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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 59non era sul calendario del Conte, perchè senza provocarlo giammai, nè usargli il menomo atto di disprezzo, pure mostrava di non volere stare come gli altri alla suggezione di lui, come chi vive pei fatti suoi e non ha bisogno nè timore di prepotenti. Al Conte fu molto gradita l'opportunità di dare una scuola a questo signore: trovò irrepugnabili le ragioni del debitore, lo prese nella sua protezione, chiamò un servo, e gli disse: «Accompagnerai questo pover uomo dal signor tale, a cui dirai in mio nome che non gli rechi più molestia alcuna per quel debito preteso, perchè io ho riconosciuto che costui non gli deve nulla: ascolterai la sua risposta: non replicherai nulla quale ch'ella sia, e quale ch'ella sia, tornerai tosto a riferirmela.» Il lupo e la volpe s'avviarono tosto dal creditore, al quale il lupo espose l'imbasciata, mentre la volpe stava tutta modesta a sentire. Il creditore avrebbe volentieri fatto senza un tale intromettitore; ma punto dalla insolenza di quel procedere, animato dal sentimento della sua buona ragione, e atterrito dalla idea di comparire allora allora un vigliacco, e di perdere per sempre ogni credito; rispose ch'egli non riconosceva il signor Conte per suo giudice. Il lupo e la volpe partirono senza nulla replicare, e la risposta fu tosto riferita al Conte, il quale udendola disse: «benissimo». Il primo giorno di festa la chiesa del paese dove abitava il creditore era ancora tutta piena di popolo che assisteva agli uficj divini, che il Conte si trovava sul sagrato alla testa di una troppa di bravi. Terminati gli uficj, i più vicini alla porta uscendo i primi e guardando macchinalmente sul sagrato videro quell'esercito e quel generale, e ognun d'essi spaventato, senza ben sapere che cagione di timore potesse avere si rivolsero tutti dalla parte opposta, studiando il passo quanto si poteva senza darla a gambe. Il Conte, al primo apparire di persone sulla porta si era tolto dalla spalla l'archibugio, e lo teneva con le due mani in apparecchio di spianarlo. Al muro esteriore della chiesa stavano appoggiati in fila molti archibugj secondo l'uso di quei tempi nei quali gli uomini camminavano per lo più armati, ma non osavano entrar con armi nella chiesa, e le deponevano al di fuori senza custodia per ripigliarle all'uscita. Tanta era la fede publica in quella antica semplicità! Ma i primi che uscirono non si curarono di pigliare le armi loro in presenza di quel drappello: anche i più risoluti svignavano dritto dritto dinanzi a un pericolo oscuro, impreveduto, e che non avrebbe dato tempo a ripararsi e a porsi in difesa. I sopravvegnenti giungevano sbadatamente sulla soglia, e si rivolgevano ciascuno al lato che gli era più comodo per uscire, ma alla vista di quell'apparato tutti si volgevano dalla parte opposta e la folla usciva come acqua da un vaso che altri tenga inclinato a sbieco, che manda un filo solo da un canto dell'apertura. Si affacciò finalmente alla porta con gli altri il creditore aspettato, e il Conte al vederlo gli spianò lo schioppo addosso, accennando nello stesso punto col movimento del capo agli altri di far largo. Lo sventurato colpito dallo spavento, si pose a fuggire dall'altro lato, e la folla non meno, ma l'archibugio del Conte lo seguiva, cercando di coglierlo separato. Quegli che gli erano più lontani s'avvidero che quell'infelice era il segno, e il suo nome fu proferito in un punto da cento bocche. Allora nacque al momento una gara fra quel misero, e la turba tutta compresa da quell'amore della vita, da quell'orrore di un pericolo impensato che occupando alla sprovveduta gli animi non lascia luogo ad alcun altro più degno pensiero. Cercava egli di ficcarsi e di perdersi nella folla, e la folla lo sfuggiva pur troppo s'allontanava da lui per ogni parte, tanto ch'egli scorrazzava solo di qua di là, in un picciolo spazio vuoto, cercando il nascondiglio il più vicino. Il Conte lo prese di mira in questo spazio, lo colse, e lo stese a terra. Tutto questo fu l'affare di un momento. La folla continuò a sbandarsi, nessuno si fermò, e il Conte senza scomporsi, ritornò per la sua via, col suo accompagnamento. Se quel fatto crescesse in tutto il contorno il terrore che già ognuno aveva del Conte, non è da domandare; e l'impressione