Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 76

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meditare ciò che fosse il comandato, e il meglio, e di eseguirlo, non riguardando nei giudizj degli uomini se non ciò che potesse essere una vera ed utile correzione per lui, o il segno di una irritazione e di una resistenza dannosa ai resistenti, e che potesse essere impedimento al bene ch'egli intendeva di operare. Fu quindi moderato ed umile tra il favore e gli applausi, placido e fermo tra i contrasti, non avendo di mira che la cosa da farsi, e il perchè, e l'effetto. Veduta la bellezza, l'utilità, e la possibilità d'un disegno, egli lo intraprendeva, ne curava attentamente il complesso e i minimi particolari con quella unità di attenzione che non sorprende chi rifletta alla unità ch'egli aveva del fine. Edificò dai fondamenti la biblioteca a cui volle dare il nome di Ambrosiana, la dotò di libri, di manoscritti, di macchine, di monumenti d'arte, vi raccolse professori, e nello stesso tempo poneva cura che le reliquie della sua mensa piuttosto povera che frugale fossero diligentemente raccolte, e date ai poverelli; tutto era per lui benevolenza, e cura degli altri. Così egli chiamò da lontano professori di lingue orientali per introdurre se avesse potuto, ogni coltura in quella rozza, ostinata, e presuntuosa barbarie nella quale egli sentiva di vivere; spedì uomini dotti quanto allora si poteva per l'Italia, per la Francia, per la Germania, per la Spagna, per la Grecia, nella Siria, a fare incetta di libri, di manoscritti, di ogni cosa che potesse essere stromento di studio e di coltura: e diede ad essi istruzioni, avviamenti, consigli: e per la medesima accuratezza di ben fare, in questa stessa carestia di cui abbiamo già toccato qualche cosa in questa storia, egli oltre i soccorsi che distribuiva, alla sua casa, alle case dei poverelli, pensò anche di mandare attorno sacerdoti, che raccogliessero i poverelli che mancanti di soccorso cadevano sfiniti per le vie, e dessero loro i conforti della religione: e insieme coi sacerdoti mandò facchini che portassero pane, vino, minestra, uova fresche, brodi stillati, aceto, per nutrire, per confortare coloro che cadessero per inedia; e tutti questi particolari erano meditati da lui, perchè tutto quello che fosse utile era per lui importante, e l'idea grande e generale della carità era dal suo cuore applicata tutta intera nei minimi suoi particolari. Così amava egli oltre ogni compagnia quella dei dotti, e dei poveri, per vivere sempre nell'esercizio delle sue più nobili facoltà. E da tanta operosità, da tante cure del suo ministero, da tanti impicci in cui era tirato dalla confusione che in quelle cure stesse avevano introdotta la confusione delle idee, e le passioni degli uomini, egli sapeva togliere ancora assai tempo per impiegarlo nello studio degli scritti i più stimati di qualunque tempo e di qualunque nazione, e nel lavoro dei molti scritti ch'egli ha lasciati. Noi non vogliamo qui esaminare tutti i pregi di quest'uomo; basti il dire ch'egli ebbe principalmente le virtù più difficili, cioè le più opposte ai vizj che signoreggiavano la generazione dei suoi contemporanei. Già forse l'amore dell'argomento ci ha trasportati ad una prolissità nojosa; ma non possiamo a meno di non avvertire una di queste virtù, perchè è quella che non certo per la sua importanza ma per la rarità ci sembra degna di osservazione; ed è la tranquillità e il contegno mirabile di Federigo. In un tempo in cui opinioni, fatti, discussioni, odj, amicizie, delitti, giudizj, tutto era avventato e precipitoso, in cui le virtù stesse avevano qualche cosa per dir così di spiritato, e di fantastico, Federigo fu temperato, aspettatore, ponderato, lento nel credere, nell'operare, nell'affermare, tutto condì con una temperanza, che raddolcì in parte quell'impeto indisciplinato, e fu se non altro ammirata da quegli stessi che ne erano incapaci. È cosa degna di maraviglia e di osservazione che il nome di un tal uomo, già ai nostri tempi, in una posterità così poco remota, sia non dirò dimenticato, ma certo non ripetuto così