Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 61

Testo di pubblico dominio

tre tempi, da vecchio soldato, quello che gli era passato per la mente di fare. Nella camera di Raimondo, frattanto, dopo aver liberata la povera signora dalle sue vesti inzuppate, il medico faceva le sue esplorazioni. La ferita del capo non pareva che dovesse essere gravissima; la capigliatura abbondante aveva ammorzata la violenza del colpo; forse anche era da credere che, cadendo col capo all'ingiù, la vetta del cranio fosse scivolata per sua fortuna sulla testa tondeggiante d'un palo. La giacente, per altro, non era rinvenuta ancora; poteva temersi d'una commozione cerebrale, come anche d'una commozione viscerale; onde il medico prudente non si arrischiava di dare un responso. Ma a poco a poco, frizioni ed aspersioni recarono frutto; l'inferma incominciava a riaversi, dandone segno con un rammarichio sommesso, e poscia con gemiti. Sopraggiunse indi a poco il medico di casa, e si unì tosto colla esperienza dell'arte sua alla operosità del primo venuto, approvando, anzi, tutto ciò che aveva incominciato a fare il collega. E non adulava per convenienza professionale, il dottore Del Vago; quel collega trovato per caso era veramente dei buoni. Eccellenti ambedue; ma il povero Raimondo era disperato, vedendoli ambedue così pieni di ansietà e così reluttanti a dargli speranze, a dirgli almeno ciò che pensavano. E fece un gesto di rabbiosa impazienza, quando vennero a dirgli che un signore, capitato allora, chiedeva di parlare con lui. — Chi è! che cosa vuole? — Uno della questura; — rispose il servo. — E pare, a giudicarlo dall'aspetto, un pezzo grosso. — Ditegli che non sono in istato di ricevere. Abbia compassione; ripassi domani. — Se mi permette.... — entrò a dire Giovanni. — Lo faccia passare. Sarà venuto per sapere come è avvenuta la disgrazia. Gliela spiego io. — Ma.... che cosa vorresti spiegare?... — disse Raimondo, turbato. — Mi lasci fare, signor padrone; si fidi di me. — Raimondo lo lasciò fare, e lo seguì in anticamera, dove riconobbe il visitatore. Pel bisogno di prendere informazioni bastava un delegato; trattandosi della famiglia Zuliani era venuto il signor questore in persona. Raimondo lo accolse come meglio potè; ma non sapeva che dirgli, tanto era sconvolto. Venne uno dei dottori, e sommariamente descrisse all'egregio ufficiale lo stato dell'inferma; la quale era ritornata in sè, finalmente, lasciando loro aprir l'animo ad un fil di speranza; filo leggero, per altro, ancor troppo leggero. Il signor questore si profuse in condoglianze, com'era il caso davvero. Ma come era andato il fatto doloroso? La domanda era naturalissima; nè egli, nè altri in quell'ora e in quella condizione poteva astenersi dal farla. Gli spiegò il buon servo Giovanni ogni cosa, conducendo il degno personaggio, insieme col signor Raimondo, nella camera della signora, e di là fino alla soglia del terrazzino. — Badi, illustrissimo; — gli disse, trattenendolo a quel punto; — non si affacci, per carità. Vede che cos'è stato? — Il terrazzino reggeva ancora dal piede e dai fianchi; ma il parapetto era andato. — Vedo, vedo; — disse il signor questore, ritraendosi. — La povera signora s'è appoggiata al davanzale; il parapetto ha ceduto.... — Proprio così, com'Ella saviamente osserva; — soggiunse quell'altro. — La signora aveva l'uso ogni sera di affacciarsi di lì, guardando sul Canale, mentre faceva prender aria alla camera. Maledette anticaglie! L'ho sempre detto, io, che un giorno o l'altro questi parapetti avrebbero fatto qualche brutto scherzo. Dio sa da quanto tempo le staffe di ferro si erano corrose, e i pezzi di marmo stavano ritti per miracolo. — Il parapetto parlava chiaro: diceva nella sua medesima assenza come fosse andata la cosa. E il signor questore, rinnovate le sue condoglianze, si accomiatò dal signor Zuliani, esortandolo ad esser forte, a sperare. Prima di seguitare il dottore, che già si era mosso per ritornare presso l'inferma, Raimondo andò verso il suo servitore che