Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 121

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del rivedere, il terrore della dimenticanza. Meno potente, meno scolpita, ma pure mista anch'essa di compiacenza e di dolore, gli appariva pure l'immagine di quella povera Agnese, che lo aveva voluto per figlio, e che a cagione di questo buon pensiero si trovava ora fuor di casa, e assediata da quelle sollecitudini che non hanno alcun compenso di consolazione. Con questa lanterna magica dinanzi alla mente vegliò Fermo tutta quella notte: quand'anche i pensieri non gli avessero tolto il sonno, il disagio e il pericolo della postura, e il freddo, che cominciava a frizzare lo avrebbero tenuto lontano. Finalmente, quando la luce cominciò a dar forma e colore alle cose, Fermo guardando attentamente al fiume, vide un pescatore che costeggiava la sponda, e che slegava un battello; scese dall'albero, e si avviò a quella parte, e vi giunse prima che il pescatore salpasse. «Amico, volete voi farmi il piacere di traghettarmi all'altra riva?» disse Fermo al pescatore che guardava non senza sospetto lo sconosciuto che a quell'ora gli si accostava. «Volentieri,» rispose il pescatore, dopo aver guardato diligentemente intorno se non v'era alcun testimonio, e lo accolse nella barca, lo condusse all'altra riva, senza fargli altro motto. Fermo prima di scendere a riva, cavò una mezza lira, e la diede al pescatore che, dopo aver fatta qualche cerimonia, la prese, e condusse la sua barca al largo. Perchè nessuno si faccia maraviglia della pronta e discreta cortesia del pescatore, dobbiamo avvertire che quest'uomo era avvezzo ad essere richiesto sovente dello stesso servizio da contrabbandieri, e da fuorusciti; e la massima forse la più importante della sua politica di pescatore era di non farsi nemico nessuno di costoro, perchè la sua barca e la sua vita era quasi sempre in loro balìa. Prestava egli adunque ad essi quel servizio tutte le volte che potesse farlo senza correre rischio dalla parte di gabellieri, di soldati, o di esploratori, altre classi ch'egli doveva rispettare per un altro punto della sua politica. Pigliò dunque Fermo per uomo d'una delle due prime condizioni, senza darsi briga di appurare quale, e lo servì. Fermo, posto piede sulla terra di San Marco, respirò davvero; e, alla prima insegna che vide, entrò a ristorarsi col cuore più largo. Sentì quivi pure relazioni e ragionamenti su gli avvenimenti di Milano: a dir vero egli avrebbe potuto rettificare in molte parti i fatti e le riflessioni; ma da quei fatti egli aveva appunto imparato a tacere. Continuò la sua strada, giunse a Bergamo, fece inchiesta di quel suo cugino, e gli si presentò. Era questi lavoratore di seta, come Fermo, e uno di quei tanti che vedendo mancarsi il lavoro a cagione delle discipline assurde che a quei tempi erano prescritte nel milanese, e dei pesi insopportabili d'ogni genere, avevano portata la loro industria in un altro stato, dov'erano bene accolti e protetti. Massajo, e diligente in sei anni da che si trovava a Bergamo, aveva egli fatta una provvigione che gli era di grande soccorso in quell'anno malvagio. Rivide egli con piacere Fermo che aveva instradato nei lavori della seta, e a cui aveva fatto da padre, e lo accolse lietamente, prese parte alle sue traversie, e gli promise intanto di procacciargli lavoro. «Se non ne troveremo,» soggiunse, «starai con me, mangeremo insieme un po' di pane; e quando torneranno gli anni grassi, mi pagherai di tutto, e farai un buon marsupio anche per te.» Se quel brav'uomo avesse letto Virgilio non avrebbe mancato di dire in questa occasione: Non ignara mali miseris succurrere disco: perchè in fatti questo era il suo sentimento. Lasceremo per ora Fermo, giacchè si trova in una situazione tollerabile, e torneremo alla sua e nostra Lucia. cap. 9 Dobbiamo ora far conoscere al lettore i personaggi coi quali si trovava Lucia. Don Valeriano, capo di casa, ultimo rampollo d'una famiglia illustre che pur troppo terminava in lui, uomo tra la virilità e la vecchiezza, era di mediocre statura, e tendeva un pochetto al pingue, portava un cappello