Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 86

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«Può essere,» rispose la buona donna. «Chi siete? come avete potuto...?» cominciò Lucia alla buona donna; indi tosto rapita da un'altra brama di sapere, si rivolse al curato, e continuò: «e lei, signor curato: come...?» «Ah! vedete?» rispose Don Abbondio: «son qui io, il vostro curato, a liberarvi, dal lago dei leoni, senza riguardi per me, in una giornata fredda, a cavallo...» «E mia madre?» domandò ancora Lucia, a cui le idee si succedevano in folla. «La vedrete presto, oggi,» rispose Don Abbondio: «ma prima dovete vedere ben altro personaggio...» «Chi? dove?» richiese Lucia. «Monsignore illustrissimo, che ci aspetta, che vuol vedervi. Ma abbiate giudizio: badate a quel che dite; voi non potete avere pratica di quello che va detto e taciuto ai signori grandi. Vi chiederà delle vostre vicende: non istate a troppo ciarlare: vi può far del bene; ma bisogna guardarsi dal toccar certe corde: non parlate del matrimonio, perchè, vedete, se sapesse che avete voluto sorprendere il curato, fare un matrimonio clandestino, guai, guai...!» «Chi è Monsignore illustrissimo?» domandò Lucia. «È il cardinale arcivescovo,» rispose Don Abbondio, «un uomo di Dio, ma bisogna saperlo pigliare, perchè...» «Andiamo tosto,» disse la buona donna. «È vero,» disse Don Abbondio, «andiamo perchè qui non è troppo sano stare: ma ricordatevi di quello che v'ho detto.» «Come faremo ad uscire?» disse Lucia: «e se ci veggono?» «Non temete,» disse la buona donna: «il padrone del castello viene egli stesso a cavarvene: qui fuori è la lettiga, voi entrerete con me, e partiremo col signor curato.» «Ho da vederlo ancora il padrone?» chiese ansiosamente Lucia, per la quale il Conte era ridivenuto orrendo, da poich'ella aveva veduti due visi umani. E continuò: «ho paura di lui: ho paura». «Che paura?» disse Don Abbondio, «siete con me, ed è mio amico. Risolvetevi.» «Non lo vedrete,» disse la buona donna: «noi ci chiudiamo nella lettiga e si parte, e in un momento siamo a Chiuso.» «Ah! Chiuso!» sclamò Lucia: «dov'è quel buon curato! andiamo, andiamo. Oh Madonna santissima, vi ringrazio! Me lo sentiva in cuore che non mi avreste abbandonata!» La buona donna aperse un filo della porta tanto da poter far un cenno, che fu tosto veduto dal Conte, il quale comandò ai lettighieri di andare nell'altra stanza. Queglino vi portarono la lettiga, Lucia vi entrò, e la buona donna dopo lei, si tirarono le cortine, i lettighieri uscirono, il curato dietro: nell'altra stanza il Conte si accompagnò con lui, disse alla vecchia: «aspettatemi qui un'ora, e se non torno andate a fare i fatti vostri». Nel cortile, alla porta del castello, il Conte e il curato a cavallo, la lettiga davanti, giù per la discesa, e diritto a Chiuso. A misura che la caravana si avanzava nel suo viaggio, tutti quelli che la componevano, respiravano più liberamente. Appena la buona donna fu nella lettiga, al momento che i portatori la sollevavano per partire, ella raccomandò a Lucia di non parlare finch'ella non gliene desse avviso. Ma poi che dallo scalpito delle mule che seguivano s'accorse che era varcata la soglia, cominciò a guardare un po' fuori delle cortine, e vista la strada libera, ruppe ella stessa il silenzio dicendo a Lucia: «Povera giovane! l'avete passata brutta! Ma Dio ha pensato a voi, e tutto è finito.» Queste parole diedero campo a Lucia d'interrogare la buona donna; che cercava di soddisfare alle sue domande, dicendo quel poco che sapeva, e come lo sapeva. Lucia a poco a poco vedeva un po' più di lume nelle sue strane e terribili avventure: le risposte della buona donna la rimettevano sulla via, e l'ajutavano a spiegare tanti misteri della sua sventura e della sua inaspettata salute; tanto che in quel viaggio Lucia potè farsi una idea del suo stato, comprendere qualche cosa, ed uscire da quella affannosa confusione d'idee nella quale lo strano, l'insolito, di quello che si vede e si soffre non