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Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 45della parola; ed anzi il suo atto di stupore si mutò rapidamente in un altro, di rassegnazione umiliata. Ah, se quell'uomo gli fosse capitato là con una rivoltella in pugno, e d'un colpo lo avesse freddato, certo gli si sarebbe mostrato più umano, che non tenendolo lì, alla tortura d'un colloquio angoscioso, lasciandogli pensare la triste cosa che pensò in quel momento supremo. — Margherita! immagine cara! Perduta, dunque, irremissibilmente perduta! È il destino. — XV. Fermi ai patti! Stettero muti a lungo, guardandosi; Raimondo più risoluto e severo, come ne aveva diritto; l'altro quasi timido, e profondamente umiliato, come doveva. Era il duello morale che incominciava, prima del duello materiale; era la punizione anticipata, in quel fronteggiarsi di due uomini, uno dei quali si poteva dire il giudice, e l'altro era certamente il reo. Raimondo Zuliani fu il primo a rompere quell'angoscioso silenzio. — Ma dimmi, — incominciò, — perchè io conosca il segreto della umana ipocrisia.... un segreto che non ho mai potuto comprendere, e nemmeno concepire.... come hai potuto mentire così lungamente, così vilmente con me? — Ad una domanda simile Filippo Aldini avrebbe potuto rispondere molte cose. “Non è stata menzogna, non ipocrisia volontaria, la mia; non sono stato io il colpevole, o solamente di debolezza. Trascinato, travolto, nell'ora maledetta in cui l'uomo che non cede alle lusinghe di una donna è ridicolo, ho ceduto ad un impeto di follìa. Ma il pentimento è stato pronto, come era stato improvviso l'errore. Quel pentimento io l'ho ancora dissimulato, per non offendere una debole creatura; l'ho dissimulato a lungo, mettendo innanzi un sentimento che in me era forte egualmente e profondo, il rimorso. Ho esortato, ho pregato, ho supplicato; un po' tardi, se ti parrà; ma infine, ho detto tutto ciò che consigliava l'onore, la santità della nostra amicizia. Pensa ancora, a mia scusa, che l'uomo non è spirito puro, a cui si possa chiedere l'esercizio delle più eroiche virtù; pensa soprattutto che l'obbligo di vivere così famigliarmente con te, di usare così frequentemente in tua casa, e di non potermene allontanare senza timore di peggio, fu un'altra specie di catena, che mi tenne ben duramente legato. Che credi? ch'io non vedessi il pericolo? e che ci andassi incontro di buon animo? Ho combattuto, e non ho vinto; le conseguenze della mia disfatta eccole qui. Non intendo già di sfuggirle; mi basta, per l'onor mio, di averti dimostrato che non ero un ipocrita, che potrei esser degno di scusa, non avendo tradita con deliberato proposito la tua fede, la tua amicizia.„ Questo avrebbe potuto rispondere tutt'altri, che non fosse stato Filippo Aldini, attenendosi alla verità, ma venendo meno a tutta una serie di rispetti umani e di cavalleresche virtù. Le sue difese morali avrebbero aggravata una donna; Filippo Aldini le mise da banda senz'altro. — Non mi chieder nulla; — rispose in quella vece. — E non mi dir nulla, ti prego. Se ha da essere un rimprovero, io me lo faccio da un pezzo. Vedi la mia umiliazione? C'è più rimorsi qua dentro, che mille coscienze umane non ne possano contenere. Risparmia questo carico nuovo alla mia. Poc'anzi, quando io t'ho veduto entrare, ed ho letto nei tuoi occhi la collera dell'uomo offeso, ho anche sperato che tu fossi per cavare un'arma e freddarmi d'un colpo. — L'ho pensato; — disse cupamente Raimondo. — Già ero per via.... e sono ritornato indietro per deporre quell'arma, che sarebbe stata una tentazione troppo forte. Ucciderti qui come un cane.... Lo avresti meritato. Ma io.... se non son nato gentiluomo, mi sento tale nell'anima. Facciamo le cose da gentiluomini, ho detto; ed eccomi qua, disarmato. — Sono a tua disposizione; — mormorò Filippo, inchinandosi. Raimondo Zuliani crollò il capo, ed atteggiò le labbra ad un sorriso sardonico. — Lo so bene; — riprese. — So come queste