Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 44

Testo di pubblico dominio

infatti; ma l'aveva indovinata poc'anzi al giro di chiave, quindi al batter disperato delle piccole mani. — Sì, io; — rispose ella, entrando nello studio. — Datemi ospizio per due minuti. So bene che vi annoio.... — Annoiarmi, no; — fu pronto egli a rispondere. — Ma voi intenderete il mio stupore; dopo ciò che avevo promesso ier l'altro, e che ho fedelmente eseguito, ma senza ottenere nulla da lui.... lo saprete bene.... — Io non so nulla; — interruppe la signora. — Ho potuto credere in quella vece che non abbiate voluto resistere fino all'ultimo. — Fino all'ultimo! — ripetè Filippo, con voce impressa di orrore. — L'ultimo... era il suicidio di vostro marito. Me lo aveva minacciato, poichè il mio rifiuto lo disonorava, dopo l'impegno assunto col banchiere Cantelli, ed egli non voleva sopravvivere al suo disonore. Così sono stato debole, così ho ceduto, signora. — Quelle parole la scossero. Ricordò le frasi del biglietto di Filippo Aldini; ricordò la nera tristezza di suo marito, in attesa di quel biglietto, e il suo mutamento repentino appena lo ebbe ricevuto. Tutto ciò si accordava con le parole di Filippo. Ma ella non era disposta a convenirne; e neanche era tempo da confessarsi in colpa; ben altro aveva ella da dirgli. — Lasciamo le dispute vane; — replicò, — e le lagnanze e le recriminazioni, egualmente vane. Il mio orgoglio non ne farà; il mio sdegno si è abbastanza saziato. Sono venuta per dirvi ch'egli sa tutto. — E cadde, così dicendo, sul divano dello studio, ove si tenne rannicchiata, colle palme raccolte intorno agli occhi, non osando levarli a guardare l'effetto che le sue parole producevano in lui. Filippo era rimasto fieramente colpito. Istintivamente aveva recata una mano al cuore, come se lì avesse ricevuta la punta mortale. Anche intorno a lui, quante rovine in un tratto! — Sa tutto! — ripetè, dopo un istante di pausa. — In che modo? — Io gli ho date le vostre lettere. — Le mie lettere! Non le avete bruciate? — No; vi amavo.... non potevo obbedirvi. Ora il male è fatto; e irrimediabile, non è vero? — soggiunse la signora, accompagnando la frase d'un amaro sorriso. — Vengo ad avvertirvene, per un senso di misericordia, che ho ritrovato ancora in fondo al mio cuore. Badate a voi, conte; non v'incontrate con lui in questi momenti. — Grazie, — rispose Filippo, sorridendo più amaramente di lei. — Ma come evitarlo? — Fuggendo. — Io?... lo pensate?... io fuggire? — Ma non c'è altro scampo; — diss'ella. — Se egli vi cerca, e al primo incontro vi ammazza.... come un ladro del suo onore? — Sarà nel suo diritto, ed avrà fatto bene; — conchiuse Filippo, alzando la fronte, che fino allora, sotto la sensazione del colpo doloroso, aveva tenuta abbassata. Non c'era nulla da rispondergli; e la signora Zuliani non rispose parola. Filippo Aldini aveva errato; riconosceva il suo fallo, senza voler sottilizzare, senza voler distinguere come e fin dove si potesse creder suo; era disposto a pagarne la pena; non gli si poteva chieder di più. Egli, a buon conto, accettando il suo destino, si sentiva libero una volta per sempre, intieramente padrone di sè. — Molto male, — ripigliò allora, con accento grave, ma tranquillo, — molto male avete fatto, signora. E adesso, poi, mi avrete gittato quell'uomo sulle braccia, per venirmi a consigliare una viltà? Pagherò il mio debito da gentiluomo, se il signor Zuliani vorrà, come io finalmente penso contro la vostra supposizione, rifarsi con armi e forme da gentiluomini; ed anche lo pagherò, posso prometterlo, da uomo di cuore, che conosce i suoi torti. Se dunque è un bersaglio, quello che vuole, egli ne ha il diritto, e lo contenterò. — Ed egli vi ucciderà egualmente.... — ribattè la signora. Filippo si strinse nelle spalle, e non rispose. — O voi ucciderete lui; — proseguì ella, terminando il dilemma. — Non farò ciò; — diss'egli, più col gesto che con parole formate. In quel punto si udì una scampanellata all'uscio