Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 6

Testo di pubblico dominio

buone risoluzioni l'adempimento del voto che io ho formato poc'anzi, e il nuovo anno vi colmerà delle sue benedizioni. Chi vorrà dare l'esempio? Voi, amico Brizzi, non è vero? — Me ne guardi il cielo! — gridò il signor Brizzi, facendo un gesto d'orrore. — E perchè? — domandò Raimondo. — Vi conosco e vi stimo da gran tempo, mio caro, e so che non fate e non dite mai cosa su cui non abbiate pensato due volte. — Il signor Brizzi si avvide di non aver pensato neanche una a ciò che gli era uscito allora di bocca. Era stato un grido dell'anima; e bisognava attenuarlo con qualche spiegazione. — Perchè? — rispose. — È presto detto, il perchè. Renderei infelice la donna che avesse la cattiva ispirazione di accettar la mia mano. Son vecchio, sapete? son vecchio. — Ma che? — entrò a dire la contessa Galier, che non voleva sentir parlare di malinconie. — Vecchio è chi muore. — Signora contessa, la prego di credere che ho passati i cinquanta. Il matrimonio non è più fatto per me, salvo il caso di voler saldare insieme due cocci scompagnati. Con che gusto, poi? con che utile per la società? Pensiamo alla società, miei signori; è anche di moda. E concludiamo; il matrimonio è fatto pei giovani. — Raimondo avrebbe volentieri abbracciato il suo segretario. Senza volerlo, senza pensarci neanche, quell'ottimo signor Brizzi gli dava la mano, tirandolo dov'egli intendeva per l'appunto avviarsi. — E allora rivolgiamoci ai giovani; — ripigliò. — Auguriamo per esempio al conte Aldini la felicità ch'egli merita. Sei al momento buono, mio caro Filippo. È perchè i voti del capo d'anno sono privilegiati su tutti, io ti auguro con maggior fede una sposa degna di amore e di stima.... perchè non lo direi? come la mia. — Raimondo! — esclamò la signora Livia. — Mi farete arrossire. — E più avrebbe detto, tanto era seccata. Ma le bisognava rattenersi, star lei in riga, se non sapeva starci il suo signore e padrone. Ah, quella benedetta varietà di vini dei pranzi e delle cene solenni! Manda i fumi alla testa, snoda le lingue, fa dir sciocchezze agli uomini serii, troppe sciocchezze; e con una insistenza, poi, con una insistenza degna di miglior causa. A farlo a posta, il suo signore e padrone insisteva. — Ebbene, sì, che c'è egli di male? Viva la sincerità. Son tutti amici, qui, d'antica data, e strettissimi; gradiranno ch'io parli come penso. Sarebbe ipocrisia in me il tacer loro che sono felice. Credi a me, dolce amico; — soggiunse, volgendosi all'Aldini; — segui l'esempio di chi ti vuol bene. Io bevo intanto alla tua fidanzata. — Filippo era sulle spine; e doveva mostrarsi tranquillo, accogliendo lietamente gli augurii dell'amico Raimondo. — Senza conoscerla! — esclamò egli, tanto per dire qualche cosa. — Eh, pensiamo se tu, almeno tu, non te ne sarai formato un'idea! — incalzò Raimondo. — Nella mente d'un giovinotto, o nel cuore, la futura compagna della vita c'è sempre, immagine vaga, da principio, ma che a poco a poco va prendendo i precisi contorni di una giovine e conosciuta bellezza. Dico bene? — Ottimamente! — gridò il Gregoretti. — Dopo la prosa robusta, ci dai la prosa elegante, la prosa poetica. — L'argomento ne franca la spesa; — rispose Raimondo, i cui occhi andavano come per incanto verso la signorina Margherita. La fanciulla teneva i suoi molto bassi, avendo l'aria di voler aggiustare una piega della sua sopravveste. Ma intanto si era fatta un po' rossa, dal sommo della fronte fino alla radice del collo. E stava bene così, era più bella che mai, mettendo in mostra il volume dei capelli neri, ondati e lucenti, che sull'incarnato del viso luccicavano due volte tanto, con mobili riflessi turchini. Bella e divina creatura! Un poema, l'aveva dichiarata il Gregoretti, quella medesima sera, vedendola per la prima volta nel salotto della signora Zuliani. Perchè poi un poema? Ci sono tanti poemi brutti! e tanti altri mediocri! Ma