cose si fanno; ed anche come figurino bene in drammi e romanzi. Si sceglie la pistola, non è vero? Tu spari senza puntare, o per delicatezza cavalleresca fingendo di prender la mira; ma poi nel momento buono, sviando un tantino la canna, o in alto, o da un lato. Così, nobilmente, ti lasci uccider da me, se io ne vengo a capo nel numero stabilito di colpi. Non mi conviene. Aggiungi il chiasso che si potrà fare, e si farà certamente, intorno allo scontro. Voglio, ho il diritto di voler evitare uno scandalo, incominciato coi mezzi silenzii di quattro padrini informati a dovere, e continuato coi larghi commenti di una intiera città, che si occupi delle mie disgrazie coniugali. Nè solo a me devo pensare. — soggiunse Raimondo Zuliani, passando dall'accento amaro al solenne. — Quella donna è una disgraziata, una colpevole; ma io l'ho amata; ma essa porta ancora il mio nome; ed è infine una donna. Siamo cavalieri fino all'estremo. L'ho risparmiata stamane, quando ella mi confessò tutto, mostrandomi le tue lettere a lei.... e lasciamo stare le pazze ragioni che l'hanno consigliata a guarirmi così duramente della mia cecità.... l'ho risparmiata, e le ragioni mie potranno essere state pazze come le sue; ma io non le rinnego per questo. Dovrò io condannarla ad una morte più grave? dovrò farla arrossire e vergognare agli occhi del mondo? Neanche ciò mi conviene. — Allora?... — chiese Filippo. — Allora, — rispose Raimondo, — rimane che stabiliamo esattamente i termini della nostra questione, e che tu ne riconosca le conseguenze legittime. Rispondi sincero ad alcune domande. Mi hai tu ferito nell'onore? — Sì; — disse Filippo, chinando la fronte. — Mi hai tu uccisa la felicità? — Sì; — disse ancora Filippo, con un profondo sospiro. — Credi che uno di noi due sia di troppo sulla terra? — Filippo stese le palme in atto supplichevole, come a scusarsi del non poter rispondere con un monosillabo; poi con accento risoluto soggiunse: — Mi ucciderò io; sei contento? — No; — disse Raimondo, sdegnoso. — Una morte volontaria! La tua parte sarebbe ancora troppo bella, davanti a qualche animo preoccupato, disposto a giudicare coi lumi, o coi fumi, della passione. E a me, poi, resterebbe la parte d'un tiranno da melodramma. Non mi conviene. — Ma allora?.... — tornò a chieder Filippo. — Allora, ecco ciò che io voglio, a pareggiare le nostre condizioni; ecco ciò che ho il diritto di pretendere. Prima di tutto, giurami di stare al patto. — A qual patto, mio Dio! — gemette Filippo. — A quelle che vorrò io; — rispose Raimondo inflessibile. — Non sei tu a mia disposizione? — Sì, te l'ho detto. — E tu dunque giura di attenerti a ciò che mi piacerà stabilire. — Sia; te lo giuro; — conchiuse rassegnato quell'altro. Raimondo mise la mano alla tasca di petto del suo soprabito, e ne cavò il portafogli. Insieme col portafogli era venuta fuori anche una lettera, che Filippo riconobbe sua, del giorno innanzi. Povera lettera, che doveva essere il principio della sua felicità, ed era stata in quella vece la cagione della sua rovina irreparabile! Sospirò, guardandola; sospirò ancora mentre Raimondo la ricacciava in tasca, con un gesto d'impazienza e di sdegno. Aperto il suo portafogli, Raimondo Zuliani ne cavò due foglietti quadrati, sui quali si vedeva un accenno di scritto. — Li avevo già preparati; — diss'egli, — Guardali bene. — Filippo li guardò. C'erano scritti due nomi; Aldini nell'uno, Zuliani nell'altro. — Esamina attentamente; — incalzò Raimondo. — Non c'è scritto altro, nè sopra, nè sotto. Ed ora piegali in quattro. — Filippo obbedì. Raimondo, frattanto, offriva il suo cappello: ma ravvedutosi tosto, e guardatosi attorno, aveva veduto appeso in un angolo il cappello dell'Aldini. Lasciato il suo, corse ad afferrar quello, e lo porse a Filippo, dicendogli: — Mettili qua dentro. — E perchè quell'altro si schermiva, riprese con accento imperioso: — Suvvia! voglio così. — Filippo aveva obbedito. 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