Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 158

Testo di pubblico dominio

una voce alta ed oratoria che veniva dal tempio. Questo, elevato d'alcuni gradi al disopra del suolo, non aveva allora altro sostegno che le colonne disposte in circolo; nel mezzo v'era un altare che si poteva vedere da tutti i punti del lazzeretto, per mezzo agli intercolunnj vuoti, che in oggi sono murati. Ritto, su la predella dell'altare stava un capuccino, alto della persona, fra la virilità, e la vecchiezza; teneva con la destra una croce posata al suolo che gli sopravvanzava il capo di tutto il traverso; e con l'altra mano accompagnava di gesti il discorso che andava facendo. Era questi il Padre Felice sopraintendente del Lazzeretto. Fermo, giunto sull'orlo di quella adunanza avrebbe voluto avanzarsi a trascorrerla, e cercare ciò che gli stava a cuore; ma senza contare un altro capuccino che, con un aspetto tanto severo anzi burbero, quanto quello dell'oratore era pietoso, stava ritto in mezzo alla brigata per tener l'ordine; quella quiete generale, quell'attento silenzio, e quella unica voce bastarono ad avvertire il nostro ansioso che ogni movimento sarebbe stato in quel luogo scompiglio, e irriverenza. Stette egli dunque alla estremità della brigata ad aspettare, e udì la perorazione di quel singolare oratore. «Diamo adunque», diceva egli, «un ultimo sguardo a questo luogo di miserie e di misericordia, pensando quanti vi sono entrati, quanti ne sono stati tratti fuora per la fossa, quanti vi rimangono, quanto pochi al paragone siam noi, che ne usciamo non illesi, ma salvi, ma colla voce da lodarne Iddio. L'anima nostra ha guadato il torrente; l'anima nostra ha guadate le acque soverchiatrici: benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia, benedetto nella morte, benedetto nella salvezza, benedetto nel discernimento ch'Egli ha fatto di noi in questo sì vasto, sì smisurato eccidio! Ah possa essere questo un discernimento di clemenza! possa la nostra condotta da questo momento esserne un indizio manifesto! Attraversando questo mare di guaj, diamo uno sguardo di pietà, e di conforto, a quegli che si dibattono tuttavia con la tempesta, e dei quali, ah quanto pochi, potranno come noi afferrare un porto terreno. Ci vedano uscirne, rendendo grazie per noi, ed elevando preghiere per essi! Attraversando la città già sì popolosa, noi scarsa restituzione dell'immenso tributo ch'essa mandò in questo luogo, mostriamo agli scarsi suoi abitatori un popolo scemato sì, ma rigenerato. Procediamo con la compunzione nel volto, e coi cantici su le labbra. Quegli che son ritornati nella pienezza dell'antico vigore, porgano un braccio soccorrevole ai fiacchi; gli adulti reggano i teneri, i giovani sostengano con riverenza e con amore i vecchj, ai quali la salute ritornata non apporta che pochi giorni di stento. E se in questo soggiorno di prova, in questo stesso crogiuolo di purgazione abbiam peccato; se abbiamo abusato anche dei flagelli, se abbiamo sciupati i doni e le ricchezze dello sdegno, come già quelli della benignità; ebbene! non abbiam però potuto esaurire il tesoro del perdono: ricorriamo ad esso di nuovo. Per me...» E qui l'oratore fece pausa, straordinariamente commosso; poi tolse una corda che gli stava ai piedi, se la avvinghiò al collo come ad un malfattore, cadde ginocchioni, e proseguì: «Per me, e per tutti i miei compagni, i quali, sebbene immeritevoli, siamo stati per una ineffabile degnazione trascelti all'alto privilegio di servir Cristo in voi; se, come è pur troppo, non abbiamo degnamente corrisposto ad un tanto favore, se non abbiam degnamente adempiuto un sì grande ministero... perdonateci! Se la fiacchezza, o la ritrosia della carne ci ha resi men pronti ai vostri bisogni, alle vostre chiamate, perdonateci! se una ingiusta impazienza se una noja colpevole ci ha fatto talvolta nei vostri mali mostrarvi un volto severo, e fastidito, perdonateci! Se la corruttela d'Adamo ci ha fatto trascorrere in qualche azione che vi sia stata cagione di tristezza, e di scandalo, perdonateci! Nessuno porti fuor di qui altra amaritudine che