L'amore che torna di Guido da Verona pagina 72

Testo di pubblico dominio

suo volto raggiava, e mi parve trasfigurata. I miei sguardi non fecero che volgersi tra lei e Pietro De Luca, cercando quasi d'indovinare le vicende intime della lor vita, e meravigliandomi che un altro uomo avesse potuto aprire a così piena bellezza quella fanciulla un po' schiva, che dai grandi suoi occhi, pieni di pensiero e di trasparente anima, guardava nella vita con un senso di naturale malinconia. V'è sempre in fondo al nostro cuore una religione occulta che torna verso il passato. Quello ch'è stato nostro ha per noi qualcosa d'indimenticabile, e credo che i sentimenti più vivi non si distruggano mai del tutto nello spirito nostro, ma s'addormentino in fondo al cuore nell'attesa d'un lontano risveglio. Poi, da quegli esseri crudeli e bizzarri che siamo, è sempre irritante il veder consolata, e non da noi, un'anima che per noi soffriva. L'amore infatti è per sua natura un sentimento che sempre, o nasca o muoia, o si trasmuti o si perverta, o segua pure un suo decorrere quieto, abbisogna, per essere tale, d'un altro sentimento, d'un'altra causa, che l'aiuti a vivere: così la gelosia, il timore, la lontananza, l'abbandono, la sciagura, la morte. Esso è come uno specchio, il qual lentamente assorba e consumi l'immagine che riflette, ma poi d'improvviso la rimandi mille volte più fulgida. Poichè in tutte le anime l'amore vive di sogno e d'irrealità. Ora la bella Claudia m'interessava meno; le sue parole artifiziose non mi davano più alcun turbamento. Uscii dal palco, e, tornato nella mia poltrona, rimasi lungamente a guardare lassù, in alto, verso quella donna vestita di nero, che aveva un'orchidea di brillanti tra i capelli oscuri. «Vedi, — mi andava mormorando nelle orecchie un piccolo demone beffardo, — vedi, o grullo!... d'amore non si muore. Anche tu non morrai!» E nel gran palazzo marmoreo vedevo intanto passare il barone De Luca, tronfio della dote carpita, e lo vedevo, dopo lo spettacolo, con una sua bella veste da camera, entrar nell'alcova nuziale, quella stessa forse ch'io rammentavo tappezzata d'una stoffa color d'indaco pallido, con un baldacchino a larghi drappeggi. Edoarda mi aveva certo notato e pareva che ostentasse, per offendermi, una scherzosa fatuità. Al termine dello spettacolo andai nell'atrio per vederla uscire. Gli uomini, accendendo le sigarette e rialzando i baveri dei soprabiti, facevano ala dal termine dello scalone sino alla porta d'uscita. Mi posi con le spalle contro una colonna ed aspettai. Quando apparve giù dagli ultimi scalini, e mi vide, sembrò che il suo volto si coprisse d'una bianca e mal dominata paura. Con lei era Fabio, erano altre persone; ella volse altrove la faccia, e parlò, parlò... Ma camminando barcollava un poco. Pietro De Luca, nel passarmi accanto, salutò per primo. In fondo era naturale ch'egli mi salutasse, ma sarebbe stato altrettanto naturale che avesse finto di non vedermi. Il barone, certo, era un uomo di spirito e veramente cortese! Io, quella sera, mi sentii d'umore pessimo; camminai a casaccio per le strade; verso le due mi trovai davanti al palazzo Laurenzano; guardai su: buio. Andai al Circolo e giocai fino al mattino. M'era venuto un capriccio veemente, insensato; riaver Edoarda, foss'anche per una volta sola, pur di conoscere la nuova donna ch'era sbocciata in lei. La mia vita infatti non era più che una ricerca ed una soddisfazione di capricci continui, per lenire quel desiderio inestinguibile che dentro mi torturava. Passò l'inverno. Mi fu proposto in quel tempo di andare al Congo insieme con una compagnia di speculatori stranieri, uomini risoluti a tutto, e fui sul punto di accettare; ma siccome in quel momento la Borsa traversava un periodo di floridezza e tutte le fortune arridevano agli audaci, preferii, per mezzo del Mariani e del Wendel, tentar l'alea su certi valori che ascendevano vertiginosamente, ed ebbi il senno di liquidarli prima dell'inevitabile rovescio. Questa fortuna mi fece riflettere che il Congo è una terra inospitale, molto lontana, infetta dalla malaria e dalla malattia del