Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 80

Testo di pubblico dominio

quelle vesti su cui da gran tempo non avevano posato che le armi della violenza e del tradimento. Sciolti da quell'abbraccio, il Cardinale disse con un affetto ansioso al Conte: «parlate: parlate; apritemi il vostro cuore: ditemi i pensieri che più vi tormentano; quello che hanno di più amaro si perderà passando su le vostre labbra; il dolore che vi resterà sarà misto di giocondità, sarà una giocondità esso medesimo: non vi lasceranno altra puntura che il desiderio di riparare al già fatto. Dite: forse v'è qualche cosa a cui si può riparare ancora: ...» «Ah sì,» interruppe il Conte; «v'è una cosa a cui si può riparare tosto: il fatto è turpe, è atroce, ma non è compiuto. Lodato Dio, che non lo è. Per farvelo conoscere è d'uopo ch'io appaja dinanzi a voi, per mia confessione, quello ch'io sono: uno scellerato... e un vile birbone; ma non importa: quello che importa, è di cessare una crudele iniquità.» Federigo stava ansioso attendendo, e il Conte narrò dell'infame contratto di Lucia, del rapimento, dell'arrivo di essa al suo castello, delle sue suppliche, e dei primi pensieri che a cagione di queste gli erano venuti. Il buon vescovo impallidì alla storia dei patimenti e dei pericoli di quella poveretta; ma quando intese ch'ella si trovava ancora al castello: «Ah!» disse «è salva, è intatta: togliamola tosto da quell'angoscia: ah voi sapete ora che cosa sono le ore dell'angoscia! abbreviamole a questa innocente. Voi me la date...?» «Dio!» sclamò il Conte; «che uomo son io, se mi si richiede come un dono ciò ch'io non ho in poter mio che per la più vile prepotenza! se mi si chiede per misericordia di non essere più un infame!» «Il male è fatto,» rispose Federigo: «quello che è da farsi è il bene, e voi lo potete; voi lo volete; Dio vi benedica. Dio vi ha benedetto. D'una iniquità, voi potete ancor fare un atto di virtù, e di beneficenza. Sapete voi di che paese sia questa poveretta?» Il Conte glielo disse; Federigo allora scosse il suo campanello; alla chiamata entrò con ansietà il cappellano, il quale in tutto quel tempo era stato come sui triboli, e veduta la faccia tramutata, umile, commossa del Conte, e su quella del Cardinale una commozione che pur traspariva da quella sua tranquilla compostezza; restò colla bocca aperta, girando gli occhi dall'uno all'altro; ma il Cardinale lo tolse tosto da quella contemplazione mezzo estatica e mezzo stordita dicendogli: «Fra i parrochi qui radunati vi sarebbe mai quello di...?» «V'è, Monsignore illustrissimo,» rispose il cappellano. «Lodato Dio!» disse il Cardinale: «chiamatelo, e con lui il curato di questa chiesa.» Il cappellano uscì nell'altra stanza, dove i preti congregati aspettavano il suo ritorno con la speranza di saper qualche cosa d'un colloquio che gli teneva tutti sospesi. Tutti gli occhi furono rivolti sopra di lui: egli alzò le mani, e movendole l'una contro l'altra con un gesto come involontario, tutto trafelato come se avesse corso due miglia, disse: «Signori, signori: haec mutatio dexterae Excelsi. Il signor curato della chiesa e il signor curato di... sono chiamati da Monsignore.» Il curato di Chiuso era un uomo che avrebbe lasciato di sè una memoria illustre, se la virtù sola bastasse a dare la gloria fra gli uomini. Egli era pio in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue parole, in tutte le sue opere: l'amore fervente di Dio e degli uomini era il suo sentimento abituale: la sua cura continua di fare il suo dovere, e la sua idea del dovere era: tutto il bene possibile: credeva egli sempre adunque di rimanere indietro, ed era profondamente umile, senza sapere di esserlo; come l'illibatezza, la carità operosa, lo zelo, la sofferenza, erano virtù ch'egli possedeva in un grado raro, ma che egli si studiava sempre di acquistare. Se ogni uomo fosse nella propria condizione quale era egli nella sua, la bellezza del consorzio umano oltrepasserebbe le immaginazioni degli utopisti più confidenti. I suoi parrocchiani, gli abitatori del contorno lo ammiravano, lo