Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 94

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che posero San Vincenzo su la graticola; con archibugi, pistole, spadoni, spuntoni..., parati a festa insomma... Vossignoria non ha mai veduto nulla di somigliante, e mi si affacciarono, dico, mi fermarono, e mi intimarono in nome d'un certo Signore (i nomi non servono a nulla) che io mi guardassi bene, per quanto aveva cara la vita (mi pare che fosse un parlar chiaro) dal fare quel tal matrimonio. Ecco la storia genuina. Io adunque ho stimato che l'ostinarmi contra la forza sarebbe stato un dare occasione a costoro di commettere un sacrilegio, e che, io mi sarei renduto reo d'un vero suicidio.» «Non avete avuto altro motivo?» domandò pacatamente Federigo. «Non basta, Monsignore?» replicò Don Abbondio. «O forse mi sono male spiegato: dico che se avessi fatto il matrimonio, costoro mi avrebbero data una schioppettata nella schiena. Eh! Monsignore!» «E vi par questa una ragione bastante per ommettere un dovere preciso?» «No?» disse precipitosamente Don Abbondio con una sorpresa tanto viva che quasi sarebbe paruta stizza. «La pelle! la pelle! non è una ragione bastante?» Il Cardinale, alzando gli occhi in faccia a Don Abbondio disse con una indegnazione composta: «Ma quando vi siete presentato alla Chiesa, alla Chiesa dei martiri per ricevere questa missione che esercitate, quando avete assunti volontariamente questi doveri del ministero, la Chiesa vi ha ella fatto conto della pelle? Vi ha ella detto che quei doveri erano senza pericoli? Vi ha detto che dove il pericolo cominciasse ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha espressamente dichiarato che vi mandava come un agnello fra i lupi? Vi ha promessa la sicurezza temporale per ricompensa? o la vita eterna? Non sapevate voi che v'erano dei violenti nel mondo? La pelle! Offeritela per le mani dei violenti in sagrificio alla fede e alla carità, e la Chiesa la raccoglierà come un nobile tesoro, la conserverà di generazione in generazione, di sacerdozio in sacerdozio, come un oggetto di culto, come un testimonio della forza che le è stata data dall'alto, come un tempio dove lo Spirito avrà operate le sue maraviglie. Ma per conservarla qualche tempo di più, per salvarla a spese della carità e del dovere! non faceva certo mestieri della unzione santa, della imposizione delle mani, della grazia del sacerdozio. Come! al soldato che riceve pochi soldi di paga, che combatte per una causa che non conosce non è lecito dire: ho voluto salvare la vita! non è lecito, è turpe; supporre ch'egli lo possa pensare, è una ingiuria e non una scusa! e sarà scusa per noi! Dio buono, per noi che predichiamo le parole della vita, che rimproveriamo ai fedeli il loro attacco alle cose terrene, che facciam loro vergogna, che gli chiamiamo ciechi perchè non sentono il valore della promessa, o perchè operano come se non lo avessero compreso! Che più? per questa stessa vita del tempo, la Chiesa non ha ella pensato a voi? non vi nutrisce ella della sostanza dei poveri? non vi munisce di riverenza e d'ossequio? non vi copre ella d'un abito, che prima pure che si sieno vedute le vostre opere vi attrae la venerazione, perchè vi segna come un uomo trascelto, come uno di quegli che non hanno altra professione che di fare il bene? E perchè vi distingue ella così, se non a fine che possiate farlo? QUEGLI da cui abbiamo la missione e l'esempio, il precetto e la forza di eseguirlo, quando venne su la terra ad illuminare i ciechi, a congregare i dispersi, ad evangelizzare i poveri, a curar quelli che hanno il cuore spezzato, a ben fare, a salvare, pose Egli per condizione di aver salva la vitaDon Abbondio teneva bassi gli occhi, il capo, le mani; il suo spirito si dibatteva tra quelli argomenti, come un pulcino negli artigli del falco che lo tengono elevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai respirato. Vedendo poi che il Cardinale taceva come chi aspetti una risposta, dopo aver molto cercato, articolò finalmente queste parole: «Non so che dire: avrò fallato: è giusto che i superiori