Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 144

Testo di pubblico dominio

si abbandonavano sempre più a quella stanca trascuratezza che è compagna della disperazione. L'altro effetto più deplorabile, atroce, fu di estendere, di facilitare, di irritare i sospetti e di giustificare di santificare, tutte le offese più crudeli che quei sospetti potevano suggerire. Non solo dallo straniero, dal nimico, dalla via publica si temeva, ma si guardava alle mani dell'amico, del servo, del congiunto, ma si poneva il piede con sospetto per la casa, ma orribil cosa! si tremava al contatto della mensa, del letto nuziale. Il viandante straniero che non ben sapendo fra che uomini si trovava, si rallentasse a baloccare sul cammino, o che stanco si sdrajasse per riposare, il mendico che per città si accostava altrui tendendo la mano, colui che inavvertentemente toccasse la parete d'una casa, l'affrettato che urtasse altri per via, erano untori; al terribile grido d'accusa accorrevano quanti avevan potuto udirlo; l'infelice era oppresso, straziato, talvolta morto dalle percosse, o strascinato alle carceri tra gli urli e sotto le battiture, benediceva nel suo cuore affranto quelle porte, e vi entrava come dalla tempesta nel porto. E quante volte saranno accorsi alle grida, avranno partecipato al furore comune, di quegli stessi che più tardi poi dovevano esser vittime d'un simile furore. Così l'irreligione esacerbava la sciagura che una applicazione falsa ed arbitraria della religione aveva estesa ed accresciuta. Dico l'irreligione, perchè se l'ignoranza e la falsa scienza delle cose fisiche, e tutte le altre cagioni di cui abbiamo parlato di sopra poterono far ricevere comunemente l'opinione astratta di unzioni e di congiure, furono certamente le disposizioni anti-cristiane di quel popolo corrotto che rendettero quella opinione attiva, e feroce nell'applicazione. Nessuna ignoranza avrebbe bastato a così orrendi effetti, quando fosse stata congiunta con quel sentimento pio che dispone gli animi alla tranquillità ed alla riflessione, che avverte a pensar di nuovo quando il pensiero diventa un giudizio, una azione su le persone; se fosse stata insomma congiunta con quella carità che è paziente, benigna, che non s'irrita, che non pensa il male, che tutto soffre. Ma l'intolleranza della sventura, la disistima e l'obblio delle speranze superiori a tutte le sventure del tempo, l'orrore pusillanime e furioso della morte, erano le cagioni che mantenevano negli animi una irritazione avida di sfogo e di vendetta, e quindi sempre in cerca di fatti che ne dessero l'occasione, quindi ancora pronta a trovar questi fatti ad ogni momento. Il Ripamonti riferisce due esempj di quel furor popolare, avvertendo bene i suoi lettori di averli trascelti, non già perchè fossero dei più atroci fra quegli che accadevano alla giornata, ma perchè di quei due egli fu testimonio. Tre giovani francesi, un letterato, un pittore, e un meccanico in mal punto venuti per istudio, e per guadagno, stavano contemplando il duomo al di fuori. «È tutto marmo,» dicevano; e come per accertarsi, stesero la mano a toccare la liscia superficie. Bastò! la folla agglomerata in un istante gl'involse; furono stretti, tenuti, percossi con tanto più di furore, perchè le vesti, la chioma, il volto, le grida stesse gli accusavano stranieri, e quel che era peggio, francesi. A calci, a pugni, a strascichi, furono menati in carcere. Per buona sorte le carceri eran vicine, e vi giunsero vivi; e per una sorte ancor più felice, i giudici gli trovarono innocenti, e gli rilasciarono. L'altro caso fu più funesto. Un giorno solenne, nella chiesa di Sant'Antonio, frequente di popolo quanto poteva comportare quel tempo, un vecchio più che ottogenario aveva orato lungamente ginocchioni. E forse, pensando agli anni suoi, e al contagio che minacciava ogni persona, egli avrà offerto a Dio il sacrificio d'una vita ormai tanto caduca. Ma un destino più maturo della vecchiezza, più sollecito della peste, il furore degli uomini gli stava sopra. Stanco egli volle sedersi; e prima con la cappa spolverò alquanto la