celebravano; la sua morte fu per essi un avvenimento solenne e doloroso; essi accorsero intorno al suo cadavere; pareva a quei semplici che il mondo dovess'esser commosso, poichè un gran giusto ne era partito. Ma dieci miglia lontano di là, il mondo non ne sapeva nulla, non lo sa, non lo saprà mai: e in questo momento io sento un rammarico di non possedere quella virtù che può tutto illustrare, di non poter dare uno splendore perpetuo di fama a queste parole: Prete Serafino Morazzone Curato di Chiuso. All'udirsi chiamare, egli si spiccò da un cantuccio dove stava pregando tacitamente, e si mosse senz'altra premura che di obbedire, senz'altra curiosità che di vedere se vi fosse per lui qualche opera utile e pia da intraprendere. L'altro chiamato era quel nostro Don Abbondio, il quale per togliersi d'impiccio era stato in gran parte cagione di tutto questo guazzabuglio: egli non poteva sapere, nè avrebbe mai pensato che questa chiamata avesse la menoma relazione con quei tali promessi sposi, dei quali credeva di essere sbrigato per sempre. Si avanzò anch'egli incerto e curioso, anche inquieto di dovere trovarsi con quel famoso Conte: pure lo rassicurava la faccia ispirata del Cappellano, quelle sue parole che annunziavano oscuramente cose grandi, e ciò che più stava a cuore di Don Abbondio, cose quiete. Ambedue i curati furono tosto introdotti nella stanza dove il Conte stava col Cardinale. Don Abbondio s'inchinò umilmente ad entrambi, e guardava l'uno e l'altro ma specialmente il Conte; e aspettava che si dicesse qualche cosa per esser certo che non v'erano imbrogli. Il Cardinale, prese in disparte il curato di Chiuso, e dettogli brevemente di che si trattava, gli espose la sua intenzione di spedir tosto in lettiga una donna al castello a prender Lucia, affinchè questa alla prima nuova della liberazione si trovasse con una donna, il che sarebbe stato per quella poveretta una consolazione e una sicurezza, non meno che decenza per la cosa; e lo pregò di sceglier tosto fra le sue parrocchiane la donna più atta a questo uficio per saviezza, e la più pronta per carità ad assumerlo. «Ne corro in cerca, Monsignore illustrissimo, e Dio compirà l'opera buona.» Detto questo uscì; i radunati nell'altra stanza lo guardarono curiosamente, ma nessuno lo fermò per interrogarlo, giacchè si sapeva ch'egli era così avaro delle parole inutili, come pronto a parlare senza rispetto quando il dovere lo richiedesse. Il Cardinale si volse allora a Don Abbondio, e con volto lieto gli disse: «Una buona nuova per voi, Signor curato di... Una vostra pecorella che avrete pianta come perduta, vive, è trovata; e voi avrete la consolazione di ricondurla al vostro ovile, o per ora in quell'asilo di che Dio la provvederà.» «Monsignore illustrissimo, non so niente;» rispose Don Abbondio, il primo pensiero del quale era sempre di scolparsi a buon conto, e di lavarsene le mani. «Come!» disse Federigo, «non conoscete Lucia Mondella, vostra parrocchiana, che era scomparsa...?» «Monsignore sì,» rispose tosto il curato, che non voleva passare per un pastore spensierato. «Or bene, rallegratevi,» disse il cardinale, «che Dio ce la restituisce: e questo signore» continuò (accennando il Conte) «è lo stromento di che Dio si serve per questa opera buona. In altro momento voi mi informerete dei casi e delle qualità di questa giovane.» – Ahi! ahi! – pensava fra sè Don Abbondio. – Bell'impiccio a contare la storia! Questa donna è nata per la mia disperazione. – «Per ora,» proseguì Federigo, «quello che preme è di riaverla e di riporla nelle braccia di sua madre, e in casa sua, se potrà esservi sicura. Andrete voi dunque con questo mio caro amico» (e così dicendo prese la mano del Conte il quale lasciava dire e fare troppo contento che un tal uomo lo governasse e parlasse per lui) «andrete al suo castello accompagnando una buona donna di questo paese che

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Argomenti: consorzio umano,    volto lieto,    affetto ansioso,    contemplazione mezzo,    avvenimento solenne

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