Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 43

Testo di pubblico dominio

restò più a Geltrude che la voglia di sbrigarsi, e di schivare quella collera. Geltrude, bisogna confessarlo, non amava molto il fratello; e pei suoi modi aspri, sprezzanti, e imperiosi, e perchè di tutta la casa il Marchesino era quegli che più sovente aveva il monastero in bocca; e perchè le compiacenze e le distinzioni dei parenti sopra di lui, la tenevano in uno stato continuo di paragone umiliante. Lo temeva essa però, ma fino ad un certo tempo non quanto egli avrebbe voluto: e come di lingua e d'ingegno, ella era meglio fornita di lui, di quando in quando ella si vendicava con un motto di molti giorni di una pesante persecuzione. Era quindi fra loro come un continuo stato di guerra. Ma quando dopo la sua prigionia Geltrude comparve davanti al fratello carica d'un fallo e d'un perdono, alzando timidamente gli occhi sulla faccia del fratello, vi scorse una superiorità dalla quale non ebbe pure il pensiero di potersi ribellar mai; si sentì soggiogata per sempre. Ed ora il solo pensare che il fratello in un momento d'impazienza potesse profittare del vantaggio che ella le aveva dato col suo fallo, per gittarle un motto, un rimprovero che alludesse a quello, la faceva tremare. Si pose ella quindi a sedere in fretta, e pure in fretta cominciò a vestirsi. Avrebbe potuto la poverina riflettere che quel pericolo era troppo lontano; che il fratello in un momento in cui sperava da lei un tal sagrificio era ben lontano dal dir cosa che potesse offenderla; e che alla fine per grossolano e sventato ch'egli fosse, non avrebbe scherzato così di leggieri con l'onore di sua sorella, al quale il suo proprio era tanto vicino; ma un effetto dei falli si è appunto di render l'animo più soggetto a timori non ragionevoli. Geltrude si vestì dunque in fretta, si lasciò acconciare e comparve nella sala dov'era radunata la famiglia ad aspettarla. Il Marchesino, al quale corsero dapprima i suoi occhj, se ne stava tranquillo, senza dar segno d'impazienza: la Marchesa la quale aveva sagrificate tre ore di letto mostrava nell'aspetto quel misto di sentimenti che nasce dalla consolazione di aver fatta una impresa, e dal dispetto degli incomodi sostenuti per venirne a capo. Il Marchese con lieto viso si fece incontro a Geltrude, e le disse. «Avete scelto una bella giornata: buon augurio.» «Buon augurio» ripeterono la Marchesa e il Marchesino. Era preparata una sedia a bracciuoli, e il Marchese accennò amorevolmente a Geltrude che vi sedesse, e perch'ella confusa stava alquanto in forse: «qui, qui,» diss'egli, «certamente: dopo la risoluzione che avete fatta non siete più una ragazzetta: siete come un di noi.» Appena Geltrude si fu seduta, venne un servo che le presentò rispettosamente una tazza di ciocolatte. Prendere il ciocolatte a quei tempi, era, dice il nostro manoscritto, quello che presso ai romani assumere la veste virile: e tutte queste cerimonie erano piccioli fili, che legavano sempre più la povera Geltrude. Essa non confermava con parole la risoluzione che tutte quelle dimostrazioni supponevano: non diceva nulla, non faceva nulla, ma tutto ciò che si faceva d'intorno a lei, la poneva in una situazione nella quale il disdirsi, appena il mover dubbio sulla sua risoluzione, il fermarsi un momento avrebbe avuto sempre più apparenza di stranezza scandalosa. Preso il fatal ciocolatte, il Marchese si alzò, pigliò Geltrude in disparte, e con aria di consiglio amorevole le disse. «Orsù figlia mia, diportatevi bene: scioltezza, e buon garbo.» E qui le diede le istruzioni su quello che doveva fare e dire, e le fece ripetere la formola della domanda. «Benissimo, a meraviglia» esclamò quindi e continuò: «Quelle buone suore vi aspettano a braccia aperte; e non sanno nulla, nulla... Non mi date in fanciullaggini, in pianti, non mi fate la Maddalena penitente, guardatevi da un contegno che lasci sospettar qualche cosa: siate franca, e mostrate di che sangue uscite. La vostra risoluzione vi ha meritato il perdono della famiglia; il vostro fallo è cancellato e dimenticato.» Quand'anche