Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 52

Testo di pubblico dominio

si trovò nel corridojo, dove la suora omicida le venne incontro chetamente, e la condusse nella sua cella: quivi, preso il pretesto dei servigi della Signora per partirsi, promettendo che tornerebbe tosto; la fece nascondersi tra il letticciuolo e la mura, raccomandandole di non muoversi finch'ella non la chiamasse. Uscì quindi a render conto del fatto all'altra suora e allo scellerato che aspettavano in un'altra stanza, e pigliato da Egidio l'orribile coraggio che le abbisognava, entrò nella cella armata d'uno sgabello con la sua compagna. Nella cella non v'era lume, ma quello che ardeva nella stanza vicina vi mandava per la porta aperta una dubbia luce. La scellerata parlando con la compagna, perchè la nascosta non si muovesse, e parlando in modo da farle credere ch'ella cercava di rimandare la sua compagna come importuna, andò prima pianamente verso il luogo dove la infelice stavasi rannicchiata, quindi giuntale presso le si avventò, e prima che quella potesse nè difendersi nè gettare un grido nè quasi avvedersi, con un colpo la lasciò senza vita. cap. 6 Accorse al romore Egidio che stava alla bada nella stanza vicina, ed incontrò le colpevoli che fuggivano spaventate, come avrebbero fatto se per caso e a mal loro grado si fossero trovate presenti ad un misfatto. Egidio le fermò, e chiese premurosamente se la cosa era fatta. «Vedete,» rispose tremando l'omicida. «Ebbene! coraggio,» replicò lo scellerato, «ora bisogna fare il resto;» e dava tranquillamente gli ordini all'una e all'altra su le cose da farsi per togliere ogni vestigio del delitto. Avvezze, come elle erano, ad ubbidire a colui che aveva acquistata una orribile autorità su gli animi loro, a colui che faceva loro sempre paura, e dava loro sempre coraggio; e rianimate, e come illuse dall'aria naturale con la quale egli dava quegli ordini, come se si trattasse di una faccenda ordinaria; raccomandando ora la prestezza, ora il silenzio, elle fecero ciò che era loro comandato. «E la Signora, perchè non viene ad ajutarci?» disse l'omicida: «tocca a lei quanto a noi, e più.» «Andate a chiamarla,» rispose Egidio: l'omicida che cercava anche un pretesto per allontanarsi, almeno per qualche momento, da quel luogo e da quell'oggetto che le era insopportabile, si avviò alla stanza di Geltrude. Questa si stava nelle angosce di chi sente l'orrore del delitto, e lo vuole. Sedeva, si alzava, andava ad origliare alla porta: intese il colpo, e fuggì ella pure a rannicchiarsi nell'angolo il più lontano della sua stanza, orribilmente agitata tra il terrore del misfatto, e il terrore che non fosse ben consumato. L'omicida entrò, e disse: «abbiamo fatto ciò ch'era inteso: non resta più che di riporre le cose in ordine: venite ad ajutarci». «No no, per amor del cielo,» rispose Geltrude. «Che c'entra il cielo?» disse l'omicida. «Lasciami, lasciami» continuò Geltrude. «Come!» replicò l'omicida «chi è stata quella...?» «Sì è vero» rispose Geltrude; «ma tu sai ch'io sono una povera sciocca nelle faccende; non son buona da nulla; lasciami stare per amor...» Gli atti e il volto di Geltrude riflettevano in un modo così orribile l'orrore del fatto, che l'omicida non potè sopportare la sua presenza, e tornò in fretta presso a colui, l'aspetto del quale pareva dire: – non è nulla –. «Non vuol venire,» diss'ella, con un moto convulso delle labbra, che avrebbe voluto essere un sorriso di scherno: «non vuol venire: è una dappoca.» «Non importa,» rispose Egidio; «non farebbe altro che impacciare; ecco tutto è finito senza di lei.» «Resta ancora...» volle cominciare l'omicida, ma non potè continuare. «Ebbene» disse Egidio, «questa è mia cura; datemi tosto mano, e poi lasciate fare a me.» Le donne obbedirono: Egidio carico del terribile peso ascese per una scaletta al solajo: e l'omicidio uscì per la porta che era stata aperta al sacrilegio. Quando lo scellerato fu nelle sue case, cioè in quella parte disabitata che toccava il monastero, discese per bugigattoli e per andirivieni dei