il paragone, antico oramai, doveva essere stato fabbricato nel tempo che di poemi, in Italia, si conoscevano soltanto i divini, quei tre che tutti sappiamo; dopo i quali, chiudi e sigilla, che il conto è fatto. — Dunque, — ripigliò il Gregoretti, tenendo bordone a Raimondo, — vogliamo bere alla futura sposa del nostro Aldini? Egli è qui l'unico scapolo in età da pentirsi. Péntiti, don Giovanni! — Eh, don Giovanni nel profondo del suo cuore non avrebbe chiesto niente di meglio. Ma lì per lì sentiva corrersi un brivido per l'ossa. — Anche tu? — diss'egli volgendosi al Gregoretti, con aria tra confusa e seccata. — Anch'io, sicuro, e tutti quanti siam qui, a volerti bene. Péntiti, don Giovanni! — Filippo Aldini guardò intorno a sè, con occhi smarriti, come d'uomo in punto d'affogare. Tutti, col calice in mano, gli ripetevano la medesima frase. “Péntiti!„ diceva il Ruggeri; “péntiti!„ il signor Telemaco, che in verità non diceva nulla, ma consentiva col gesto, e nel gaio concerto delle voci pareva aggiungere la sua. Ma era dunque una congiura? un colpo premeditato? — Lo senti? Te lo dicono tutti in coro; — gridò Raimondo Zuliani, ridendo a più non posso. — Péntiti, don Giovanni! — E si rivolgeva, ciò detto, alla sua Livia, come per invocarne l'aiuto. — Ma sì, — aggiunse allora la signora Zuliani, con la sua vocina sottile, e accompagnandone il suono con un moto grazioso della sua testina bionda, — perchè non si pentirebbe, don Giovanni? — Filippo Aldini era fuori di sè dalla stizza. Ma egli sentì che a durarla ancora un tratto, sarebbe diventato ridicolo, con quella cera da funerale, in mezzo a tanta allegria che pareva volersi rovesciar tutta su lui. A farlo a posta, anche la padrona di casa si metteva dalla parte dei canzonatori. Accettò dunque l'invito, come se fosse stato un comando; levò il suo calice, lo vuotò fino all'ultimo sorso, e rispose con accento risoluto: — Sia, poichè tutti lo vogliono; mi pentirò. — Ebbe naturalmente un applauso da tutti; e dopo l'applauso un premio speciale dal Gregoretti. — Così va bene; — disse il poeta mattacchione. — Fin da domani metto la Musa in molle, e ti preparo l'epitaffio. — Voleva dire l'epitalamio. Ma già la lingua incominciava a tradirlo. III. Per l'amico del cuore. Quella notte, anzi meglio, quella mattina, la signora Cantelli avrebbe voluto ritirarsi intorno alle due. Veramente, le rincresceva di dare il mal esempio; ma il suo Federigo doveva essere di buon mattino al suo posto, e bisognava concedergli almeno quattr'ore di sonno. Il signor Zuliani aggiustò le cose per bene, proponendo che Federigo andasse via solo, mentre per le signore, con tanti cavalieri presenti, non sarebbe mancato chi le accompagnasse al Danieli. In questo modo si guadagnò un'altr'ora allegra, illuminata dalla grazia, dal sorriso incantevole della signorina Margherita. Raimondo Zuliani era tutto raggiante di contentezza, ameno, festevole, attento ad ogni cosa che potesse occorrere per la felicità dei suoi ospiti; e ciò senza bisogno di scomodare sua moglie, che doveva lasciarlo fare, standosene regalmente seduta in trono, ossia, per chiamar le cose col loro nome, nell'angolo sinistro di un soffice canapè foderato di raso, accanto alla signora Eleonora. Ma c'è un fine anche alle veglie notturne; e quando le signore Cantelli accennarono a prender commiato, Raimondo fu pronto a dar loro per cavaliere il conte Aldini. Mentre tutti incominciavano a mettersi in moto, la signora Livia ebbe agio di tirare il marito in disparte. — Che idea è la tua? — gli bisbigliò. — Non doveva il signor Aldini accompagnare la Galier? tanto più che sono così vicini di casa? — Capisco; — rispose Raimondo. — Ma la contessa ci ha il nipote, e quello può bastare. Credi tu che possa venire in mente a qualcheduno di rapirtela? Quanto alle signore Cantelli, potrebbe servire il cavaliere Lunardi? O il signor Telemaco? Mi paiono tutti e due morti dal

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