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Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 77l'intelligenza di quelli a cui saranno rivelate, di trovare un campo dove sia tosto raccolta la sementa delle idee ch'egli vorrebbe far germogliare: la sua fiducia, il suo ardimento, la sua fecondità nasce in gran parte dalla certezza di un assenso, o almeno di una comprensione, o almeno di una resistenza ragionata. Veggansi per esempio le opere di eloquenza di due sommi ingegni, vissuti in circostanze ben diverse nella età posteriore a quella di Federigo, Segneri e Bossuet. Veggasi quali idee, quale abitudine di linguaggio, quali pregiudizj anche suppongano le orazioni funebri di questo negli ascoltatori di quelle; veggasi dalle prediche del Segneri che opinioni egli doveva distruggere, in che sfera d'idee egli doveva attignere i suoi mezzi, le sue prove per persuadere quegli ingegni, a quali costumanze egli doveva alludere; nella differenza dei due popoli ascoltanti è certamente in gran parte la spiegazione della somma distanza fra le opere di due ingegni ognuno dei quali era grande. Prima che un popolo il quale si trova in questo grado d'ignoranza possa produrre uomini per sempre distinti, è d'uopo che molti sorgano a poco a poco da quella universale abiezione, che riportino su gli errori, su la inerzia comune molte vittorie d'ingegno difficili, e che saranno dimenticate; che attirino con grandi sforzi le menti a riconoscere verità che sembrano dover essere volgari, che preparino agli intelletti venturi una congerie d'idee delle quali o contra le quali si possano fare lavori degni di osservazione; e che finalmente col progresso, con la esattezza, con la fermezza e perspicuità delle idee migliorino a poco a poco il linguaggio comune, dimodochè i sommi ingegni possano avere uno stromento che renderanno perfetto, ma che pure hanno trovato adoperevole, possano per quell'istinto d'analogia che ad essi soli è concesso, arrivare a quelle formole inusitate, ma chiare, ardite, ma sommamente ragionevoli, nelle quali sole possono vivere i grandi pensieri. Questo fa d'uopo; ovvero che la coltura più matura, più perfezionata d'un altro popolo venga ad educare quello di cui abbiamo parlato. Allora gl'ingegni singolari attirati dalla luce del vero da qual parte ella si mostri, si levano dalla moltitudine dei loro concittadini, e tendono al punto che essi scorgono il più alto. Cominciano allora le ire di molti, e i lamenti di altri contra l'invasione delle idee barbare, contra la dimenticanza delle cose patrie, contra la servilità agli stranieri, contra il pervertimento del linguaggio e del gusto; e non si può negare che queste ire e questi lamenti non atterriscano alcuni, e non gli contristino a segno di far loro abbandonare la via di studio intrapresa; giacchè fargli ritornare al falso conosciuto è cosa impossibile. Ma v'ha pure di quegli ingegni ai quali è per così dire comandato di fare; e questi tenendosi in comunicazione con un'altra età o con un'altra società d'uomini, dicono ai loro contemporanei cose che questi ascoltano da prima con disprezzo e con indifferenza, quindi in parte pure con qualche curiosità quando la fama viene dallo straniero ad avvertirli che fra loro v'è uno scrittore, imparano un poco mal loro grado, e sono poi quasi tutti concordi sul merito dello scrittore quand'egli ha dato l'ultimo sospiro. Così, un secolo forse dopo Federigo, cominciò a rinascere in Italia un po' di coltura, e fra quella a sovrastare alcuni scrittori dei quali vivono le opere e la memoria; ma i principj di quel risorgimento non furono un progresso, un perfezionamento delle idee allora dominanti; fu una nuova coltura introdotta in opposizione alle idee predominanti; sul che tutti concordano. Ma intorno alla sorgente di questa nuova coltura v'ha due opinioni estremamente disparate. Alcuni, anzi moltissimi, hanno creduto, e detto che dal fondo della ricchezza letteraria del secolo decimosesto e dai pochi sommi scrittori più antichi sieno state tolte le idee le quali hanno rinovellato lo spirito della letteratura, e ricondotto il colto pubblico al senso comune; e che principalmente dai canzonieri del Petrarca e del Costanzo sia stata tolta la luce che dissipò le tenebre del seicento. Infatti i primi riformatori, si