Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 29

Testo di pubblico dominio

Campidoglio, ma di volerti adattare piuttosto a seguire il cocchio degli altri. Ti par bello? Hai fatto, e finirai di fare l'intermediario tra gli amori altrui. Mettici pure di mezzo il parroco e il sindaco; il fatto è sempre quello. Ma il fatto non si può disfare, e contentiamoci così. Torno a dirti che sono contentissima. Se tu mi avessi avvertita prima, del tuo lavorìo, non avrei certamente messo parole a guastarlo. Per fortuna, hai potuto rimediare, e dare anche una spinta più forte al cocchio di cui parlavamo. Così ha ragione il proverbio, che tutto il male non vien per nuocere. — Ma se lo dico io, che sei un angelo! — gridò Raimondo che vedeva finire in un'aperta di cielo quella mezza burrasca. — Hai le tue piccole antipatie, veramente. — No, caro. L'oca mi dà un po' di noia, ecco tutto. La figlia è carina, e le rendo giustizia. Carina per ora, intendiamoci; bisognerà vedere come metterà. — Oh Dio, degli altri dubbi? — Già; se diventasse un'oca come sua madre, che brutti giorni al signor conte! — E ripigliava a ridere, la signora Livia, a ridere più che mai, fino alle lagrime, e facendosi ritornare il singhiozzo. Raimondo pensò che quello fosse un ridere troppo forte per troppo lieve cagione. Ma conosceva il carattere di sua moglie, con quella facilità di andare agli estremi. Ora tra un estremo e l'altro, era da preferirsi quello del ridere. Il ridere fa buon sangue, finalmente. Ed egli poteva consolarsi pensando al titolo di una commedia dello Shakespeare: All's well that ends well; è tutto ben quel che finisce bene. Per tali ragioni Raimondo Zuliani se ne andò quel giorno assai felice al suo banco; felice ancora di essersi sollevato d'un gran peso, confidando alla sua Livia il segreto che gli doleva di aver mantenuto troppo a lungo con lei. Quel giorno, ancora, a pranzo, la bella signora trovò nella sua salvietta un astuccio di velluto azzurro che prometteva gran cose. — Un gingillo, — disse Raimondo, con aria modesta; — ed era un gioiello di grandissimo prezzo, una vera meraviglia, un regalo da principe. X. Idilio domestico. Filippo Aldini aveva lasciato passare un giorno senza andare al Danieli. La visita inaspettata della signora Zuliani, mettendolo presto nella necessità di congedarsi, gli aveva impedito di chiedere alle signore Cantelli se potesse piacer loro di fare qualche altra passeggiata artistica la mattina seguente; perciò non aveva stimato neanche opportuno di ripresentarsi, e senza una apparente ragione, a ventiquattr'ore di distanza. Andò il terzo giorno, che era un mercoledì, conciliando col suo desiderio le convenienze sociali. Lo ricevette la signora Eleonora, che era sola nel salotto; nè per tutto il tempo delle solite ciarle preliminari d'ogni visita di cerimonia Filippo Aldini vide comparir Margherita: l'uscio della camera attigua, donde soleva presentarsi la luminosa figura, rimaneva inesorabilmente chiuso, “d'ogni lume muto„. Ardì finalmente chieder di lei, parendogli che più del parlarne fosse disdicevole alla condizione sua di visitatore il tacerne. — È poco bene; — gli disse la signora Eleonora. — Il medico le ha raccomandato qualche giorno di riposo. — Speriamo sia cosa leggera; — riprese egli turbato, invocando colla intensità dell'accento e dello sguardo una confortante risposta. — Sì, sì, leggera; ci ha avuto un po' di febbre; ma anche questa è svanita. — La signora Eleonora rispondeva impacciata, fors'anche di mala voglia, e Filippo Aldini non osò chieder di più. Era già per andarsene, avendone buon pretesto nel timore di riuscire importuno; ma la signora lo trattenne, dicendo che per allora la sua Margherita non aveva bisogno di lei. Così seguitarono un altro poco a discorrere, lei senza calore di frasi, egli non sapendo che dirle di nuovo o di vario, per offrire appiglio ad una conversazione che non fosse di parole scucite. Per fortuna giunse Federigo, e la signora Cantelli