'un tempo, visitavo le signore, accettavo inviti, cercavo di mascherare col maggior brìo la disperazione latente. Quand'ebbi spesa la maggior parte del denaro che mi restava, decisi di tentare nuove speculazioni di Borsa, e ricordandomi di un tal Mariani, che appunto in Borsa passava per uno scaltro faccendiere, una mattina l'andai a trovare. Questo Mariani era uno fra que' tanti parassiti che ogni compagnia di gaudenti sopporta e nutre nel suo grembo, tollerandone tutte le piccinerie. Quando l'avevo conosciuto al Circolo, quattro anni prima, egli vivacchiava, speculando alla chetichella, servendo il prossimo con astuzia, riuscendo a cacciarsi un po' dappertutto, come un lumacone che a furia di strisciare giunge nondimeno a compiere la sua strada. Giocava per solito con prudenza metodica e taccagna; ma una sera di gran disdetta, squilibratosi fuor del consueto, perdette contro di me nove o diecimila lire. Nessuno vi pose mente; si sapeva che non avrebbe pagato e tutti ridevano della sua disavventura. Impiegò un anno per darmi un piccolo acconto; il resto si prescrisse tacitamente. Sapevo che s'era poi ammogliato con una donna bellissima, sapevo inoltre che sua moglie vendeva care le proprie bellezze ad un certo Wendel, agente di cambio molto facoltoso, e che il buon Mariani subiva la cosa con pacata rassegnazione per la pace e la prosperità della famiglia. Quella mattina il Mariani stava radendosi la barba. Quando m'annunziarono, venne su la soglia della sua camera con la faccia insaponata ed un asciugamano intorno al collo. — Guarda mai chi vedo! — esclamò con voce insospettita. — Ma che buon vento ti mena? Entra, entra! Mi permetti di continuare a radermi? — Figùrati! Egli, distratto, cominciò a far passare il rasoio su la cute. — Dunque? — mi domandò con premura. — Si tratta, mio buon Mariani, di questo. Sono a corto di denari e... — Ah?... sei a corto di denari? — E fece un movimento così brusco ch'io temetti si fosse almeno scorticato. — Cosa transitoria, — spiegai; — ma intanto ne sono molto seccato. — Allora? Cessò risolutamente dal radersi e mi guardò sbigottito. — Sai, — mi disse a fior di labbro, con una voce tra l'agro e il dolce, — sai che i miei mezzi sono così scarsi... specialmente ora, con una famiglia su le spalle... Non puoi credere quanto mi costa! Lavoro, cerco d'industriarmi come posso e tuttavia sbarco il lunario a malapena. Però, se posso aiutarti in qualche piccola cosa, lo farò di buon cuore: so che hai avuto molti rovesci. — Oh, Dio... i rovesci che hanno tutti. Gli alti e bassi della fortuna... si sa! — Insomma senti... — Egli posò il rasoio, si riasciugò il sapone dal mento e mi venne vicino. — Senti, oggi è una cattiva giornata: siamo a fine mese, ho molti impegni; ma dimmi cosa ti abbisogna e vedrò fra qualche giorno di renderti servizio. — Hai una sigaretta? — risposi con noncuranza. — Sì, guarda, lì, nell'astuccio. — -Grazie. — Presi a camminare e dissi: — Mi preme avvertirti che non sono venuto per darti una stoccata. Mi conosci bene e sai chi sono. — Parlavo con un tono di minaccia sorridente; egli si fece grave e cupo. — Sai, — ripresi con amabilità, — vengono certi momenti nella vita, in cui si è costretti a frugare anche nel mazzo delle vecchie carte gialle... Non meravigliarti.... — Vero, verissimo, — egli annuì senza convinzione. — Dunque sono venuto a vedere se tu potessi pagarmi quelle famose diecimila lire... — Nove, nove!... — ... quelle famose novemila lire che tu sai. — Oh, mio buon Guelfo!... — balbettò soffocatamente, — mi domandi una cosa impossibile! Quella è stata una sera di pazzia. Me ne ricorderò tutta la vita. Sai ch'io gioco piccolo, piccolo... che non ho mezzi... e tu sei stato buono, veramente sei stato buono con me... — Non è il caso di ripensarvi ora. Anzi non te ne avrei nemmeno parlato se non vi fossi un po' costretto dalle necessità. — Gli è... gli è... che io... francamente... insomma, ti apro il cuore come ad un amico, gli è che io, neanche oggi, non sono in grado di pagartele... Se vuoi cinquecento lire? La sua faccia lucida di sapone rasciugato era di una comicità irresistibile. Sorrisi. — Allora, — feci con indulgenza, — lasciamo questo argomento e non parliamone più. Ma in cambio devi rendermi un'altro servigio. — Di' pure! di' pure! — egli esclamò, risuscitando. — Intanto sappi una cosa: che non dovrai sborsare neanche un centesimo. — Oh, questo non importa! — egli fece mellifluamente. Andò allo specchio e s'insaponò di nuovo le guance. — Ascóltami dunque — ripresi. — Vorrei tentare alcune speculazioni di Borsa. — Nulla di più facile. — Ma mi occorre trovare un agente di cambio il quale mi faccia credito, e so che tu sei molto pratico di queste faccende. — Già; ma, vedi... — Lásciami dire; tu sei intimo del Wendel, non è Tag: sai sei vita piccolo cuore fossi nove borsa sera Argomenti: cerchio paradisiaco, enorme fastidio Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Corbaccio di Giovanni Boccaccio Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Giambi ed Epodi di Giosuè Carducci I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Città Vecchia di Varsavia I Caraibi e la Giamaica per una vacanza economica Trogir, una località sconosciuta a molti Vacanze Natale Vienna Offerta capodanno a Bruxelles
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