Geltrude avesse avuto il coraggio, che non aveva, di porre qualche ostacolo, questo discorso, che le faceva sentire dove si sarebbe tosto portata la quistione, l'avrebbe immediatamente disposta ad obbedire senz'altre osservazioni. Ella arrossò, non rispose nulla, chinò il capo, gli occhi le si gonfiarono; ma un «via via», detto risolutamente dal Marchese e l'apparire d'un servo che annunziava che il cocchio era pronto, la costrinsero a farsi forza, e a ricomporsi. Nello scender le scale, Geltrude fu servita da un bracciere; si montò in cocchio, e si partì. Gl'impicci, le noje, e i pericoli del mondo, e la vita beata del chiostro, principalmente per le giovani di sangue nobilissimo furono il tema del discorso durante il tragitto. All'entrare nel borgo, al vedere la porta del chiostro, Geltrude si sentì stringere il cuore, ma gli occhi della famiglia erano sopra di lei; quando il cocchio si fermò Geltrude guardando alla porta la vide già piena di curiosi; e lo studio di non far nulla di sconvenevole la occupava tanto, ch'ella scese, e s'avviò quasi senz'altro pensiero. Attraversando il cortile si vide la porta del chiostro aperta, e tutta occupata dalle monache. In prima fila alcune anziane con la badessa nel mezzo; dietro le altre alla rinfusa, quelle che erano immediatamente dopo le prime cacciavano il volto tra l'una e l'altra, altre dietro ritte sulla punta dei piedi; e per non tacer nulla, le converse in ultimo sollevate sopra sgabelletti. Si vedevano pure qua e là luccicare più basso qualche paja di occhj avidissimi, come al buco della chiave, ed apparire qua e là un po' di volto mezzo ascoso: erano le più destre e le più animose delle educande che serpendo tra una monaca e l'altra s'eran trovate un cantuccio per vedere anch'esse qualche cosa: il che era in verità troppo giusto. Geltrude come incantata giunse in faccia a tanto teatro, condotta ed animata dai parenti, e si fermò nel bel mezzo davanti alla madre badessa. È inutile dire che questa era stata dal Marchese avvertita per un messo straordinario della visita che avrebbe ricevuta e del perchè. Geltrude fu accolta dalla badessa e da tutte le suore con acclamazioni. Dopo i primi saluti, la badessa nel modo con cui si fa per formalità una domanda della quale è certa la risposta, le domandò che cosa ella desiderava in quel luogo dove non v'era chi potesse nulla rifiutarle. «Son qui...» cominciò a rispondere Geltrude, ma nel momento in cui ella doveva manifestare con certezza un desiderio che era tutt'altro che certo nel suo cuore, nel momento in cui le sue parole dovevano decidere quasi irrevocabilmente del suo destino, il combattimento interno fu sì forte ch'ella non potè proseguire, e ristette un istante guardando come incantata la badessa, e la folla che la circondava. Così guatando ella vide distintamente alcune delle sue compagne, e sulla parte che appariva di quelle faccette e più negli occhi un'espressione mista di malizia e di compassione, che diceva chiaramente: «Ah! c'è incappata la brava!» Questa vista le risvegliò in cuore tutta l'avversione al chiostro, l'orrore per la violenza che l'era fatta, e con questi sentimenti un lampo di coraggio. E già ella stava cercando una risposta diversa da quella che si aspettava da lei, cosa troppo difficile a trovarsi in quella circostanza. Alzò un momento gli occhi verso il padre che le stava di fianco, per indovinare che effetto avrebbe prodotto la sua resistenza, e come per esperimentare le proprie forze, ma vide negli sguardi del Marchese una espressione sì minacciosa, che tutto il suo coraggio svanì. Pensò che la resistenza, che il ritardo, l'avrebbero resa innanzi a tanti occhi un oggetto di scandalo, di stupore, e di derisione, pensò al padre, al fratello, al mondo, al paggio; si consolò riflettendo che dopo quella formalità le rimaneva ancora una porta aperta per tornare indietro, che poteva guadagnar tempo,

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Argomenti: tre ore,    certo tempo,    bel mezzo,    consiglio amorevole,    volto mezzo

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