Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 35

Testo di pubblico dominio

«Reverenda madre, e signora illustrissima,» disse il padre guardiano colla fronte bassa, e con la destra tesa sul petto; «ecco quella innocente derelitta, per la quale imploro la valida sua protezione.» E sulle ultime parole accennava alle donne che accompagnassero con atti e con inchini la sua supplicazione; la povera Agnese dopo d'aver fatto al padre un cenno del volto che voleva dire: – so quel che va fatto – raddoppiava gl'inchini, rannicchiandosi, e risorgendo come se una molla interna la facesse muovere, e Lucia s'inchinò pure, da inesperta, ma con una certa grazia che la bellezza, la giovinezza, e la purità dell'animo danno a tutti i movimenti. La Signora curvò leggermente il capo verso il padre guardiano, fece alle donne cenno della mano che bastava, e ch'ella gradiva i loro complimenti, fece a tutti cenno di sedersi, sedette e sempre rivolta al padre, rispose: «Ho appreso dai miei antenati a non negare la mia protezione a chiunque la meriti: io non ho da essi ereditato che il nome; e son lieta che anche questo possa almeno essere buono a qualche cosa. È una buona ventura per me il potere render servizio a' nostri buoni amici i padri cappuccini.» Queste parole furono accompagnate da un sorriso che ad altri avrebbe potuto parere di compiacenza, ad altri di scherno. Il Padre guardiano si faceva a render grazie, ma la Signora lo interruppe: «Non mica complimenti, padre guardiano; i servigj fatti agli amici hanno con sè il loro guiderdone; e del resto ad ogni evento io non dubiterei di far conto sul ricambio dei nostri buoni padri. Il mondo è pieno di tristi e d'invidiosi: e nessuno può assicurarsi che non venga un momento in cui possa aver bisogno di una buona testimonianza, e d'ajuto.» Il guardiano rispose premurosamente con una frase di gesti: la prima parte della quale significava che la Signora non avrebbe mai bisogno di nessuno, e la seconda che i padri avrebbero tenuta a guadagno ogni occasione di far cosa grata alla Signora. Questa proseguì: «Ma via; mi dica un po' più particolarmente il caso di questa giovane, e così si vedrà meglio che si possa fare per essa.» Lucia arrossò tutta, e chinò la faccia sul seno. «Deve sapere, reverenda madre,» cominciò Agnese, «che questa mia povera figliuola, perchè io sono sua madre...» Il guardiano le gittò un'occhiata e interruppe. «Questa giovane, signora illustrissima, mi è raccomandata da un mio confratello: essa ha bisogno per qualche tempo di un asilo nel quale possa stare sconosciuta, o nel quale nessuno ardisca toccarla; e questo per sottrarsi a dei gravi pericoli.» «Pericoli!» disse la Signora. «Quali pericoli? di grazia, padre guardiano. Mi dica la cosa per minuto: ella sa che noi altre monache siamo vaghe d'intendere storie.» «Sono,» rispose il padre, «pericoli dei quali la reverenda madre, non conosce nemmeno il nome, beata lei! e parlarne più distintamente sarebbe offendere le purissime vostre orecchie, e contristare l'illibatezza dei vostri pensieri, signora illustrissima.» «Oh! certamente!» rispose precipitosamente la signora, senza molto badare all'aggiustatezza della risposta; e si fece tutta di porpora. Era verecondia? Chi avesse osservata una subitanea ma viva espressione di scherno e di dispetto che accompagnò quel rossore avrebbe potuto dubitarne; e tanto più se lo avesse paragonato con quello che di tratto in tratto saliva sulle guance di Lucia. La Signora si alzò in fretta, come per avvicinarsi più alle donne, e stava per rivolgere il discorso a Lucia, quando il guardiano, tenendo di non aver mal detto, ripigliò così il discorso: «Non tutti i grandi del mondo, si servono dei doni di Dio a gloria di lui, e a vantaggio del prossimo, come fa la Signora illustrissima. Un cavaliere prepotente e senza timor di Dio, ha tentato ogni via, giacchè deggio pur dirlo, per insidiare la castità di questa creatura, e dopo d'aver veduto che i mezzi di lusinga gli andavano falliti, non temè di ricorrere alla forza aperta, tentando... insomma di