quali egli era pratico, ad una cantina abbandonata, o che non aveva forse mai servito; quivi in una buca scavata da lui, il giorno antecedente, depose il testimonio del delitto; lo ricoperse, e pigliati da un mucchio che ivi era, cocci, mattoni e rottami, ve li gettò sopra per ricoprirlo, proponendosi di trasportare poco a poco su quel sito tutto il mucchio, un monte se avesse potuto. Le due donne rimaste sole, esaminarono in silenzio, se tutto era nello stato di prima; e poi... che avevano a dirsi? L'omicida, ruppe il silenzio, dicendo: «andiamo a cercare la Signora»; l'altra le tenne dietro senza rispondere. Bussarono sommessamente alla porta di Geltrude, la quale vi stava in agguato, e disse macchinalmente: «chi è?» «Chi potrebb'essere?» rispose l'omicida: «siam noi, apri e vieni, e vedrai che le cose sono tutte come jeri.» Geltrude aprì, e venne con loro nella più orrenda stanza di quell'orrendo quartiere: volse in giro entrando un'occhiata sospettosa, e disse: «che faremo qui?» «Quel che faremmo altrove,» rispose l'omicida. «Perchè non andiamo nella mia stanza?» replicò Geltrude. «È vero,» disse quella che non aveva mai parlato; «è vero; andiamo nella stanza della Signora.» Ognuna delle tre sciagurate sentiva nella sua agitazione come il bisogno di far qualche cosa, di appigliarsi ad un partito che avesse qualche cosa di opportuno; e nessuna sapeva pensare quello che fosse da farsi: quando una faceva una proposta, le altre vi si arrendevano, come ad una risoluzione. Geltrude si avviò, le altre le tennero dietro, e tutte e tre sedettero nella stanza di Geltrude. «Accendete un altro lume,» disse questa. «No, no,» rispose questa volta l'omicida: «ve n'è anche troppo: abbiamo ristoppate le finestre, è vero, ma se qualche educanda vegliasse...» «Santissima...!» proruppe con un moto involontario di spavento, Geltrude, e non terminò l'esclamazione, spaventata in un altro modo del nome puro e soave che stava per uscirle dalle labbra. «E perchè dunque,» continuò rimessa alquanto, «perchè avete lasciato il lume nell'altra stanza?» «Perchè...» rispose l'omicida: «non si ha testa da far tutto.» «Andate a prenderlo.» «Andate, andate... andiamo insieme.» Le due serventi partirono, Geltrude le seguì fino alla porta aspettando che tornassero col lume. Lo deposero sur una tavola, lo spensero, e sedettero di nuovo intorno a quello che ardeva da prima. Stavano così tacite, guardandosi furtivamente di tratto in tratto; quando gli sguardi s'incontravano ognuna abbassava gli occhi come se temesse un giudice, e avesse ribrezzo d'un colpevole. Ma l'omicida più agitata, e agitata in modo diverso dalle altre, cercava ad ogni momento di cominciare un discorso, voleva parlare del fatto e del da farsi come di cosa comune, parlava sempre in plurale, come per tenere afferrate le compagne nella colpa, per essere nulla più che una loro pari. Concertarono finalmente la condotta da tenersi quel primo giorno, perchè nei concerti presi antecedentemente non avevano preveduti che i pericoli materiali: non avevano pensato che al modo di commettere il delitto segretamente, e di cancellarne ogni traccia esterna; ma il delitto aveva loro appresa un'altra cosa; che il sangue si sarebbe rivelato nei loro atti, nel loro contegno, nel loro volto. Stabilirono dunque che Geltrude si direbbe indisposta, che avrebbe un forte dolor di capo, che starebbe chiusa all'oscuro nella sua stanza, e le altre si rimarrebbero ad assisterla. Ma in questo concerto stesso, quante difficoltà, quanti dibattimenti! Il punto più terribile era di decidere a quale delle due serventi sarebbe toccato di avvertire le suore della indisposizione di Geltrude, per evitare che, non vedendola comparire, o la badessa, o qualche suora non venisse nel quartiere a chiederne novella. Ognuna voleva rigettare su l'altra questo incarico. L'omicida aveva una buona ragione per

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Argomenti: suora omicida,    orribile autorità,    moto convulso,    moto involontario,    nome puro

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