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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 49sventura di Geltrude volle che l'occasione si presentasse; e Geltrude si portò in quella come era da temersi, e come diremo nel seguente capitolo. cap. 5 Il quartiere dove abitavano le educande e con esse Geltrude e le sue damigelle, era annesso al monastero, ma appartato, e comunicava con esso per mezzo d'un corridojo. Era un cortiletto quadrato, ricinto a terreno da un porticato continuo, sul quale per tutti e quattro i lati girava un basso ed unico piano di abitazione. Il lato appoggiato a quella parte del chiostro ove dimoravano le suore, era un lungo stanzone, che serviva alla scuola ed alla ricreazione delle educande; un altro lato era occupato pure da un lungo stanzone che serviva di dormitorio: il terzo diviso in varie camere era l'appartamento della Signora e delle sue damigelle; il quarto finalmente più stretto degli altri era tenuto dal corridojo che conduceva nell'interno del chiostro, il quale abbracciava il cortiletto da tre lati. L'altro, e appunto quello occupato dall'appartamento di Geltrude, era contiguo ad una casa privata e signorile, o per meglio dire ad una parte rustica e non finita di quella casa. Era dessa elevata al di sopra del quartiere delle educande, ma quello che se ne poteva vedere da quindi pareva piuttosto una catapecchia, un casolaraccio, che una parte di casa civile: erano tetti e tettucci diseguali di altezza e di forma soprapposti l'uno all'altro come a caso. Ma in uno di quei tetti v'era un pertugio, un abbaino, che dava luce ad un solajo, e adito a passare su quei tetti, e dal quale si poteva guardare nel cortiletto delle educande. Era severamente prescritto alle monache dagli ordini ecclesiastici, che dovessero togliere ai vicini ogni vista nel loro chiostro; ma o fosse che, per essere quella parte di casa disabitata, le monache non avessero mai badato a quel pertugio, o fosse che la spesa per liberarsi da quella servitù eccedesse la possibilità del monastero, o che non si potesse venirne a capo senza quistioni, il fatto è che da quel pertugio si guardava nel cortiletto delle educande; e un altro fatto assai tristo si è che il padrone di quella casa era un giovane scellerato: e questa parola applicata ad un uomo di quei tempi ha un senso molto più forte di quello che generalmente vi s'intende nei nostri; perchè a quei tempi tante cagioni favorivano la scelleratezza, che in coloro i quali vi si distinguevano, ella giungeva ad un segno del quale grazie a Dio, non si può avere una idea dalla esperienza comune del vivere presente. I mezzi d'impunità erano allora varj ed infiniti; la frequenza dei delitti ne aveva diminuito il ribrezzo e la vergogna: gli animi erano avvezzi ed allevati per dir così nel sangue: da questi fatti era nato un pervertimento quasi generale nelle idee, e allo stesso tempo la perversità delle idee rendeva quei fatti più comuni, e più tollerati. La vendetta, per esempio, era comunemente stimata non solo lecita, ma onorevole, ma comandata in alcuni casi; e benchè i ministri della religione non l'avessero mai fatta piegare nelle istruzioni pubbliche a questa massima perversa, benchè non avessero anzi cessato giammai di inveire contra la vendetta e contra le massime che la autorizzavano, pure l'opinione quasi generale del mondo sussisteva col favore di una distinzione che a malgrado della sua assurdità, o forse a cagione della sua assurdità non è ancora del tutto caduta in disuso: si diceva che i preti facevano il loro dovere, che dicevano benissimo, che la vendetta secondo la religione era viziosa, ma ch'ella era un dovere secondo le leggi dell'onore: così si diceva e non dai più perversi, nè dai più stolti. Ora queste leggi dell'onore erano in allora molto draconiane; e domandavano sangue per molti casi; senza che questo onore così delicato si stimasse poi offeso, se per necessità, il sangue si fosse dovuto versare a tradimento, o per mano di sicarj. Ne veniva di conseguenza che gli omicidj erano molto frequenti, che uno commesso diveniva causa di un altro, e così all'infinito, e che l'orrore al sangue si diminuiva con l'abitudine, anche negli uomini che non erano sanguinarj, e che si era formato come un sentimento universale che una certa misura di animosità, di crudeltà e di delitti