delle sue proprie colpe!» Così detto, stette egli ginocchioni, come aspettando un segno che l'umile e cordiale suo prego era accetto ed esaudito. Un singhiozzo, un pianto, un gemito universale si levò da quella turba a rispondere. Dopo qualche momento il frate s'alzò, prese la croce ad ambe mani, e l'inalberò; scese dalla predella, e quivi depose i sandali; gridò ad alta voce: «andiamo in pace»; poi intonò il Miserere; e scalzo, portando dinanzi a sè quell'alta croce pesante, scese gli scaglioni del tempio dalla parte rivolta alla porta meridionale del lazzeretto che sbocca dinanzi alla mura della città; e s'incamminò verso quella. Dietro lui s'avviò la torma dei fanciulletti, di quelli cioè che potevano reggersi, e sapevano condursi da sè; poi le donne, alcune delle quali tenevan per mano, o nelle braccia fanciulline, o bambini, e con fioca voce cantavano il salmo intonato dal guidatore; poi gli uomini pur cantando; poi carri di convalescenti, e delle bagaglie di quei che partivano: quelle che in tanta confusione s'eran potuto serbare, e raccogliere. Ultimo veniva quell'altro capuccino che abbiamo menzionato, con un gran vincastro in mano; e coi cenni di quello, con gli occhi e con la voce, teneva in sesto il convoglio. Era questi un Padre Michele Pozzobonelli, il coadiutore più autorevole, e come il primo ministro del Padre Felice, in quel regno di desolazione. Fermo, tosto ch'ebbe veduto questo scender dal tempio, e notato da che parte s'avviava, entrò di nuovo fra le capanne per pigliare i passi innanzi, senza dare nè ricever disturbo e sboccar poi di nuovo su la strada per dove la processione doveva passare. Dalla porta meridionale al tempio v'era infatti come una strada, uno spazio che s'era lasciato sgombro di capanne per dar passaggio ai carri degli infermi che per lo più entravano da quella porta, e da quello spazio poi si distribuivano a dritta e a sinistra, come si poteva. Fermo riuscì su quella, al mezzo in circa; e vide venire il vecchio crocifero, lo vide passare, vide passare i ragazzi, e poi con un gran battito al cuore, esaminò le donne che pur passavano; e lo potè fare a suo agio, perchè elle procedevano a due a due. Passa, passa; guarda, guarda: qui non v'è, qui nè pure; più che la metà è passata; poche ne rimangono; compajono le ultime della fila femminile; ecco gli uomini: Lucia non v'era. Quanta speranza svanita! Rimanevano però i carri ancora: Fermo gli vedeva venire; e i primi erano carichi di donne. Stette dunque aspettando, lasciò passare la schiera degli uomini; guardò ad uno ad uno quei carri. Passavano lentamente, si arrestavano talvolta come accade nelle processioni e nelle marce d'ogni genere; di modo che Fermo potè aver la trista certezza che nessuna di quelle donne era sfuggita alla sua vista; e che Lucia non v'era. Le braccia gli caddero, quando si vide finire in mano l'unico, o almeno il più forte filo delle sue speranze. Anche prima di vedere trascorrere quella per lui sì trista rassegna, egli sentiva pur troppo, quanto era più probabile che Lucia fosse nel numero dei tanti portati fuora dal lazzeretto sui carri, che dei pochi risanati: ma pure, come si suole egli metteva il suo desiderio sul guscio della speranza, e faceva traboccare le bilance da quella parte. Ma ora, egli credeva di dovere esser certo che Lucia non era tra i guariti, nè tra i convalescenti: la contingenza più lieta per lui, l'unica sua speranza (quale speranza!) era ormai ch'ella fosse ivi languente, ma viva. Passato tutto il convoglio, passato il Padre Michele, Fermo si mise senza troppo pensare dove andasse, su quella via rimasta sgombra, e le sue gambe lo portarono dinanzi al tempio. Quivi gli vennero alla mente le parole del buon frate Cristoforo: – Se non ve la scorgi, fa cuore tuttavia... Cercala con rassegnazione. – Si prostrò su gli scaglioni del tempio, fece a Dio una preghiera, o per dir meglio, un viluppo

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Argomenti: ultimo sguardo,    padre felice,    porta meridionale,    aspetto tanto,    braccio soccorrevole

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