comune di stupore, e di sgomento fu tale che nessuno poteva pensare al Conte senza che il fatto non gli ricorresse al pensiero; e così fu associata al nome quella idea, che tutti avevano associata alla persona. Il Conte sapeva che lo disegnavano con questo soprannome, ma lo sofferiva tranquillamente, non gli spiacendo che ognuno, avendo a parlare di lui si ricordasse di quello ch'egli sapeva fare; o forse che avendo in qualche romanzo di quei tempi veduta qualche menzione di Scipione l'Africano, o di Metello il Numidico, amasse di aver com'essi il nome dal luogo illustrato da una grande impresa. Teneva egli dispersi o appostati assai bravi nello Stato milanese e nel veneto, e dal suo castello posto a cavaliere ai due confini dirigeva gli uni e gli altri, facendo ajutare o perseguitare quegli che si rifuggivano da uno Stato nell'altro, secondo l'occorrenza, tramutandone alcuno talvolta, quando qualche operazione lo domandasse, o anche quando alcuno avesse in uno stato commessa qualche iniquità tanto clamorosa che la giustizia per averlo nelle mani facesse sforzi straordinarj, che esigessero sforzi straordinarj per difenderlo. Allora la fuga del reo era una buona scusa ai ministri della giustizia del non far nulla contra di lui, e la cosa finiva quietamente, tanto che dopo qualche tempo non se ne parlava più, nè meno sommessamente, e il reo ricompariva con faccia più tosta che mai. Questo maneggio serviva non poco ad agevolare tutte le operazioni del Conte, perchè le si compivano tutte senza molto impaccio dei ministri della giustizia, i quali potevano sempre allegare l'impossibilità di porvi un riparo. Quanto alle operazioni che il Conte eseguiva di propria mano, la giustizia non se ne mostrava accorta; ed era regola ricevuta di prudenza, che erano di quelle cose in cui ogni dimostrazione avrebbe prodotti più inconvenienti che non il dissimularle. Le sue corrispondenze erano varie, estese, sempre crescenti. Pochi erano i tiranni della città, e di una gran parte dello stato che non avessero qualche volta fatto capo a lui per condurre a termine qualche vendetta o qualche soperchieria rematica, massimamente se la persona da colpirsi, o il fatto da eseguirsi era nelle sue vicinanze. E non basta, fino ad alcuni principi stranieri tenevano comunicazione con lui, e a lui avevano ricorso tal volta per qualche uccisione d'importanza, e quando il caso lo richiedesse gli mandavano rinforzi: fatto attestato dal Ripamonti, e strano certamente per chi misura la probabilità degli avvenimenti e dei costumi dalla sola esperienza dei suoi tempi; ma fatto che cammina benissimo con tutto l'andamento di quel secolo. Nella sua professione d'intraprenditore di scelleratezze, era egli pieno di affabilità nel contrattare, e nell'eseguire metteva, ed esigeva una somma puntualità. Accoglieva con molta riserva certamente per non incorrere nel pericolo al quale era sempre esposto, ma con molta piacevolezza, quelli che venivano a domandare l'opera sua, deponeva con essi il sopracciglio, stipulava con parole spicce, ma pacate, non andava in furia contra chi non avesse voluto stare alle sue condizioni, ma rompeva pacificamente il trattato, non volendo nè disgustare alcuno senza utilità, nè atterrire coloro, i quali avevano per la scelleragine più inclinazione nella volontà, che determinazione di coraggio. Ma stretti i patti, colui che non gli avesse ben fedelmente serbati con lui, doveva esser bene in alto per tenersi sicuro dalla sua vendetta. Don Rodrigo conosceva il Conte non solo di fama (chi non lo conosceva di fama?) ma di persona, per essersi talvolta avvenuto in lui. In tutti questi incontri Don Rodrigo sentendo la sua inferiorità, aveva deposto ogni orgoglio Tag: conte fatto altri folla nulla tutti sempre giustizia creditore Argomenti: due mani, picciolo spazio, muro esteriore, pericolo impensato, iniquità tanto Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Il conte di Carmagnola di Alessandro Manzoni La favorita del Mahdi di Emilio Salgari Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce Libro proibito di Antonio Ghislanzoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Cosa dare da mangiare a un gatto adulto Il trucco giusto per gli occhi celesti Dentisti all'estero Il Boa constrictor Il trucco giusto per gli occhi scuri
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