Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni pagina 19

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celebre Conte di Colalto, e che si dà la nota dei reggimenti fra i quali vi è quel rinomatissimo reggimento dei più scelti e forbiti diavoli in carne che abbiano mai portato moschetto, il reggimento del famoso principe di Valdistano, o Vallistai1 come lo chiamino...» «Il nome legittimo in lingua alemanna,» interruppe il podestà, «è Vagliensteino, come l'ho inteso più volte proferire dal nostro signor comandante spagnuolo.» «Ebbene il reggimento di Vaglien... quello che è: e oltre di questo vi è il reggimento di Galasso, del Barone Aldringhen2 ed altri simili, tutta gente che ha combattuto contro i Luterani, e che non ha timor di Dio nè degli uomini, e che dove passa non lascia un filo d'erba.» «Per me,» riprese Don Rodrigo, «non ho voglia di aspettarli qui, e» continuò sogghignando verso il Conte Orazio, «se non avessi un affaruccio da sbrigare, sarei già a Milano.» «Il vostro affare è già bell'e disperato, e se non avete altro potete partire.» «Voi vorreste aver guadagnata la scommessa; ma piano, caro mio, se gli alemanni non vengono in questi giorni, la scommessa la pagherete.» Queste parole e il sorriso infernale con cui furon dette e risposte furono un lampo pel padre Cristoforo il quale s'accorse fremendo e tremando, che l'oggetto della scommessa doveva essere l'innocente Lucia. Il dottore intese forse quanto il padre, ma non tremò nè fremè, nè fece vista di nulla. «Attenda a tutto bell'agio ai suoi affari, sulla mia parola signor Don Rodrigo e non pensi a privarci della sua rispettabile persona; che già gli alemanni non sognano nemmeno di passare per di qua. Per mettere il piede sul nostro territorio che ha l'onore di appartenere alla monarchia spagnuola, bisogna ottenere il permesso del re Cattolico Don Filippo Quarto nostro signore che Dio guardi. Ora il permesso a chi tocca concederlo o negarlo? Niente meno che al Conte Duca, al gran d'Olivares, a quel modello dei politici, a quell'uomo che si può chiamare il favorito dei principi e il principe dei favoriti. Ora pensino le signorie loro, se un Olivares vuol permettere il passaggio...» «Ma le dico che si radunano a Lindò...» «Appunto questo è quello che mi persuade di più che non passeranno in Italia. Certe cose io le so dal nostro signor comandante spagnuolo, il quale si degna – brav'uomo! – di trattenersi meco con qualche confidenza. Sapranno ch'egli è un figliuolo d'un creato del Conte Duca, e che sa qualche cosa di questo gran ministro. Ebbene fra le strepitose doti del Conte Duca la più strepitosa forse è quella di saper nascondere i suoi disegni: di modo che quegli stessi che lo servono più da vicino, quegli che scrivono i suoi dispacci non sanno mai che cosa passi in quella testa, e molte volte anche dopo che un affare è stato conchiuso, nessuno ha potuto indovinare quale era in esso l'intenzione del Conte Duca. È una volpe, col dovuto rispetto, un furbo che farebbe perder la traccia a chichessia; e quando accenna a destra si può esser certi che batterà a sinistra, ed è perciò che nessuno può mai indovinare quello ch'egli sia per risolvere. Onde quand'io veggo truppe alemanne venire alla volta d'Italia, tanto più dico, che sono destinate per altra parte; perchè chi regola tutto anche fuori della monarchia è il Conte Duca; che ha le mani lunghe quanto la vista.» «Ma per dove crede lei che siano destinate tutte queste truppe?» «Per dove? non per l'Italia certo. Potrebbero esser destinate a gettarsi nella duchea di Borgogna per far diversione ai francesi, i quali (tutto per invidia del Cardinal di Riciliù3 contro il Conte Duca, perchè vede benissimo che non può competere con quella testa) i quali francesi dico per invidia soccorrono gli olandesi che si trovano all'assedio di Bolduc4. E questa congettura, per dir tutto, la tengo dal signor comandante spagnuolo.» «Ma sappia signor podestà che le notizie che noi abbiamo da Milano, vengono da personaggi in confronto dei quali...» «Via via, cugino,» interruppe Don Rodrigo «che il signor dottore è