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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 84arringa, ripresero le cinghie su le spalle, continuarono la loro strada, le mule seguirono: e si giunse alla porta del castello. Gli scherani del Conte che al suo avvicinarsi al castello s'incontravano sempre più frequenti, già stupiti di quel suo uscir solo al mattino in un giorno di tanto movimento e di tanto concorso, lo erano ancor più allora di vederlo tornare al seguito d'una lettiga chiusa, a paro d'un prete, con quelle cavalcature sconosciute: ma quello che portava al sommo il loro stupore si era di vedere il loro padrone senz'armi. Quella partenza aveva dato luogo a molte congetture, e fatta nascere una aspettazione di qualche cosa di nuovo, ma il ritorno invece di soddisfare la curiosità la cresceva e la impacciava davantaggio. Era una preda? Come l'aveva fatta il padrone solo? e perchè il vincitore tornava disarmato? O che diamine era? Chinandosi umilmente davanti al padrone che passava, cercavano essi di spiare sul suo volto qualche indizio di questa faccenda, ma il volto del Conte era impenetrabile: e gli scherani rimanevano a guardarsi l'un l'altro con la bocca aperta. Alla porta, il Conte scese dalla mula, e fece cenno di fare altrettanto a Don Abbondio che lo guardava attentamente, appunto per non perdere un cenno; e veduto questo si lasciò tosto sdrucciolare dalla sua mula. Il Conte disse ai palafrenieri: «aspettate qui»; disse al curato di seguire la lettiga; andò egli dinanzi, e disse ai lettighieri: «seguitemi». Tutto si fece com'egli aveva imposto: il Conte entrò col suo seguito nel cortile, si avviò alla stanza dov'era Lucia, ed entrato in quella che le era vicina; fece restare i lettighieri, si chiuse dentro, e comandò che la lettiga fosse posta a terra. Aprì allora lo sportello, diede la mano alla buona donna, la fece uscire e disse sotto voce in modo da non essere inteso che da quelli che lo vedevano: «In quella stanza è la giovane da condursi via: e con lei una vecchia malandrina... una vecchia. Io la chiamerò fuori: voi entrate, e voi pure Signor Curato. Annunziate a quella giovane che è libera, che deve partir tosto con voi, che la cosa deve passare quietamente; non perdete tempo: quando ha inteso, quando è disposta, bussate, la lettiga verrà nella stanza: fatela sedere in essa, ponetevi al suo fianco, tirate le cortine, e venite qui: io vi aspetto: andrò innanzi, poi la lettiga, poi il signor curato; dritto alla porta; quivi saliremo sulle nostre mule, e ripartiremo. E voi,» disse rivolto ai lettighieri: «zitti». Così detto condusse la buona donna e il curato sulla soglia della porta chiusa che dava alla stanza di Lucia, bussò: s'udì la voce della vecchia che disse: «chi è egli?» «Io»: rispose il Conte: la vecchia aprì, e vide le due facce inaspettate col padrone, restò come incantata. «Uscite» le disse il Conte; quella uscì tosto, e i due salvatori entrarono. «Fermatevi qui» disse allora il Conte alla vecchia; e non disse altro: egli la vecchia e i lettighieri stettero tutti immobili, egli a tender l'orecchio e a numerare i momenti, i lettighieri ad aspettare, e la vecchia a smemorare. Lucia aveva passata la notte in un letargo agitato da sogni tormentosi e da risvegliamenti più tormentosi ancora. Al mattino la vecchia destandosi, aveva chiamata Lucia, e non udendo risposta, s'era levata in fretta aveva aperte le finestre, e avvicinatasi alla captiva, chinatasi a guardarla, le aveva chiesto se dormisse, se volesse togliersi da quel cantuccio, e ristorarsi di cibo che doveva averne bisogno. «No, lasciatemi quieta, ricordatevi del vostro padrone,» era stata la sola risposta di Lucia. La vecchia brontolando s'era ritirata, e per far qualche cosa s'era posta a rifare il suo letto; quindi era andata ad una tavola dov'erano le reliquie della cena, vi si era seduta, e s'era messa a mangiare, accompagnando questa operazione con le parole e con gli atti ch'ella credeva più opportuni ad eccitare l'emulazione di Lucia, e a vincere il suo proposito: poichè la vecchia non poteva supporre che si resistesse a lungo ad una tentazione di questa fatta, principalmente dopo un lungo digiuno come quello che aveva patito Lucia. Cominciò dunque a sclamare: «Ih! quanta roba! ce n'è per quattro bravi! e che grazia di Dio!» Quindi stese un mantile e