Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 154

Testo di pubblico dominio

grato alle sue orecchie (che cosa non può divenir grata in questo mondo!) quel canto, che lo toglieva dall'intrigo di quella conversazione. Intanto il carro s'era già allontanato abbastanza, perchè Fermo non temesse più di esser raggiunto dai suoi nemici; i quali del resto s'eran dispersi; non restava che il pericolo di abbattersi in uno di quelli che lo riconoscesse, e gli aizzasse di nuovo la gente addosso; pericolo lontano, ma che poteva crescere in proporzione della strada che Fermo avrebbe ancora a percorrere. In questa tempesta di pensieri egli girava attorno uno sguardo sospettoso e irresoluto, quando gli parve di riconoscere il luogo per dove passava, richiamò le sue memorie, guardò più fisamente... – questa via non mi è nuova, di qua son passato certamente –. Fermo non s'ingannava: il carro diretto alla gran fossa scavata dietro il lazzeretto e denominata il Foppone di san Gregorio, scorreva nella via chiamata allora il borgo ed ora il corso di porta orientale, per cui Fermo era entrato con molta maraviglia, ed uscito con molta paura un anno e mezzo prima. Ad ogni passo, nuovi oggetti altra volta veduti, rendevano più vivo e più chiaro il riconoscimento di Fermo; ma dove ebbe la perfezione fu al passare dinanzi alla piazza, al convento dei capuccini. Allora riconobbe la porta orientale; si risovvenne che al di fuori di quella era il lazzeretto; e per quanto pieno di dolore, di difficoltà, e d'angosce fosse l'affare che lo strascinava in quel luogo, pure il povero giovane si sentì tutto rincorato nel pensiero d'esservi giunto senza studio, sicuramente, in carrozza, quale ella si fosse; questo gli parve un buon principio, e un buon augurio. Oltrepassato il convento, Fermo pensò che sarebbe meglio spacciarsi da quella compagnia e uscir dalla porta a piede. Vide che i monatti invasati nel loro canto non badavano a lui, fece un cenno di saluto e di ringraziamento ad uno che gli era più vicino, e balzò dal carro in sul pavimento. Quel monatto lo accompagnò con un saluto schernevole della mano e del volto, dicendogli: «va, va, povero untorello: tu non sarai quello che spianti Milano». Per buona sorte non v'era anima vivente nella via che potesse udire quelle parole. Fermo s'indugiò, tirando presso al muro, tanto che il carro si allontanasse; e a passo lento giunse presso alla porta; vide spuntare l'angolo di quel recinto, dove erano addensati più guai che non ne fossero sparsi nella dolorosa città ch'egli aveva percorsa: passò il cancello, e gli si spiegò dinanzi la scena esteriore del lazzeretto; il principio appena, e come la mostra dei guai, e già una vasta, diversa, inenarrabile scena. A noi, come certamente al lettore, incresce ormai un così lungo avvolgerci tra tanto dolore, e tanto fastidio: quindi ci guarderemo dal tentare anche di descrivere a parte a parte quella scena: bastino alcuni tratti generali a dare un'idea comunque dello spettacolo che s'offerse agli sguardi di Fermo. Fin dove il suo occhio poteva giungere nello spazio che circonda al di fuori il lato meridionale e l'orientale del lazzeretto, quello spazio era sparso di languenti, a cui non erano bastate le forze per giungere fino al lazzeretto, di morti che ivi giacevano, era percorso da gente che entrava, da infermi che ne uscivano, e che erravano sbandati, la più parte fuori di sè, quale imperversato, quale istupidito. Altri pareva tutto infervorato a raccontare le sue sciaurate fantasie al tapino che giaceva oppresso dal male, o ad un altro infelice, preoccupato da altre fantasie; un altro si mostrava assorto e tranquillo in un immaginato contento; e quella apparenza di gioja e di serenità in mezzo a tanta miseria, pure ne accresceva l'orrore; tanto è terribile all'uomo il vedere in altri oscurato quel lume divino che lo fa esser uomo. Altri per un trasporto che fu notato in altre pestilenze, vogliosi d'immergersi nell'acque, si gettavano nel fossato che gira attorno al lazzeretto; e vi morivano affogati, o