abbiano ragione. Quando la vita non si ha da contare per nulla, non so che dire. Vossignoria illustrissima parla bene... Bisognerebbe però,» aggiunse con voce meno spiegata «essersi trovato al busillis.» cap. 4 Ebbe appena Don Abbondio proferite queste ultime parole che se ne pentì, s'accorse d'aver detta una insolenza, e si aspettò che questa volta Monsignore monterebbe affatto in bestia. Ma alzando dubbiosamente lo sguardo, fu molto maravigliato in vedere la faccia di quell'uomo, ch'egli era destinato a non poter mai nè indovinare nè comprendere, in vederla passare da quella gravità riprensiva ad una gravità tutta compunta e pensosa. «Pur troppo!» disse il Cardinale: «tale è la nostra miseria. Dobbiamo ripetere dagli altri quello che forse non sapremmo dare noi; dobbiamo riprendere altrui, e sa Dio quello che avremmo fatto noi nel caso stesso. Ma guaj se io dovessi prender la mia debolezza per misura del dovere altrui! Pure è certo ch'io vi debbo l'esempio: non debbo essere il fariseo che impone altrui insopportabili carichi, ch'egli non vuol pure toccare colla punta del dito. Or bene: se voi m'avete veduto trascurare qualche mia obbligazione per pusillanimità, ditemelo francamente, correggetemi, fatemi ravvedere.» Vedendo Federigo che Don Abbondio non rispondeva, e sospettando ch'egli forse fosse rattenuto dal timore di offenderlo, riprese con tuono umile e cordiale: «Dite, che dinanzi a quel Dio che ci ascolta, io vi protesto, che non che sdegnarmene, vi sarò grato, e v'avrò più caro che mai non vi avessi.» Ma i pensieri di Don Abbondio erano tutt'altri da quelli che s'immaginava il Cardinale. – Oh che tribolatore! – pensava Don Abbondio. – Anche sopra di sè! purchè frughi, rimescoli, esamini, critichi, è contento. Ora io andrò a fargli l'esame di coscienza! Farebbe meglio a non farmi tanta inquisizione sui fatti miei, che dei suoi io non mi piglio briga. – Ma come bisognava pure dir qualche cosa ad alta voce, ecco ciò che disse Don Abbondio. «Oh Monsignore, mi burla! Chi non conosce il petto forte, l'animo coraggioso di Vossignoria illustrissima?» A questa dichiarazione fece poi nel suo cuore Don Abbondio questo commento: – Anche troppo, che un po' di giudizio starebbe meglio: lasciare andar l'acqua all'ingiù, e non andare a comprarsi le brighe, nelle faccende cercare tutti i musi duri per cozzare e fino nelle visite andare a pescare tutti i pericoli, schivare le strade piane, e andare in cerca dei greppi e dei precipizi per fiaccarsi l'osso del collo. – Il Cardinale rispose al complimento di Don Abbondio: «Io non vi domandava una lode che mi fa tremare, perchè chi può sapere come mi giudichi Chi vede tutto? ma voi dovete sapere che quando a servire il prossimo in quelle cose, dove egli ha ragione nei nostri servigj è necessaria una risoluzione coraggiosa, allora questa risoluzione è di stretto dovere. Ditemi dunque: che avete voi fatto dopo quella intimazione che avete detto?» «Che ho fatto, Monsignore?» disse Don Abbondio. «Mi son messo a letto con la febbre.» E aggiunse in cuor suo: – Stiamo a vedere che rimprovero mi farà per aver avuta la febbre. – «Vi tolse essa il sentimento e la favella?» domandò il Cardinale. «Monsignor no,» rispose Don Abbondio: «ma le so dire che fu una febbre fiera: sono spaventi che non gli auguro a nessuno.» «La carne è inferma,» ripigliò Federigo: «ed è questa la nostra miserabile condizione: ma lo spirito fu egli pronto? Che avete voi fatto per quei due poveretti, dei quali voi, e voi solo allora conoscevate il pericolo?» «Ma che cosa doveva fare, col nome di Dio?» disse Don Abbondio. «Debbo io dunque dirvelo?» ripigliò Federigo: «non l'avete sentito? non lo sentite pur ora? Al vedere un tanto pericolo venir sopra due anime innocenti, che vi sono date in custodia, le vostre viscere non si sono commosse? Non avete tremato per essi? Non avete provato il tormento della carità? Il vostro corpo

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Argomenti: tanto pericolo,    certo signore,    sorpresa tanto,    sicurezza temporale,    certo mestieri

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