L'amore che torna di Guido da Verona pagina 75

Testo di pubblico dominio

di luna! — Va bene. E le passeggiate in Piazza di Spagna? E la Trinità dei Monti? E quel canocchiale che in teatro non abbassi un momento? Tutto questo è sempre per l'Olimpo, è vero? Ma, già!... tu non ti curi di niente! In fondo non hai mai avuto nè cuore nè senno; il tuo capriccio innanzi a tutto, e il resto... al diavolo! — Ah, bene, senti... ora vai oltre i limiti! Fammi un santo piacere: parliamo d'altro! Egli mi sogguardò con occhi obliqui, accese una sigaretta, si pose a cavalcioni d'una sedia e non parlò più. Io mi feci con somma cura il nodo della cravatta, chiamai Ludovico perchè mi spazzolasse ben bene l'abito, misi un fiore all'occhiello, profumai il fazzoletto e presi da un tavolino le chiavi di casa. — Dunque vieni o resti? — gli domandai. — Usciamo pure! — fece, tragicamente. Quand'ebbimo camminato un po' per la strada, visto ch'egli non parlava, lo presi sottobraccio. — Di'... non sarai mica offeso per caso? Bastava una frase amichevole per rimetterlo di buon umore. — Ci mancherebbe altro! — esclamò allegramente. — Sai, — gli dissi, — che il tuo isterismo peggiora ogni giorno? — E sai, — rispose con una perfidia sorridente, — che la tua balordaggine è divenuta cronica? Sapevo che con questi occhi avrei vedute ancora le cose più stravaganti, più inverosimili che possano accadere al mondo; ma di vederti un'altra volta innamorato d'Edoarda... questo poi no! — Siamo da capo? — Calma! Non ti voglio dire che una cosa sola. Non sei cattivo, tutte le sciocchezze che fai si devono solamente alla tua gran leggerezza... Ma, guarda: se ora ti figgessi nel capo di scompigliare un'altra volta la vita di quella creatura, m'incuteresti un così grande ribrezzo, che avrei per sempre vergogna di stringere la tua mano. — Su, dammela quella mano, e vieni a pranzo con me! — Grazie, non posso. — Perchè? hai forse un altro invito? Vedo che infatti hai una stupenda cravatta bianca. — Sì, sono invitato. — E dove, se è lecito? — Dai De Luca, — egli convenne, quasi a malincuore. — Ah... buon appetito! V Era giornata di caccia. Il master, don Antonino Feretra, ci aveva dato convegno per le nove del mattino. Fresco ed ilare, per quella giocondità della primavera laziale, ero uscito di buon'ora montando per la prima volta Bluff, il mio nuovissimo irlandese dal mantello sauro focato, con il muso e le balzane d'un color candido come la neve. Due mazzi di baccarà eccezionali mi avevano permesso di comperare questo ammirevole cavallo, giunto fresco fresco dall'Irlanda e conteso con sforzi eroici all'imberbe quanto milionario Stefanuccio Gola, che, non essendosi ancora potuto liberare da una fastidiosa inabilitazione, m'aveva dovuto cedere sul prezzo. Bluff era un superbo animale, dalla criniera folta, le reni spaziose, il petto robusto, saltatore agilissimo e galoppatore instancabile. Stretto nella mia giubba rossa, recandomi di buon trotto al «meet», mi pareva d'essere tornato il gentiluomo d'una volta, intrepido a tutte le macerie, spavaldo in sella come se ci fossi nato. E la vita, quella mattina, mi piaceva ancora. Giunsi, mentre il master prendeva il galoppo seguito dai cani, facendo squillare nitidamente il corno da caccia. Il «meet» era frequentatissimo. Vidi Piero de Luca in sella d'un puro-sangue irrequieto come una gazzella e intesi donna Maria Monsélice, amazzone ammiratissima, dirgli con tono d'intenditrice: — Long Tail non vi farà il percorso, barone, e voi rischiate di rompervi il collo. Spero che girerete le macerie. Il De Luca, sorridendo come un uomo indurito alle avventure della sella, rispose: — Tutt'altro! È una scommessa, Donna Maria, e sono ben sicuro di vincere. — Sarebbe veramente peccato rovinare questo bel puro-sangue in una caccia. — Long Tail ha un'andatura infernale, ma non rifiuta nessun ostacolo; se permettete, vi seguirò da vicino, senza lasciargli prendere la mano. — Andiamo! — diss'ella scudisciando il proprio cavallo. E volarono via. Stavo intanto parlando con due cavalieri che ammiravano Bluff, quando, fra un