cominciò a trinciare un pezzo di stufato, regolando ogni movimento in modo che il romore eccitasse nella mente di Lucia una immagine chiara di quello ch'ella faceva. E questa sua cura era spinta al segno (la delicatezza dei lettori ci perdoni se per seguire fedelmente il manoscritto in tutto ciò che può essere una rappresentazione del costume, ripetiamo anche questa particolarità) che postasi a mangiare, ella andava rimasticando nella sua bocca sdentata il boccone, producendo con affettazione quei suoni, che a ragione proscrive Monsignor della Casa; perchè ella s'immaginava che in quei suoni vi fosse qualche cosa di appetitoso: la sua educazione, e le sue antiche abitudini avevano talmente elevata sopra le sue idee l'idea di mangiare di quei bocconi che non sono concessi a tutti, che tutto ciò che era associato a questa idea era per lei, importante, leggiadro, irresistibile. «Buono!» diceva di tratto in tratto. «Buono! viva l'abbondanza! muoja la carestia! Bella cosa vivere in casa dei signori!» E pure di tratto in tratto dava una occhiata alla sfuggita al cantuccio, ma vedendo Lucia insensibile, si adirava dell'inutilità dei suoi artifici così reconditi; e mescolava alle esclamazioni di ammirazione e di gioia, un brontolio sordo di «ehn! ehn! smorfia, smorfia, smorfia!» Venne finalmente all'ultima prova e al più forte esperimento: prese con la sua destra rugosa e scarnata un fiasco che stava sulla tavola, con la sinistra un bicchiere, e fattili prima cozzare un tratto e tintinnire, sollevò il fiasco, lo inclinò sul bicchiere, lo riempì, se lo pose alla bocca, tracannò un sorso, ritirò il bicchiere, battè due o tre volte un labbro contra l'altro, e sclamò: «Ah! questo risusciterebbe un morto! Bella felicità averne dinanzi un buon fiasco! Al diavolo i rangoli, e i pensieri! Non mi duole più nemmeno d'esser vecchia; ma se fossi giovane ih! come vorrei godermela!» Detto questo ripose il bicchiero alla bocca, lo vuotò, e cheta cheta si volse al cantuccio, e rimase tra lo stupore e la stizza, vedendo che anche l'incanto più forte non aveva prodotto alcun effetto. «Non volete mangiare un boccone e bere un sorso?» diss'ella a Lucia. «No»: fu la risposta proferita in modo da non lasciare alla vecchia la lusinga che la insistenza produrrebbe maggior effetto. Finalmente la vecchia si levò dalla tavola, prese una scranna, la portò presso una finestra, e tolta la sua rocca si pose a filare, pensando ai casi suoi ed aspettando la venuta del padrone con molta inquietudine. Per comprendere i pensieri stranamente molesti che ronzavano nella mente della vecchia filatrice è necessario avere una idea di quella mente, e dei casi che l'avevano modificata. Era costei nata (come dice il volgo di Lombardia) sotto le tegole del Conte, o per dir meglio del padre del Conte, dieci anni prima di questo. Ciò ch'ella aveva inteso, ciò ch'ella aveva veduto dai suoi primi anni le avevano dato un concetto grande, indeterminato, predominante del potere e del lustro dei suoi padroni. La massima principale ch'ella aveva attinta dalle istruzioni, dagli esempj, da tutto, era che bisognava obbedir loro: che ciò fosse per dovere, fosse per interesse, fosse per destino erano questioni che non s'erano mai presentate al suo spirito: ella sapeva che bisognava obbedire. Ebbe ella poi l'onore di sposare il custode del castello quando i padroni non facevano ivi che una breve villeggiatura, abitando in Milano la maggior parte dell'anno. L'uficio del marito doveva presentare cento occasioni che rinforzassero ed estendessero l'idea che la nostra allora giovane donna aveva del potere della famiglia per lei sovrana; e le parti ch'ella doveva prendere nei servizj Tag: vecchia lucia conte lettiga tratto padrone tutto stanza porta Argomenti: giovane donna, tanto movimento, brontolio sordo, massima principale Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Corbaccio di Giovanni Boccaccio I nuovi tartufi di Francesco Domenico Guerrazzi Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni Il fiore di Dante Alighieri Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Praga fra i principali poli turistici europei Capo Verde, un'oasi di mare a due ore di aereo da casa Bonifacio, la perla dell'estremo sud Vacanze Maldive, Malé Il tuo viaggio tra le perle del Mar Rosso
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