vi rimanevano disensati; taluno canticchiando, le ore, i giorni interi. Tra quella confusione giravano monatti a prendere i morti, a contenere, a rispingere, a guidare nel lazzeretto i miseri così vivi, giravano commissarj, delegati, a dare ordini, a dirigere come si poteva i monatti. E Fermo scorrendo tra quella folla per avviari alla porta di quel lato che tira lungo la strada maestra, Fermo doveva pure per quanto intollerabili gli fossero quegli oggetti, fissare sovr'essi lo sguardo perchè fra essi, uno di essi, poteva essere quello di ch'egli andava in traccia. Giunto su quella porta, ristette sopraffatto dal nuovo spettacolo che gli si parava dinanzi e dattorno. Dinanzi, il vasto campo interno del lazzeretto, ingombro qua e là di trabacche, di capanne, coperto e animato da un popolo, del quale il veduto al di fuori non era che un saggio; e a destra e a sinistra le due interminate fughe di porticato spesse pure, e gremite, e brulicanti a quel modo: uno sciame, un trambusto, un rimescolamento da far vertigine, da offendere con subita fatica lo sguardo, quando fosse pure stata una festa. Il cuore di Fermo fu soverchiato a quella vista; ed egli stette un momento in fra due se dovesse tornarsene, e abbandonare una ricerca che superava le sue forze. Ma l'affetto dal quale egli era stato tratto su quel limitare, aveva pigliato ancor più forza dalla incertezza, e l'immagine di Lucia, forse inferma quivi, abbandonata, era divenuta più forte e più pietosa nell'animo di lui. Pensò che se egli si ritraeva allora da quel luogo, vi sarebbe stato ben tosto sospinto di nuovo da tutti i suoi pensieri: partirsi senza aver nulla saputo di Lucia, aspettarne le novelle, fin quando, da chi? partir dal luogo dove soltanto si poteva sperare di trovarla: fuggire da dove ella era forse a pochi passi di distanza... Fermo si mosse, rivolse una viva preghiera al Signore e si gittò in mezzo a quella confusione, abbandonandosi alla scorta di Lui. Non aveva alcun filo per dirigersi, nè una ragione per cominciare la sua ricerca più tosto a destra che a sinistra, nel campo che sotto il portico; ma il campo gli era in faccia, e s'ingolfò in quello alla ventura. Nei principii della pestilenza il lazzeretto era stato scompartito in quartieri pei ministri e per quelli che entravano ad esser curati: le femmine separate dai maschj, e ogni sesso suddiviso in sospetti, in infetti, in quarantenanti. E già fin d'allora quell'ordine, come abbiam detto non s'era potuto interamente serbare; ma nel bollore della peste, e nel crescere della moltitudine, tutto s'era rimescolato, come una botte fecciosa nella furia del temporale. Oltre di che quello scompartimento non era stato fatto che nel fabbricato, in tempo che nessuno prevedeva che questo non sarebbe bastato, che l'immenso circuito interno sarebbe divenuto spesso, traboccante, insufficiente anch'esso, e quando questo cominciò a popolarsi, (e cominciò con una folla) non fu possibile applicare ad esso le divisioni già stabilite. Pure le sollecitudini dei sopraintendenti e principalmente del Padre Felice, per mantenere quel primo ordine, nel fabbricato, ne facevano se non altro rimanere qualche traccia; la massa principale e il fondo per così dire degli abitatori di ciascun quartiere era del sesso e della condizione a cui quello era stato destinato. Se Fermo fosse stato informato di ciò, si sarebbe diretto a destra, al lato settentrionale che guarda al cimitero di san Gregorio; il qual lato era assegnato alle donne. Ma Fermo, come abbiam detto, era nuovo affatto di quella bolgia, e non aveva una guida; quindi procedeva a caso, mettendo il piede dove scorgeva un passaggio, dove il passaggio era meno intricato d'inciampi compassionevoli o ributtanti. Andava d'una capanna nell'altra, s'appressava ad ogni giaciglio, dove vedesse una donna; guatava, e seguiva la sua strada. Da per tutto lo stesso spettacolo così terribilmente variato, e così terribilmente conforme: corpi immobili nella morte, o dibattuti nelle

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