lascia riposare la mente in alcuna, non lascia altra certezza che quella di esistere, e questa stessa diviene un tormento. «Oh quando potrò vedere mia madre!» sclamò Lucia appena si sentì rassicurata, e potè discernere quello che era reale, quello che era possibile. La buona donna le promise che appena suo marito tornerebbe dalla Chiesa, ella lo determinerebbe ad andarne in cerca, ad informarla, a condurla presso di lei. Don Abbondio pigliava fiato ad ogni passo; la conferenza che il Cardinale avrebbe con Lucia, gli dava un po' di briga per le cose che si dovevano rivangare di quel tale matrimonio: vedeva in lontano dei pericoli per parte di Don Rodrigo; ma il sentimento predominante era allora la gioja di uscire sano e salvo da quella spedizione. Pieno di questo sentimento, Don Abbondio aveva una parlantina che nessuno gli avrebbe supposta vedendolo così silenzioso nella prima andata; e non avrebbe rifinito di ciarlare col Conte, se questi avesse fatto tenore ai suoi inviti. Ma il Conte benchè lieto di ricondurre Lucia al Cardinale, era tuttavia troppo compreso da tanti sentimenti per prestarsi alla garrulità di Don Abbondio. Ed oltre il resto era anche un po' umiliato internamente dell'inquietudine che aveva provata nella spedizione, delle precauzioni che aveva prese in casa sua, di una prudenza che gli pareva pusillanimità. Ma il Conte non si conosceva: s'era fatta nel suo animo una rivoluzione della quale egli non s'era reso ben conto: v'eran nati dei sentimenti, vi s'erano svolte delle disposizioni ch'egli non aveva ancora potuto ben raffigurare: e non s'avvedeva che questa pusillanimità era una nuova sollecitudine pia e gentile per una debole innocente, una delicatezza fin allora estrania all'animo suo, un timore che non si sarebbe presentato a quell'animo se non si fosse trattato che d'un proprio pericolo. Giunsero a Chiuso che il Cardinale, il clero e il popolo erano ancora nella Chiesa. La buona donna fece andar la lettiga a casa sua, dove discese, e condusse Lucia già tutta rassicurata, e tosto le fece animo a ristorarsi dopo un sì lungo digiuno. L'invito era ben altrimenti gradevole che non nella bocca della vecchia del castello, e Lucia, che sentiva il bisogno di nutrimento, accondiscese con riconoscenza. Intanto Don Abbondio e il Conte entrarono nella casa del curato, e quivi si stettero ad aspettare il Cardinale. Questi non tardò molto a venire, precedendo velocemente il clero che gli faceva codazzo, ed entrato nella stanza, e veduti i due tornati, chiese tosto con ansietà: «È qui?» «È qui,» rispose il Conte. «L'abbiamo condotta sanamente,» rispose Don Abbondio. «Dio sia lodato!» sclamò il cardinale: «e ve ne rimeriti entrambi.» E preso in disparte il Conte, mentre gli altri si ritiravano: «Non siete più contento ora?» gli chiese. «Vedete, se Dio ancor non sa che fare di voi?» Quindi per quella gentile e minuta sollecitudine ch'egli metteva anche nelle cose più gravi: «voi dovete essere affaticato,» disse al Conte, «certo voi non mi abbandonerete oggi: e... ma questa mattina voi non avete certo pensato a far colazione?» «No davvero,» rispose il Conte. «Bene, bene,» rispose il Cardinale, «io voglio cominciare a provare se posso farmi obbedire da voi,» e traendolo per la mano si avvicinò al buon curato di Chiuso, che se ne stava cheto fra gli altri, e gli disse, con aria sorridente: «Signor curato, voi siete tanto umile che sarebbe dabbenaggine il non far da padrone in casa vostra. Io invito il signor Conte a pranzare con noi.» Il curato che non lasciava mai scappare l'occasione di rispondere con un testo della Bibbia, disse levando le mani al cielo, e poi stendendole amorevolmente verso il Conte: «Benedictus qui venit in nomine Domini.» Don Abbondio invitato anch'egli, si rifiutò dicendo di non volere abbandonare per lungo tempo il suo ovile; uscì dalla casa del curato, entrò in quella dove era ricoverata Lucia, alla quale raccomandò ancora fortemente di non parlare di

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