di casa. — Ah, lui! — gridò Livia atterrita. — Non credo; manderà piuttosto qualcuno; — notò freddamente Filippo. — Ad ogni modo uscite, vi prego. — E non volete ascoltarmi?... — Non posso, signora. Qualunque cosa egli pensi di fare, io sono a' suoi ordini. Dopo ciò che avete fatto voi, non vedo altro che questo: e sono lo schiavo della sua volontà. — Una seconda scampanellata, e più forte, avvertì che non era tempo da nuovi discorsi. — Andate, vi supplico, andate; — disse Filippo, traendola con dolce violenza verso l'uscio a vetri. — E non tremate per lui. — Ella non aveva più parole, nè volontà per opporsi; obbediva alla esortazione di Filippo. — E badate; — soggiunse egli, prima di richiudere la vetrata alle spalle di Livia; — serrate voi l'uscio, mentre io vado ad aprire di là. — Livia era sparita, e la vetrata richiusa. Filippo andò all'uscio padronale, lo aperse e si trovò davanti a Raimondo Zuliani, che già stava per dare una terza strappata. Filippo aspettava una coppia di padrini, per verità, ma anche, tra varii casi possibili, aveva preveduto quelle di ricever la visita di Raimondo Zuliani. Perciò non fece atto di grande stupore, vedendolo. Soltanto, doveva fingersi ignaro della cagione che gli faceva capitare in casa l'amico, a quell'ora. Da chi, infatti, poteva egli essere informato di ciò che era avvenuto al palazzo Orseolo, quella stessa mattina? Ma egli, per contro, non poteva mostrarsi lieto nell'aspetto, come sarebbe stato naturale, alla vista del suo amico migliore. Si tenne dunque a mezz'aria, e il suo atto di temperata maraviglia non prese colore da nessun sentimento di sciocca allegrezza, o di inopportuna alterigia. — Ah! — diss'egli, sforzandosi di parer tranquillissimo. — Tu qui? — Sì, io qui; — rispose Raimondo, con misurata gravità. — E siamo soli, per parlare liberamente? — Solissimi; entra pure di qua. — Non era vasto il quartierino di Filippo Aldini. Il suo studio era anche la sua sala di ricevimento. Raimondo fu dunque introdotto nello studio. Egli era serio nell'aspetto, anzi severo ed accigliato; ma non più stravolto, non più contraffatto, nè irrequieto, come lo aveva veduto due ore prima il signor Brizzi. In quelle due ore passate nel suo banco, Raimondo Zuliani aveva avuto tempo di padroneggiarsi abbastanza. E perchè poi, sarebbe egli durato nell'agitazione dei primi momenti? Niente val più d'una risoluzione fatta, sulla quale non si deve più ritornare, per render la calma necessaria agli spiriti dell'uomo. Egli si era tanto padroneggiato, da poter pensare a parecchie cose più o meno urgenti della giornata, da lasciar ordini per alcune operazioni bancarie, e da incaricare il signor Brizzi d'una gita all'albergo Danieli, per far le sue scuse al signor Anselmo del non esser egli potuto andare alla stazione, e dirgli che sarebbe andato a riverirlo più tardi. Non aveva egualmente potuto scrivere la sua lettera al “signor conte„; ma non già perchè gli si fossero schiarite abbastanza le idee. Troppe cose, aveva finalmente pensato, troppe cose gli sarebbe stato necessario di scrivere. Capitava egli in persona, per dirle al “signor conte„. Le cose d'un certo rilievo, si sa, vengon più facili a voce, che non per iscritto. Entrò nello studio, adunque; e appena fu entrato, fece egli da padrone di casa. Era una cosa da nulla; ma si poteva argomentarne subito la gravità del colloquio. — Siedi; — aveva egli detto all'Aldini. — E tu? — disse l'altro, obbedendo. — Anch'io; — rispose Raimondo, ricusando la poltrona che Filippo gli offriva col gesto, e prendendo in quella vece una scranna. — Vedi come son calmo; — soggiunse, poichè fu seduto. — Pure, ecco un uomo, al quale tu hai tolta la pace e l'onore. — Filippo Aldini finse di guardarlo con aria trasognata. Ma poichè all'artifizio della bugia non poteva durare, non aggiunse all'atto la ipocrisia

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Argomenti: due ore,    dolce violenza,    mutamento repentino

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