stava chiudendo le imposte della finestra malaugurata. — Che è ciò? — gli chiese, accennando il terrazzino. — Giovanni diede anzitutto una guardata sospettosa intorno, poi ammiccò al padrone, mostrandogli le sue braccia nerborute, e facendo l'atto di scrollare davanti a sè qualche cosa. — La gente non avrà da malignare; — disse egli poscia, a mo' di commento. Il signor Zuliani capì, e gli strinse la mano. In tutt'altra occasione gli avrebbe battuta la palma sulla spalla chiamandolo “Paron Nane„. Ma non era quello il momento. Capitò in quel mezzo il signor Brizzi, ed ebbe, insieme con le altre, la notizia del parapetto caduto. Ci credette egli, che sapeva già tante cose di quelle due tristi giornate? Sì e no; ma pensando da uomo accorto che non fosse savio nè utile scandagliare il fondo delle cose. Egli, prima di accorrere presso il suo principale, aveva avvertiti i signori Cantelli, che gli erano più vicini, e che certamente, trattandosi d'una sventura come quella, così grave per il signor Zuliani, non dovevano essere lasciati in disparte. Quando il signor Anselmo e Margherita giunsero al palazzo Orseolo, i due dottori erano ancora presso l'inferma; sicuri oramai che la commozione cerebrale si dovesse escludere; non altrettanto sicuri quanto alla commozione viscerale. E l'uno e l'altro, ad ogni modo, avrebbero passata la notte in casa Zuliani. Raimondo vide i due ultimi visitatori, a lui tanto cari. Gittò le braccia al collo del signor Anselmo e diede in un pianto dirotto. — Coraggio! — gli disse Margherita, anche essa più morta che viva! Coraggio! Il povero Zuliani non sapeva più che cosa fosse oramai. — Ah! — mormorò egli, oppresso, sfinito dall'angoscia. — Il mio cuore è spezzato. — XX. Lontano, lontano! No, non era spezzato; era colmo, rigurgitante di amore; di un amore sepolto, compresso, che risorgeva più violento di prima. Ebbro di amore e di dolore, Raimondo Zuliani stette per molti giorni sospeso tra morte e vita, perchè tra morte e vita si dibatteva quella povera carne sofferente. Quando ella incominciò a riaversi, a riprender conoscenza del mondo circostante, vide Raimondo al suo capezzale. Stette cogli occhi lungamente immoti, involgendolo d'uno sguardo intenso; poi richiuse le palpebre mentre le guance si tingevano d'un lieve rossore. — Perchè non lasciarmi morire? — diss'ella, con un filo di voce. — No, no, non voglio che tu parli così; — proruppe Raimondo, con accento di tenerezza, chinando il volto su lei, fino o toccarle con le labbra la fronte. — È necessario che tu viva, m'intendi? è necessario. La mamma se tu la vedessi, com'è rimasta abbattuta!... La mamma.... ti perdonerà. — Raimondo non parlava di sè; egli aveva già perdonato fin dalla sera fatale; o, per dire più veramente, un'altra esistenza era incominciata in lui, come in lei, rinnovandoli entrambi. La signora Adriana, lontana in quell'ora dal letto dell'inferma, aveva ben veduto il mutamento del suo Raimondo: lo aveva veduto, e compativa e taceva. Un po' debole d'animo, il suo caro figliuolo! Così poteva giudicarlo altri, non lei. E forse era tale; ma per contro era forte la passione riaccesa nel suo cuore dall'ultimo addio e dall'atto disperato di Livia. Di vincere la signora Adriana si prese cura la signorina Margherita, che da più giorni incalzava Raimondo con sempre nuovi argomenti, vedendo omai la probabilità di far breccia. E come trepidò egli, aspettando da Margherita la risposta di sua madre! E come si sentì sollevato, quando Margherita venne a dirgli che la signora Adriana intendeva tutto, e di gran cuore avrebbe perdonato alla nuora! — La mamma perdona? — gridò egli, raggiante di allegrezza. — A questo patto soltanto io potevo accettare di vivere. — Margherita abbracciò quell'uomo, che mai come allora si sarebbe potuto chiamare il buon genio di lei, l'arbitro del suo destino, l'autore della sua felicità. — Ella rende la vita anche a

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Argomenti: commozione cerebrale

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