impaziente di dare egli una decisione questa volta.» «Io decido e sentenzio», disse il Dottore, «che le cene di Eliogabalo sarebbero vinte al confronto dei pranzi del nobile signor Don Rodrigo, e che la carestia non ardisce approssimarsi a questa casa dove regna la splendidezza sua capitale nemica.» Tutti fecero plauso al dottore e viva a Don Rodrigo; e tutti subito si misero a parlare della carestia. Qui tutti furono d'una sola opinione; ma il fracasso era forse più grande che se vi fosse stato disparere: giacchè tutti esprimevano energicamente la stessa opinione con diverse frasi, ma tutti in una volta. «Carestia!» diceva uno, «non c'è carestia sono gli accapparratori, birbanti.» «I fornaj, i fornaj» gridava un altro. «Impiccarli! dei buoni esempj, senza pietà. E quei birboni impostori che con un'aria pietosa hanno la sfrontatezza di dire che il pane è caro perchè il raccolto è stato scarso, e che il grano manca! Impiccarli, impiccarli! sono i peggiori: tutte invenzioni per nascondere gli accapparramenti.» «Hanno detto che non vogliono vendere finchè un terzo degli abitanti non sia morto di fame e il frumento non costi cento lire al moggio. Oh scellerati! impiccarli!» «Il grano c'è: questo è un fatto innegabile: dunque bisogna farlo saltar fuori: e il mezzo è pronto: impiccare quelli che lo nascondono.» «Dov'è tutto il male? nella carezza del pane: e chi lo vende caro? i fornaj: e per farli mutar vezzo, impiccarne uno o due.» «Eh ci vuol altro che uno o due: sono tutti birbanti, col pelo sul cuore. Impiccarli, impiccarli!» Chi ha mai intesa e goduta l'armonia che fa in una fiera di campagna, una troppa di cantambanchi, quando prima di spiegare i suoi talenti dinanzi al rispettabile pubblico, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere più forte che può affine di poterlo sentire in mezzo al romore degli altri, che procura di non ascoltare, s'immagini che tale fosse la conversazione di economia politica dei nostri commensali. In mezzo a questo trambusto vennero i servi a torre le mense, ricevendo e dando urtoni e gomitate: quindi si pose sul desco molle un gran piatto piramidale di marroni arrostiti, e si portarono fiaschi di vino più prelibato di quello che in Lombardia si chiama vino della chiavetta, e del quale, per un privilegio singolare, ogni proprietario ha sempre il migliore del contorno. Gli elogj del vino, com'era giusto, ebbero una parte della conversazione, senza però cangiarla del tutto: il gridio continuò per una buona mezz'ora: le parole che si sentivano più spesso erano ambrosia e impiccarli. Finalmente Don Rodrigo si alzò e con esso tutta la rubiconda brigata: e Don Rodrigo, fatte le sue scuse agli ospiti, si avvicinò al padre Cristoforo, e lo condusse seco in una stanza vicina. cap. 6
Peggio che peggio Ognuno può avere osservato che, dalla peritosa sposa di contado fino a... fino all'uomo il più disinvolto e imperturbabile, e per dirla in milanese il più navigato, tutti hanno certi loro gesti famigliari, certi moti insignificanti dei quali fanno uso quasi involontariamente quando, trovandosi con persone colle quali non sieno molto addomesticati, non sanno troppo che dire, o aspettano il momento di dir cosa la quale non è attesa nè sarà molto gradevole a chi deve intenderla. La differenza che passa tra gl'intrigati e i navigati (son costretto a prendere entrambi i vocaboli dal dialetto del mio paese, il quale non manca d'uomini dell'una e dell'altra specie) la differenza è che i primi coi loro moti incerti, e vacillanti e goffi mostrano sempre più il loro imbarazzo, e vi si vanno sempre più affondando, mentre negli altri questo disimpegno è nello stesso tempo un esercizio di eleganza e di superiorità. Tutte le classi hanno una provvisione particolare, e caratteristica di questi atti, e questa distinzione era più osservabile nei tempi in cui le classi erano più distinte per abitudini, e anche

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Argomenti: filippo quarto,    celebre conte,    famoso principe,    nome legittimo,    sorriso infernale

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