fosse una condizione necessaria inevitabile della società; chi avesse detto che quello era un male temporario, e speciale sarebbe stato deriso come un ottimista, un utopista, un sognatore metafisico: appena uno si sarebbe degnato di rispondergli: «gli uomini sono sempre stati e saranno sempre così». Portate le idee comuni a questo punto di licenza in molti, e di tolleranza e di rassegnazione in quasi tutti gli altri, egli è chiaro che gli uomini i quali avevano una tendenza distinta alla perversità, per giungere al colmo di essa, pigliavano le mosse da un punto ben più avanzato, ben più vicino al termine che non sieno le idee comuni dei nostri giorni; trovavano meno ostacoli e più incitamenti che ai nostri giorni a giungervi, e vi giungevano. L'omicida ai nostri giorni, quand'anche fosse impunito sarebbe un oggetto di orrore, oggetto forse di più profondo orrore sarebbe chi senza commettere l'omicidio di propria mano ne avesse dato l'ordine ed il prezzo; e tali rei, oltre le pene legali, dovrebbero temere di perdere tutte le dolcezze della comune società. Quindi l'uomo, che in qualunque condizione, aspira a goderle, ha pure da questo lato un freno potente. Ma allora v'erano molti casi in cui l'avere ucciso, o fatto uccidere non toglieva alla riputazione d'un uomo: l'omicida volontario era ammesso a giustificarsi e a render ragione dinanzi alla opinione pubblica: non si trattava che di provare che il caso richiedeva l'omicidio, che il delitto era una azione tollerata, o prescritta dalle leggi della opinione stessa. La speranza di poter fare questa giustificazione, dinanzi ad una opinione già tanto perversamente indulgente, e di farla accettare col terrore doveva essere, ed era uno stimolo ai tristi potenti per correre allegramente la loro via. Bastava quindi un leggero interesse, una picciola passione a spingere anche i meno tristi fra i tristi ad attentati, ai quali ora si risolverebbero a fatica gli uomini i più avvezzi al delitto, benchè vi fossero tratti da un interesse molto maggiore, da una passione molto più violenta. Sarebbe un soggetto degno di curiosità, la ricerca delle cagioni per cui quelle idee e quei costumi, dopo aver regnato per troppe età in quasi tutte le nazioni d'Europa, sieno poi stati da migliaia di scrittori, e da milioni di parlanti attribuite poi esclusivamente agli Italiani. Ma noi invece di avviarci in una nuova digressione, ne abbiamo ora una, e anzi lunghetta che no, da farci perdonare: torniamo quindi alla storia. Il padrone della casa contigua al quartiere delle educande, era dunque un giovane scellerato: e si chiamava il signor Egidio: perchè di cognomi, come abbiam detto, l'autor nostro è molto sparagnatore. Suo padre, uomo dovizioso bastantemente non aveva avuta altra mira nell'educarlo, che di renderlo somigliante a se stesso: ora egli era un solenne accattabrighe: Egidio non aveva quindi sentito dall'infanzia a parlar d'altro che di soddisfazioni e di fare stare, non aveva veduto quasi altro che schioppi e pugnali; e dalle braccia della nutrice era passato in quelle degli scherani. La madre, ch'era di un carattere mansueto e pio, avrebbe potuto forse temperare in parte questa educazione ma ella era morta lasciando Egidio nella infanzia, dopo una lenta malattia cagionata dai continui spaventi. Il padre fu ucciso dopo una brevissima quistione da un suo emolo membro di una famiglia emola della sua da generazioni; ed Egidio restò solo e padrone nella giovinezza. La prima sua impresa fu di risarcire l'onore della famiglia, con una schioppettata nelle spalle dell'uccisore di suo padre. Questa impresa però lo pose da quel momento in un continuo pericolo; e per assicurarsi, egli dovette crescere il numero de' suoi bravi, e non Tag: casa uno sarebbe parte idee sangue uomo opinione uomini Argomenti: sentimento universale, terzo diviso, esperienza comune, vendetta secondo, profondo orrore Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga Novelle rusticane di Giovanni Verga Romanzo d'una signorina per bene di Anna Vertua Gentile Decameron di Giovanni Boccaccio Articoli del sito affini al contenuto della pagina: A chi rivolgersi per adottare un gatto Caratteristiche del mixed wrestling Catturare farfalle per allevarle Trattare le smagliature in modo naturale Festa della donna
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