farla rapire. Ma Dio non l'ha lasciata cadere in quei sozzi artigli, e le ha invece preparato un ricovero sotto le ale incontaminate...» «Ma voi,» disse la Signora rivolta repentinamente a Lucia, «voi che dite di codesto signore? A voi tocca a dirci se egli era un persecutore, e se aveva gli artigli sozzi.» «Signora, madre, illustrissima,» balbettò Lucia che sarebbe stata confusa a dover rispondere su questa materia, quando pure l'inchiesta le fosse venuta da una persona sua pari e conosciuta. Ma Agnese venne in soccorso: «Illustrissima signora,» diss'ella, «il suo parlare è troppo alto per questa povera figliuola. Ma io posso far testimonio che la mia Lucia aveva in orrore colui, come il diavolo l'acqua santa; voglio dire, il diavolo era egli; ma ella mi compatirà se parlo male, perchè noi siam gente come Dio vuole; del resto, questa povera ragazza aveva un giovane che le parlava, un nostro pari, timorato di Dio, e bene avviato, e se il Signor curato avesse avuto un po' più di giudizio; so che parlo d'un religioso, ma il padre Cristoforo amico intrinseco qui del padre guardiano, è religioso al pari di lui, e davantaggio, e potrà attestare...» «Voi siete ben pronta a parlare senz'essere interrogata,» disse la Signora, dando sulla voce ad Agnese. «Non so che fare dei parenti che rispondono pei loro figliuoli.» Agnese voleva aprir bocca, ma la signora con tuono ancor più brusco riprese: «Zitto, zitto; le vostre parole non servono a nulla.» Così dicendo il suo aspetto prendeva sempre più un non so che di sinistro, di feroce che quasi faceva scomparire ogni bellezza, o almeno la alterava di modo che chi avesse osservato quel volto in quel punto ne avrebbe conservata una immagine disgustosa per sempre. I suoi guardi erano fissi sopra Agnese, torvi e sospettosi, come se cercassero a raffigurare un nemico. E continuò: «Voi fate conto forse, che perchè io son qui rinchiusa, fuori del mondo, senza esperienza, mi si possa dare ad intender qualunque cosa. Povera donna! appunto perchè son qui, sono men facile ad essere ingannata su certe materie. Certo, lo sposo che i parenti destinano ad una figlia è sempre un uomo compito, e il monastero dove la vogliono rinchiudere è così allegro! in così bella situazione! così tranquillo! è un paradiso! Poveretti! portano invidia alla loro figlia; vorrebbero anch'essi ritirarsi in quel porto di pace, ah! a far vita beata: ma... pur troppo sono legati nel mondo. Scusi il mio caldo, padre, ma ella sa meglio di me, almeno ella deve saper troppo bene come vanno queste cose, la menzogna la più imperterrita, la più persistente, la più solenne è quella che sta sul labbro di colui che vuole sagrificare i suoi figli, e far loro violenza. Questi sono i peccati, contra i quali si dovrebbe predicare: a costoro bisognerebbe minacciare l'inferno.» A queste parole, la Signora, si pose a sedere tutta turbata, ed ognuno si sarebbe avveduto che un pensiero che i discorsi di Agnese avevan fatto nascere, dominava allora la sua mente, e che gli affari di Lucia non erano che un oggetto di considerazione secondaria. Agnese intanto rimproverava alla figlia che il suo non saper parlare le avesse tirata addosso questa tempesta, il guardiano voleva pure animar Lucia a parlare, ma questa animata già dalla circostanza, si avvicinò alla grata, e in tuono modesto, ma sicuro disse: «reverenda signora, quanto le ha detto la mia buona madre è la pura verità. Il giovane che mi parlava,» e qui arrossò, «lo sposava io... di mio genio, mi perdoni se parlo da sfacciata, ma è per difendere mia madre: e quanto a quel signore...» «Buona fanciulla,» interruppe la Signora con voce raddolcita, «credo un po' più a voi, ma non vi credo ancora del tutto. Vi ha due linguaggi che si somigliano; quello che parte dal fondo del cuore, e quello d'una figlia oppressa che dice il falso per terrore, e protesta di amare ciò ch'ella abborre più al mondo. Voglio sentirvi da

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Argomenti: cavaliere prepotente

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