ornato di molte ricche piume, alcune delle quali spezzate al mezzo cadevano penzoloni e d'altre non rimaneva che un torso: sotto a quel cappello si stendevano due folti sopraccigli, due occhi sempre in giro orizzontalmente, due guance pienotte per sè, e che si enfiavano ancor più di tratto in tratto e si ricomponevano mandando un soffio prolungato, come se avesse da raffreddare una minestra: sotto la faccia girava intorno al collo un'ampia lattuga di merletti finissimi di Fiandra lacera in qualche parte e lorda da per tutto: una cappa di... sfilacciata qua e là gli cadeva dalle spalle, una spada col manico di argento mirabilmente cesellato, e col fodero spelato gli pendeva dalla cintura; due manichini della stessa materia, e nello stesso stato della gorgiera uscivano dalle maniche strette dell'abito, e un ricco anello di diamanti sfolgorava talvolta, nell'una delle due sudicie sue mani: talvolta; perchè quell'anello passava anche una gran parte della sua vita nello scrigno d'un usurajo; e in quegli intervalli, Don Valeriano gestiva alquanto meno del solito. Questo contrasto nel suo abito esteriore nasceva da altri contrasti del suo carattere e delle sue circostanze. Don Valeriano portato al fasto e alla trascuraggine era anche ricco e povero. Già da molto tempo aveva egli divorato a furia di sfarzo, e lasciato divorare a furia di negligenza e d'imperizia il suo patrimonio libero; e sarebbe egli rimasto povero del tutto e per sempre, se un suo sapiente antenato non avesse anticipatamente provveduto a quel caso, istituendo un pingue fedecommesso. Don Valeriano quindi, benchè nell'animo non fosse molto dissimile dal selvaggio di Montesquieu, non poteva, com'egli, abbatter l'albero per coglierne il frutto: e non poteva far altro che lanciar pietre al frutto per farlo cadere acerbo e ammaccato. Viveva di prestiti: e per trovarne doveva ricorrere ai più spietati usuraj; e subire le più rigide leggi che essi sapessero inventare, e per supplire alla legge comune che non dava loro alcun mezzo di ricuperare il prestato, e per pagarsi del rischio. E siccome nelle idee di Don Valeriano le pompe e il fasto tenevano il primo luogo, così alle pompe e al fasto erano tosto consecrati i denari che toccavano le sue mani; e il necessario pativa. In mezzo a queste cure incessanti Don Valeriano non aveva lasciato di coltivare il suo ingegno, e senza essere un dotto di mestiere, poteva passare per uno degli uomini colti del suo tempo. Possedeva una libreria di varie materie, la quale per poco non aggiungeva ai cento volumi; e aveva impiegato su quelli abbastanza tempo e studio per avere una cognizione fondata nelle scienze più importanti e più in voga: teneva i principj, e quindi non era mai impacciato nelle applicazioni. L'astrologia era uno di quei rami dell'umano sapere, nei quali Don Valeriano era versato. Sapeva non solo i nomi e le qualità delle dodici case del cielo, le influenze che hanno in ciascuna i diversi pianeti: ma conosceva anche in parte la storia della scienza, la quale è parte della scienza stessa: ne conosceva i cominciamenti, il progresso: come era nata nell'Assiria, e ci doveva nascere: giacchè essendo il cielo un gran libro, e il cielo dell'Assiria molto sereno, è naturale che ivi si cominci a leggere, dove i libri sono più chiari e intelligibili; sapeva a memoria un buon numero delle più stupende e clamorose predizioni che si sono avverate in varii tempi: e aveva in pronto gli argomenti principali che servivano a difendere la scienza contra i dubbj e le obiezioni dei cervelli balzani degli uomini superficiali e presuntuosi che ne parlavano con poco rispetto; perchè anche a quel tempo v'era degli uomini così fatti. Della magia aveva pure una cognizione più che mediocre, acquistata non già con la rea intenzione di esercitarla, ma per ornamento dell'ingegno, e per conoscere le arti così dannose dei maghi e delle streghe, e potere così entrare a parte della

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Argomenti: famiglia illustre,    ricco anello,    legge comune,    ultimo rampollo,    abito esteriore

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