sonno, cosicchè restai. Naturalmente a Claudia volli far credere d'esser rimasto per lei. Era fra quelle donne che non acquistano e non perdon nulla quando si giunge a conoscerle intimamente, perchè la loro bellezza le salva dall'essere insipide e la loro fatuità dall'innamorare. Son queste le amanti che piacciono agli uomini di Borsa, gente pratica e spedita, che all'amore pensano quando ne hanno tempo e vogliono avventure saporite ma scevre di complicazioni sentimentali. Noi, dopo alcuni mesi, litigammo per varie futilissime ragioni. Voleva, per esempio, che trovassi modo di presentarla alla duchessa di Loano, la quale dava in quella stagione ambitissime feste. Non ne venni a capo, e se ne offese. Poi mi trovava poco espansivo, troppo indolente; spesso irritabile; diceva che la trattavo come un'amante vecchia e superflua, che non avevo per lei alcuna di quelle delicatezze, un po' romantiche forse, ma che sono tanto necessarie ai piccoli amori. S'ingelosì anche d'una miss Americana, che in quell'anno accivettava mezza Roma, ed io, sebbene per mio conto non soffrissi d'alcuna gelosia, nondimeno mi stizzii un poco nel vederle intessere con tutti gli uomini quelle frivole galanterie che aveva, sin dal primo giorno, intraprese con me. Tranquillamente l'avventura finì. Durante l'inverno mi si eran offerte varie occasioni di veder Edoarda, in istrada o nei teatri, ma raramente sola. Nonostante il mio desiderio, m'ero prefisso di non andar nelle case o nelle feste ove supponevo di poterla incontrare, poichè non sapevo in qual modo ell'avrebbe subìto quest'incontro. Una sola volta, recandomi a visitare la contessa di Casciano, l'incrociai mentr'ella passava con un'amica per l'anticamera. Entravo, ella usciva: ebbe, nel vedermi, un piccolo movimento di perplessità, poi entrambe passarono, chinando leggermente il capo al mio saluto. Su l'uscio, donna Eufemia Lanti, ch'era la sua compagna, si volse e mi sorrise. Edoarda portava quel giorno una pelliccia di martora; su le sue scarpine finissime brillavano due fibbie d'argento: questo solo ricordo. Dietro lei rimase un solco del suo leggero profumo, un profumo che le avevo scelto io: soave. Al Pincio qualche volta la sua carrozza ed il mio cavallo s'incrociarono; in istrada molto spesso la vidi uscir dai negozi. Se l'incontravo durante una passeggiata, la seguivo per un tratto, discretamente, senza darle noia. Intanto la studiavo. Quando s'accorgeva della mia presenza, il suo passo diveniva un po' incerto ed insieme più rapido; non guardava mai dalla mia parte, non sostava, e tuttavia c'era nel suo modo di camminare qualcosa d'indefinibile, come la compiacenza di sentirsi bella sotto la vigilanza del mio sguardo. Poi, frettolosa, entrava in un negozio; io non spingevo la temerità fino ad attendere che uscisse. Il mio capriccio di giorno in giorno si faceva più forte; era una curiosità malsana e torbida, era come il desiderio d'un peccato insolito, che mi accendeva e mi sollevava un poco dalle mie tristezze. Ogni giorno cercavo un mezzo nuovo per poterla incontrare. Il Capuano mi dava molte notizie su la sua vita intima e spesso lo istigavo abilmente perchè soddisfacesse qualche mia curiosità. Vicino a Edoarda egli stava per divenire un di que' cocciuti e fidi cavalieri serventi che spesseggiano intorno alle belle signore, le seguono dappertutto, nella intimità della famiglia e nei ritrovi della vita mondana. Per lo più costoro furono amanti, od anche solo amici amorosi; poi tramonta il regno loro ed altri li soppianta nel cuore della bella infedele. Ma ebbero il favore di qualche confidenza, resero alcuno di que' servigi che si rammentano, o, per la loro professione, s'immischiarono nelle faccende patrimoniali, o furon amici strettissimi del marito; intanto, man mano, i capelli si fanno grigi, l'intimità li vizia, l'umore divien geloso, permaloso, irascibile, e degradano giù giù, fino ad essere

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Argomenti: bella claudia,    piccolo demone,    palazzo marmoreo,    desiderio inestinguibile,    piccolo movimento

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