sovente come si fa degli uomini più illustri, che a questo nome sia appena associata una idea languida d'un merito incerto, d'una eccellenza indeterminata, che questo nome pronunziato fuori della patria di Federigo, e della società di quelli che più particolarmente si applicano alle cose nelle quali egli fu attore, o passi inavvertito, o riesca anche nuovo, e invece di risvegliare la memoria di una rara preminenza faccia nascere la curiosità di sapere che abbia fatto colui che lo portava, e che l'elogio che noi vi abbiamo unito abbia avuto bisogno di schiarimento e di prove. E forse ancor più stupore deve nascere al pensare che un uomo dotato di nobilissimo ingegno, avido di cognizioni, e perseverante nello studio, sommamente contemplativo, e nello stesso tempo versato nelle società più varie degli uomini, e attore in affari importanti, abbia posta ogni cura nel comporre opere d'ingegno, ne abbia lasciato un numero che lo ripone tra i più fecondi e i più laboriosi; e che queste opere d'un uomo che aveva tutti i doni per farne d'immortali, non sieno ora quasi conosciute che dai loro titoli, nei cataloghi di quegli scrittori che tengono memoria di tutto ciò che è stato scritto in un tempo, in un paese. Ma la spiegazione di questo fenomeno si può forse trovare nella condizione dei tempi in cui scrisse Federigo. A produrre quelle parole o quei fatti che rimangono presso ai posteri oggetto di una ammirazione popolare non basta la potenza di un ingegno nè la costanza di una volontà: è duopo che queste facoltà possano esercitarsi sopra una materia la quale abbia da sè qualche cosa di splendido, di memorabile: gli uomini di tutte le età rimasti insigni giunsero a quel grado di fama, o accompagnati da una folla d'uomini non insigni com'essi, ma pure partecipi dei loro studj, curiosi delle stesse cognizioni, ornati in parte della stessa coltura: o almeno combattendo contra errori, abitudini, idee, che avessero qualche cosa d'importante, di problematico, in quelle dottrine che sono un esercizio perpetuo dell'intelletto umano, trovarono in somma una massa di notizie e di opinioni, un complesso di coltura, sul quale fondarsi, dal quale progredire, al quale applicare gli aumenti e le correzioni per cui la memoria del genio rimane. Che se pure è viva tuttavia la fama e le opere di uomini vissuti in tempi rozzissimi, lo è perchè quei tempi erano sommamente originali, e quelle opere ne conservano il carattere, e mostrano ai posteri un ritratto osservabile d'una età che nessun'altra cosa potrebbe rappresentarci. Ma Federigo Borromeo visse in tempi di somma, universale ignoranza, e di falsa e volgare scienza ad un tratto, fra una brutalità selvaggia ed una pedanteria scolastica, in tempi nei quali l'ingegno che per darsi alle lettere, a qualunque studio di scienza morale, cominciava (ed è questa la sola via) ad informarsi di ciò che era creduto, insegnato, disputato, a porsi a livello della scienza corrente, si trovava ingolfato, confuso in un mare tempestoso di assiomi assurdi, di teorie sofistiche, di questioni alle quali mancava per prima cosa il punto logico, di dubbj frivoli e sciocchi come erano le certezze. Non v'è ingegno esente dal giogo delle opinioni universali, e già una parte di queste miserie diventava il fondamento della scienza degli uomini i più pensatori. Che se anche i più acuti, profondi fra essi, avessero veduta e detestata tutta la falsità e la cognizione, di quel sapere, avessero potuto sostituirgli il vero, giungere al punto dove si trovano le idee e le formole potenti, solenni, perpetue; a chi avrebbero eglino parlato? E chi parla lungamente senza ascoltatori? Il genio è verecondo, delicato, e se è lecito così dire, permaloso: le beffe, il clamore, l'indifferenza lo contristano: egli si rinchiude in sè, e tace. O per dir meglio prima di parlare, prima di sentire in sè le alte cose da rivelarsi, egli ha bisogno di misurare

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Argomenti: mare tempestoso,    utile correzione,    contegno mirabile,    esercizio perpetuo,    volgare scienza

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