gruppo d'amazzoni che prendevano il galoppo, vidi o mi parve riconoscere Edoarda, nel mezzo fra la contessa di Casciano e miss Emy Ruffles, con altre che non ravvisai. Guidavano il gruppo Giorgio Sannìzzaro ed un capitano di cavalleria. Difficilmente l'occhio poteva trarmi in errore, ma, per il travestimento dell'amazzone, e sapendo che a' miei tempi ella non aveva mai preso parte ad alcuna caccia, dubitai d'essermi ingannato. Col cuore in tumulto misi Bluff di galoppo, spingendolo in direzione del gruppo che già s'allontanava per la campagna. L'irlandese di buon sangue, spiegando un'andatura meravigliosamente distesa, in breve li accostò, e quando giunsi a pochi metri da loro durai gran fatica per diminuirne l'impeto e non passar oltre. Da vicino riconobbi Edoarda. Ella montava una cavalla baia, nervosa e gentile; indossava un'amazzone di velluto color viola fosco, portando, come una volta, i capelli annodati su la nuca. Un largo velo, fasciandole il cappello due volte, lasciava ondeggiare i suoi lembi nel vento del galoppo. Pensavo: «Egli le ha comunicate le sue passioni. Questo nuovo amore del cavallo è un segno quasi di affinità con lui.» E per tenermi dietro al gruppo dov'ella era, di continuo rompevo l'appoggio del morso a Bluff, che generosamente li voleva sopravvanzare. Tutta la campagna laziale, a perdita d'occhio, era inondata di sole; il terreno mandava un luccicore insostenibile, rotto qua e là dall'ammasso di un'antica maceria, dove le scaglie d'argilla balenavano come frantumi di specchiere. Davanti si parò una staccionata d'un metro circa, ed il gruppo, su due file, saltò netto. Ma, sopravvenute una seconda, poi una terza, i cavalli, animatisi ruppero un poco l'ordine, distanziandosi gradatamente. Le braccia più non mi reggevano per lo sforzo di rimanere in coda, e allora, piegando sul fianco, lasciai che l'irlandese passasse. Rapidamente mandai loro un saluto. Giorgio Sannìzzaro mi gridò dietro: — Eh, eh! di volata, Guelfo!... Ma Bluff, quand'ebbe lo spazio libero davanti, s'acquietò, e mi trovai di paro con l'ufficiale, che durava la stessa fatica nel dominare il suo polledro. Lo conoscevo, e questa ragione mi servì per unirmi al gruppo, tenendone la testa ad una cinquantina di metri. Incontrammo una piccola maceria; il capitano saltò furiosamente; il suo polledro lo portò via. Bluff fece un salto al quale Sannìzzaro, dietro, applaudì, e volgendomi li vidi saltare tutti facilmente, tranne il cavallo di Miss Ruffles che fece uno scarto e, dopo aver ritentato, passò di fianco. Il terreno cominciava ad essere malagevole. Da tutte le parti si vedevano frotte di cavalieri correre a briglia sciolta, mettendo nell'immensa campagna un formicolìo di giubbe rosse e d'amazzoni oscure, con l'eco nell'aria degli eccitamenti dati ai cavalli e lo scrosciare lungo di qualche nitrito. Un sordo rumore di terreno battuto si propagava in tutte le direzioni, sollevando per la infinita campagna quasi una oscillante sonorità. Miss Ruffles era rimasta indietro; il Sannìzzaro aveva di molto rallentata l'andatura per non lasciarla sola, ed io, volgendo il capo, vidi a poca distanza dal mio cavallo Edoarda e la contessa di Casciano, le quali galoppavano di paro. Bluff vide sorgere davanti a sè una maceria larga ed ineguale; drizzando le orecchie vi si buttò sotto come un fulmine, prese male il salto e la passò rasente rasente, in grazia del colpo di reni che mi diede quando si sentì sopraffatto dall'altezza. Una pietra toccata sbalzò fuori. Mi fermai dietro l'ostacolo per vedere il salto delle due cavalcatrici. La contessa di Casciano, che montava un saltatore da concorso, passò per la prima, facilmente, sorridendo; invece la baietta di Edoarda, spiccando il salto su le quattro zampe, scavalcò la maceria scompostamente, levandosi di peso, come fanno le capre. Attesi che le due signore passassero, e mi posi dietro

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Argomenti: due signore,    nuovo amore,    mantello sauro,    spazio libero,    sordo rumore

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