si animò un tratto alla presenza del figlio. Anche Filippo ebbe modo di tacere, senza venir meno alle buone creanze, e tempo di collocare discretamente qualche frase qua e là. Poi se ne andò, giustamente immaginando che il suo rimanere più a lungo avrebbe impedito a quei due di andare nella camera di Margherita. Quella indisposizione subitanea, e più ancora il silenzio intorno alle cause che l'avevano prodotta, mettevano Filippo Aldini in una grande ansietà, ch'egli tentava invano di dominare. E Raimondo non ne sapeva niente? Forse da lui avrebbe saputo qualche cosa. Passò dunque a salutare Raimondo al suo banco, non facendo nulla di strano con ciò, poichè soleva andarvi quasi ogni giorno, dalle tre alle quattro del pomeriggio. Raimondo fece festa all'amico, secondo l'uso, e fu il primo a parlargli delle Cantelli, chiedendogli se fosse andato a salutarle. — Sì, sono stato; la signorina Margherita è indisposta; — rispose Filippo. — La signora Eleonora dice che è cosa leggera. Ma che sarà veramente? — Non te lo ha detto? — No, niente, ed io non ho creduto conveniente insistere colle domande. — Ebbene, te lo dico io; è stato un effetto del gran calore che mandano le stufe dell'albergo. Anche mia moglie ne ha sofferto, solo a restarci un'ora in visita: ma per lei, fortunatamente, è bastata qualche ora di letto; mentre la signorina Margherita, che a quella fornace si è scaldata più lungamente, ne ha sofferto di più. Non temere, per altro; è cosa da nulla, tanto da nulla, che ieri, quando fui al Danieli, la signora Eleonora non aveva neanche chiamato il medico. — Lo ha chiamato poi; — disse Filippo; — perchè me ne ha parlato. — Ah sì; e il nome? — Non lo ha detto. — E che cosa ha ordinato? — Qualche giorno di riposo. — Vedi dunque? Non c'è da stare in affanno, mio felice mortale. Ci si vede, stasera? Non si va a teatro, e si fanno quattro ciarle, al solito dei mercoledì. Ma vieni per tempo; se no, potrebbe darsi che uscissi, e ti vedrei troppo tardi. — Filippo Aldini promise. Andare per andare, meglio di prima sera, per non correre il rischio di perdere la compagnia dell'amico. Raimondo era di buonissimo umore: a casa fu piacevolissimo, pensando sempre come la sua Livia avesse gradito il suo regaluccio. Disponendosi ad accompagnare la moglie nella sala da pranzo, le disse tra tante altre cose più o meno importanti: — Stasera avremo il nostro Filippo. — La signora Livia non rispose. Ma forse non aveva udito; poichè egli, dopo un istante, riprese: — Se almeno capitasse sull'ora del caffè!... Egli ha sempre detto che quello di casa Zuliani è il primo caffè di Venezia. — Chi? — domandò la signora. — Filippo, Filippo Aldini. È passato da me oggi alle quattro; e mi ha promesso di venire questa sera da noi. Vedi come son forte in grammatica. — Che cosa viene egli a fare? — scappò detto alla signora. — S'è inabissato il Danieli? non dovrà egli condurre le signore Cantelli a teatro? — Non è questo il suo uso; — notò pacatamente Raimondo. — Poi, come ti ho detto, la signorina Margherita è ancora indisposta. — Ah, non ci pensavo. E allora il signor conte si degna di venire da noi? Staremo agli avanzi. — Ma che idea! — Bene, lo riceverai tu. Io mi ci seccherei; e il meglio sarà di darmi per ammalata. Non è la moda? — Via, fammi il piacere! — gridò Raimondo. — Che cosa ci hai, contro quel poveretto? — Niente; che vuoi ch'io ci abbia? O piuttosto, sì, pensandoci meglio, sento di averci qualche cosa. Prima d'ora, lo stimavo; oggi.... mi pare un altro uomo, e un altro carattere. Sai che son fatta così; quel che penso debbo dirlo, o lasciarlo capire. E intanto, con tutto quello che penso, dovrò, per far piacere a te, parlargli della felicità che lo aspetta, e rallegrarmi con lui della gloria di quei due milioni, o giù di lì, che la fortuna gli porta. — È tutto qui? — disse Raimondo. — Non gliene parleremo. — Sarebbe l'unica; — consentì la signora. — Ma tu col

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