L'amore che torna di Guido da Verona pagina 85

Testo di pubblico dominio

cavallo prese male il salto, inciampò contro un sasso e rotolarono giù tutti e due: lui sotto. Pare che abbia battuta la testa proprio su lo spigolo d'una pietra, ed è rimasto lì, povero Piero!... a trent'anni... è una cosa orrenda. — Una vera fatalità! Me lo ha gridato il Capuano per istrada... Sono rimasto come un ebete; poi ho sperato che non fosse così grave, e sono corso qui. Tacqui, perchè tutti mi osservavano con quello sguardo che pare un sorriso, con quell'attenzione fredda e scrutatrice che vi si figge addosso e vi penetra come una lama, quando c'è, fra molti amici, un secreto ambiguo che non possa dirsi per rispetto a voi solo. — Chissà la moglie!... — fece uno, vicino a me, malignamente. Cosa fu risposto non so: vedevo sempre, dietro le palpebre, in una visione rossa, il corpo del barone giacere a terra, esanime, sotto il suo cavallo, e mi pareva che i suoi occhi spenti si fissassero ancora ne' miei. Intorno seguitavano i commenti, le discussioni, le parole d'orrore dei sopraggiunti, lo squillo d'altre telefonate; poi uno, credo il marchese della Pergola, si fece avanti e parlò della corona da ordinarsi e di quelli che sarebbero andati a Torino per portarla. A me pareva che tutti nascostamente pensassero: «Proponiamo Guelfo!... Sarebbe il più adatto!» — e sconciamente ne ridessero. Mi premeva intanto saper qualcosa di Edoarda, sicchè, scelto il momento opportuno, feci un segno ad Elia perchè mi seguisse, ed uscimmo. — Debbo trovare un modo per sapere qualcosa di lei, — gli dissi quando fummo in istrada. — Andiamo verso il palazzo; non è lontano. — Frequentavi la sua casa? — egli domandò. — No, ma vorrei almeno vedere il Capuano, sapere se parte stasera. — Certamente sì. — Ma vi sono ancora treni?... Ah sì!... c'è quello che dovevi prendere tu. — Fa dunque una cosa: trovati alla stazione. — Alla stazione? Certo ve l'accompagneranno, e forse non potrò nemmeno avvicinarmi a lei. Poi bisogna che sappia se parte proprio a quell'ora. — Non v'è dubbio. — Andiamo dunque fin là; forse qualcuno, uscendo, mi potrà informare. — Credo che tu faccia male mostrandoti là intorno. Vi sarà certo un grandissimo andirivieni di gente. — Hai ragione, — dissi fermandomi. — Allora, senti, fa una cosa: vuoi andar tu? — Io?... Se non conosco nessuno? — Che importa? Lascia il tuo nome, un biglietto da visita, o nulla, se preferisci. Ma fingi di non saper bene la cosa e domanda notizie in portineria, od in anticamera; informati se la signora è stata avvertita interamente o solo in parte; se poi vedessi il Capuano, cerca di parlare con lui. Egli pensò un momento, poi disse: — Va bene, ora vado. E tu? — Io passeggio qui e t'aspetto. Prendi una vettura per far più presto. — Gli diedi l'indirizzo ed egli andò. Il turbine della mia mente a poco a poco si calmava; la mia vita, in quel momento, per quel caso fortuito, si volgeva necessariamente verso un altro destino. Quale? Non me lo chiedevo, non osavo chiederlo a me stesso. E di quando in quando mi appariva la faccia pallida, supina su le zolle arrossate, per fissarmi con i suoi occhi pieni di morte. Era già quell'ora di requie nella vita febbrile delle grandi città, quando i bottegai chiudono i negozi, e per le vie spopolate passano carrozze vuote, giornalai ciarlieri, sartine che si lasciano inseguire da corteggiatori insolenti, pedine che scodinzolano via, rosse di fresco belletto, in cerca d'una cena. Fluttuava in alto una chiarità serena, che orlava le lustre grondaie, riverberava su le finestre delle case, traeva dai selciati balenanti una specie di aurora crepuscolare. In quella luce ambigua, in quell'aria tepida, ventilata da qualche alito intermittente, come soffi di primavera nell'estate, sotto il cielo ancor rosso e tra la pallidezza dei lampioni, tutte le forme, tutti gli avvenimenti mi si vestirono d'irrealità. Poi, man mano, si fece buio; la vita serale ricominciò, gaia e rumorosa; ricominciò la baraonda che mesce, travolge, disperde, confonde