panca. «Il vecchio unge le panche!» gridarono alcune donne che videro quell'atto. Il vecchio! e a quel nome che richiama pensieri di compassione e di riverenza, il sospetto in quel momento non lasciò associare altre idee che di una più fredda malizia, d'una perversità incallita. Il grido passò di bocca in bocca; tutti si levarono; una turba fu addosso al vecchio. Lo presero, gli stracciarono i capegli bianchi, gli acciaccarono di pugni il volto e le membra: avrebbero ficcati i pugnali in quel corpo quasi esanime; se un furore più pensato non gli avesse consigliati di serbarlo alle carceri, ai giudici, alle torture. «Io lo vidi, così strascinato,» dice il Ripamonti, «nè altro seppi della fine; ma stimo ch'egli sia tosto morto dagli strazj. E alcuni» aggiunge questo scrittore, «che mossi a pietà di così indegno caso, chiesero contezza dell'essere di quello sventurato, riseppero che egli era un uomo dabbene.» I magistrati, i quali avrebbero dovuto reprimere e punire quell'iniquo furore, lo imitarono e lo sorpassarono con giudizj motivati e ponderati al pari di quei popolari che abbiam riferiti, con carnificine più lente, più studiate, più infernali. Passare questi giudizj sotto silenzio sarebbe ommettere una parte troppo essenziale della storia di quel tempo disastroso; il raccontarli ci condurrebbe o ci trarrebbe troppo fuori del nostro sentiero. Gli abbiamo dunque riserbati ad un'appendice, che terrà dietro a questa storia, alla quale ritorniamo ora; e davvero. cap. 5 Una sera, verso il mezzo d'Agosto, Don Rodrigo tornava alla sua casa in Milano, dove era sempre rimasto dal giorno che vi era tornato dalla villa in forma di fuggitivo. A quella villa non voleva ricomparire se non in aspetto di vendicatore, e in modo da restituir con usura ai tangheri lo spavento, e l'umiliazione che gli avevan fatto provare: ma i tempi non erano mai stati propizj. Quella elazione d'animi aveva durato qualche tempo; di poi la fame cresciuta aveva prodotti gli sbandamenti, e il vagabondare di molti, e nei rimasti un fermento di disperazione: erano cani tuttavia ringhiosi, e non ancora disposti ad accosciarsi sotto la mano alzata del signore; poi eran passati i lanzichenecchi, che avevano spogliato il castellotto; poi era venuta la peste; non v'era insomma stata mai una tranquillità di cose in cui Don Rodrigo avesse potuto farsi sentire. La sera di cui ora parliamo, tornava egli da uno stravizzo, nel quale con alcuni suoi degni amici aveva egli cercato di sommergere le malinconie e i terrori della peste. E siccome le idee di quella entravano per tutti i sensi, si trovavano accumulate nella mente, si associavano per forza ad ogni suo intendere, sicchè non era possibile farne astrazione; in quelle idee stesse s'erano essi sforzati di trovare qualche soggetto d'ilarità. Avevano ricapitolate burlescamente le virtù di qualche loro amico defunto; e Don Rodrigo in ispecie aveva molto divertita la brigata con l'orazione funebre del conte Attilio. Si raccontavano o anche s'inventavano prodezze d'ogni genere compiute col favore della confusione, e dello spavento publico; si disegnavano nuove vittime; e la vile e impunita sfrenatezza si vantava anticipatamente dei nuovi trionfi che meditava. Tornando da tutta questa allegria, Don Rodrigo sentiva però una gravezza di tutte le membra, una difficoltà crescente nel camminare, una ansietà di respiro, una inquietudine, un grande abbattimento; ma cercava di attribuir tutto questo al sonno. Sentiva un'arsura interna, una noja, un peso degli abiti, ma cercava di attribuirlo alla stagione, ed al vino. Giunto a casa, chiamò il fedel Griso, uno dei pochi famigliari che gli erano rimasti, e gli comandò che gli facesse lume alla stanza dove sperava di finir tutto con un buon sonno. Il Griso vide la faccia del suo signore stravolta, d'un rosso infiammato e splendente, e gli occhi luccicanti; e si tenne lontano con una certa aria di sospetto; perchè

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Argomenti: terribile grido,    viandante straniero,    sentimento pio

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