posero, come alla faccenda più premurosa, ad imitare quelle rime che l'immortale Costanzo vergò, per placare, se fosse stato possibile, quell'empia tigre in volto umano, su la quale è così diviso e combattuto il sentimento della posterità. Poichè, quando si pensa ai dolori intimi, incessanti, cocenti che quella tigre fece tollerare a quel celebre sventurato, non si può a meno di non sentire per essa, voglio dire per la tigre, un certo orrore, un rancore vendicativo. Ma quando poi si venga a riflettere che senza quei dolori non sarebbero stati partoriti quei sonetti e quelle canzoni, che senza quei sonetti e senza quelle canzoni, l'Italia si rimarrebbe forse forse tuttavia nell'abisso del gusto perverso, allora si prova una certa non solo indulgenza, ma riconoscenza per colei che con la sua crudeltà fu occasione, fu causa d'un tanto utile e glorioso effetto, si vede allora quanto sia vero che le grandi cognizioni non vengono all'intelletto degli uomini che per mezzo di grandi dolori. Questo è detto nell'ipotesi di coloro i quali tengono che la rivoluzione nelle lettere, il ritorno ad un certo qual senso comune, che ebbe luogo nel principio del secolo decimottavo, abbia cominciato dalla poesia, e sia venuto nella poesia dallo studio ripreso dei cinquecentisti, e del Costanzo in ispecie. Ma non si deve dissimulare che v'ha alcuni altri (pochissimi invero) i quali tengono invece che la lettura degli insigni scrittori francesi, che fiorirono appunto nel tempo in cui le lettere in Italia erano più stolide e più vuote, cominciò a risvegliare alcuni italiani, a dar loro idea d'una letteratura nutrita di ricerche importanti, di ragionamenti serj, di discussioni sincere, d'invenzioni che somigliassero a qualche cosa di umano, e di reale, diretta a far passare nell'ingegno dei lettori una persuasione ragionata di chi scriveva, a condurre i molti ad un punto più elevato di scienza, di sentimento a cui erano giunti alcuni con una meditazione particolare. Scorgono costoro che questi italiani cominciarono ad imparare dalla lettura di quei libri, e furono dal confronto nauseati degli scritti, dei giudizj, degli intenti, dei metodi, delle riputazioni, di tutta insomma la letteratura italiana di quel tempo; e cominciarono a porre essi nei loro scritti una cura più esatta a cercare un vero importante, e lo fecero con una mente più disciplinata, più addestrata a questa ricerca, e diffusero a poco a poco nei cervelli dei loro concittadini il buon senso che avevano attinto. Questa tengono essi che fosse non la sola cagione, ma la principale, la prossima della rivoluzione generale e osservabile nel gusto letterario degli italiani. I pochi i quali tengono questa opinione, si trovano in un bell'impiccio; perchè mettendola fuori, sono certi di acquistarsi il titolo di cattivi cittadini; e fanno compassione; perchè è doloroso il trovarsi tra la necessità o di negare la verità conosciuta, o di acquistarsi un titolo brutto e odioso. E in verità noi vorremmo avere qualche autorità, qualche appicco, qualche entratura coi loro avversari, per poterli pregare di provare soltanto con ragioni di fatto che quella opinione è falsa, e di lasciare da banda quel titolo affatto estraneo alla questione, e fuori di proposito. E infatti, se fosse a proposito, dovrebbe applicarsi a tutti gli uomini di qualunque nazione sieno, i quali riconoscano che la loro possa essere stata coltivata con gli studj d'un'altra: ora noi non applichiamo generalmente questa misura; poichè quando troviamo negli scritti d'un francese quella opinione che la Francia barbara, incolta, abbia ricevuta la luce delle lettere per mezzo dei grandi scrittori d'Italia; noi non chiamiamo quella opinione una ingiuria fatta da quegli scrittori alla loro patria, ma una generosa Tag: idee poco grandi contra due uomini opinione comune coltura Argomenti: età posteriore, inerzia comune, rivoluzione generale, gusto letterario, titolo brutto Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis Decameron di Giovanni Boccaccio La divina commedia di Dante Alighieri Fior di passione di Matilde Serao Garibaldi di Francesco Crispi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Madrid, la regina della "movida" Vacanze Estate Savona Dieta Dukan sì o no? 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