in un solo turbine il frastuono della eterna spensieratezza umana, dell'eterno passare, benchè ognuno singolarmente si affatichi a credersi qualcosa e dia soverchio peso alle sue piccole tragedie da burattini. Si vive, si muore; si va in basso, in alto; si vince, si perde; si ama, non si ama più... Ebbene, tutto ciò che importa? Grotteschi ed effimeri passiamo: con noi mille altri passano; dopo noi vengon altri mille, a perpetuare la nostra mediocrità... E la folla irridente, insolente, ci ascolta un momento curiosa, poi si volge altrove, piena di rumore, trascinando con lievità e con fatica il peso delle sue mille catene. Mi pareva d'esser caduto in mezzo ad un mondo d'automi, ove tutto fosse imprecisione, fugacità, fantasma, sogno. Camminavo in su, in giù per il popoloso marciapiede, sostando di tratto in tratto. Ricordo che un vecchio lacero s'era fermato contro il muro ad accendere la pipa, e le sue mani si movevano lente, quasichè sollevassero invisibili pesi. Accese tre zolfanelli e tre volte l'aria li spense. Alla luce della fiammella il suo volto rugoso e barbuto s'illuminava d'un giallor di cartapecora, la pipa carica gli tremava tra i denti. Passò un monello e prese a schernirlo; il vecchio borbottava, minacciandolo con la mazza. Più in là due bimbe mangiavano una mela, mordendone a volta a volta un boccone ciascuna, e quand'ebbero solo il tòrsolo, se lo presero fra i denti, ambedue, con le bocche vicine, mettendosi così a girare come trottole intorno ad un perno. Tutto questo io rammento con singolar precisione, quasi fosser memorie intimamente confuse nell'angoscia di quella sera. Finalmente il d'Hermòs arrivò. Tutto scomparve, la realtà riprese il sopravvento. — Ebbene, — domandai ansioso, mentr'egli pagava il vetturino, — hai saputo nulla? — Sì, ma non è stato così facile. Nessuno poteva comprendere il mio italiano; poi c'era una tale confusione in quella casa!... La portineria e l'anticamera sono assediate; finalmente trovai un maggiordomo dal quale mi son potuto far intendere. Dunque: la signora sarebbe stata informata esattamente della cosa dal Capuano, e parte alle otto e quaranta, come si prevedeva. — Grazie. Non hai potuto sapere altro? — Null'altro. C'era troppa gente; le persone di casa parevano impazzite. — Ed il Capuano? — L'ho veduto passare in anticamera un momento; correva, tutto stravolto in viso. L'ho chiamato, ma non rispose; non rispondeva a nessuno. Ho inteso che andava a preparar la borsa perchè accompagna la signora. — Grazie ancora, — risposi stringendogli la mano. E guardai l'orologio. — Senti, Elia, sono quasi le otto; va tu a pranzare; io mi dirigo verso la stazione. — E perchè mai? Preferisco attendere il tuo ritorno. — Dove m'aspetterai? — Al Circolo, se poi vi pranzeremo. — Questa sera è meglio di no, ti pare? Aspéttami al Colonne. Sai dov'è? — Sì, press'a poco. Del resto ti accompagno qualche passo ancora, poi prenderò una vettura. — Dunque dicevi che v'era molta gente? — Moltissima: ne arrivava ogni momento. — E non ti fu possibile sapere come la moglie abbia ricevuta la notizia? — Questo non ti saprei dire. L'ho anzi domandato al maggiordomo: egli mi rispose due volte: — «Eh, capirà!... capirà!...» In tal modo non ho capito niente. Poi soggiunse, con un sorriso ambiguo: — Ho teso l'orecchio per ascoltare se arrivassero gridi, ma nulla mi giunse. Può darsi che fosse in una stanza lontana... Scendendo, vidi il cocchiere attaccare i cavalli; sul portone intesi un giovinetto, che usciva davanti a me, dire al compagno: — Chissà l'altro!... — L'altro dovevi esser tu; ma il séguito mi è sfuggito. — Questi chiacchieroni, per Dio! non rispettan nulla. — Che vuoi? È involontario. Un'associazione d'idee, null'altro. Anch'io penso a te. — Cosa pensi, se è lecito? — Oh, molte cose! Intanto che trovo splendido quell'antico palazzo... — Via, finiscila

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Argomenti: vita febbrile,    vita serale,    volto rugoso

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