Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 36

Testo di pubblico dominio

Raimondo; ella si sarebbe rassegnata a non veder più Filippo, ridiventato in istile di cerimonia il signor conte Aldini, a non vederlo più, se non qualche volta, a punti di luna, nel suo salotto, o nel suo palco a teatro. Fino a quando così? Fino a quando si potesse durare. Tante cose si promettono, colla speranza di non doverle poi mantenere! Raimondo Zuliani giungeva a casa, secondo l'uso, di buonissimo umore. Si era a tutta prima turbato, vedendo la sua Livia un po' pallida e abbattuta nell'aspetto; ma pensò che erano i soliti vapori, frequenti a dir vero, ma brevi, passati i quali la strana creatura ritornava più fresca e fiorente che mai. Strano uomo anche lui, con tutte le virtù, con tutti i doni dello spirito, meno la perspicacia nelle cose più vicine e più intime. Ma questa qualità non va mai senza un certo spirito diffidente; e può questo allignare dov'è rigogliosa la fede? Raimondo aveva una fede robusta in ogni cosa, fede in lei, fede nell'amico, fede in sè stesso. Questa, poi, era principio e cagione di tutte le altre. Per l'amor suo e per la passione del lavoro, non aveva egli fatto miracoli, raggiungendo una condizione invidiata? Ben lavorava per quella donna, che era tutta la sua famiglia; e ancora non aveva egli varcato nel cammino della vita quel mezzo, oltre il quale s'incomincia a perdere qualche illusione e qualche speranza. Egli e Livia potevano dirsi soli nel mondo; ma se non gli arrideva forse più l'idea di lavorare per una nidiata d'innocenti, bene egli vagheggiava il disegno ambizioso, ma non temerario, di rallegrare gli anni maturi della sua donna con due o tre milioncini, da aggiungere a quello che non aveva più da aspettare. Egli lo aveva pure indovinato, che i troppi milioni delle Cantelli entravano per una gran parte in certe antipatie di sua moglie, le quali senza ciò si sarebbero potute stimare irragionevoli. Ebbene, a questo piccolo guaio c'era rimedio, e in sua mano: giovine ancora e pieno di salute, animoso ed accorto, col vento in fil di ruota da un pezzo, avrebbe raddoppiate, triplicate le sue sostanze in pochi anni. Non gli mancava il genio “degli affari„; la fortuna lo aiutava; due buone ragioni per veder la vita sotto l'aspetto più roseo. Per allora, il sud sogno era quello di ammogliare l'Aldini, il suo Pilade, che considerava come una sua creatura. E ciò senza nuocere alle sue faccende, che non entravano punto nel giuoco. Quello, infatti, era quasi un lavoro delle ore avanzate; lavoro fine, lavoro delicato, in cui si esaltava la sua mente, e si compiaceva il suo cuore. Far dei felici intorno a sè, bella cosa, e gaudio divino: peccato che sia cura di pochi. Or dunque, egli era di buonissimo umore a colazione; ma fu di umor pessimo a pranzo. I giorni si seguono, e non si rassomigliano; così disgraziatamente vanno, e anche dissimili, le ore d'un medesimo giorno. La signora Livia, che aveva le sue particolari ragioni in quel giorno, per ispiare attentamente il volto di suo marito, non ebbe da fare nessuna fatica per riconoscere che il vento era cambiato. La faccia di Raimondo non nascondeva mai nulla dei sentimenti interiori: gli occhi erano in lui veramente lo specchio dell'anima. — Che cos'hai? — gli domandò, vedendolo accigliato. — Nulla; — rispose Raimondo. — È troppo poco, il tuo nulla; — replicò la signora. — Tu hai un dispiacere; ti si legge sulla fronte. — Eh, cara mia! gli affari non vanno tutti bene ad un modo. Corro il rischio, oggi, di perdere ventimila lire. — E per questo hai le gronde? Avrai perduto altre volte, e senza far quella cera. — Non so; — disse Raimondo, svogliato. — Il perdere è sempre spiacevole. Venti lire son venti lire per tutte le borse, anche per quella di un Rotschild, come dice il proverbio della gente d'affari; figùrati poi.... ventimila. — Voleva ridere, ma rideva stentato. Ed anche stentato gli era venuto l'accenno di quella gran perdita, che finalmente non era ancora una perdita, ma un rischio di perdere. — Filippo ha parlato; Filippo ha resistito; — disse la signora Livia tra sè, reprimendo un sussulto di allegrezza, la cui manifestazione per verità sarebbe stata fuori di luogo. Sì, Filippo aveva parlato, e in ciò che Filippo aveva detto era da trovar la cagione della tristezza di Raimondo. Ma questi non voleva confessare a sua moglie che una nuova difficoltà fosse nata, e che questa difficoltà gli venisse appunto dagli scrupoli, dalle fisime cavalleresche, dalle ubbie pazzesche del suo caro Filippo. Temeva troppo di sentirsi dire da sua moglie: “Ti sei bene infatuato di quello sciocco? Ti sei bene affondato negli impicci per lui? Vedi ora che bei giuochi ti fa, rendendoti ridicolo, con la tua smania di far l'agente matrimoniale! Aggiungi al ridicolo il doverti guastare coi Cantelli. Per le donne, poco m'importerebbe; molto deve importare a me, perchè importerà a te, e non andrà senza le più gravi conseguenze, l'esserti guastato col vecchio, padre canzonato e banchiere offeso nella sua dignità.„ Questo, od altro di simile, ed anche di peggio, gli avrebbe detto sicuramente sua moglie. Ora, egli non voleva più aver guerra di parole con quella donna, tanto amabile, cara, idolatrata a quel dio, ma un po' per cagione de' suoi nervi, un po' troppo facile ad aspreggiare, a schernire. Donna adorabile, se non avesse avuto quel piccolo difetto, che a volte lo avrebbe fatto dare nei lumi! Ma esseri perfetti non ne nascono al mondo. Filippo adunque, era stato quel giorno al banco Zuliani, secondo il costume invernale, sulle quattro del pomeriggio; l'ora canonica, come la chiamava Raimondo, per fare la passeggiata igienica, aspettando ambedue l'ora del pranzo, che doveva separarli, avviando l'uno al palazzo Orseolo e l'altro al caffè Quadri. — Oh, bravo, sei tu? — disse Raimondo, veduto entrare l'amico. — Siedi; finisco di minutare una lettera, e son da te. Sei stato al Danieli? — soggiunse, rimettendosi a scrivere. — No; — rispose Filippo. — Come va questa faccenda? Ier l'altro, no; ieri nemmeno; oggi meno che mai. Che giuoco è questo? Se credi di toccare il cuore alle belle, con questo modo di farei.... — Sai, — disse Filippo, impacciato, — colla signorina indisposta.... — Appunto per ciò; — interruppe Raimondo, — buona ragione per andare ogni giorno a chieder notizie. Agli occhi della signora Eleonora tu sei già un fidanzato, mio caro. Ma che cos'hai, ora? — Filippo s'era lasciato cadere allora allora su d'una poltrona, accanto alla scrivania di Raimondo, e abbassata la fronte rimaneva lì immobile, quasi istupidito, collo sguardo fisso al tappeto. — Più ci penso, — mormorò egli, senza levar gli occhi da terra, — e più vedo questo matrimonio impossibile. — Raimondo per quella volta depose la penna, e inarcò il sopracciglio. — Impossibile? perchè? — Lo sai, lo intendi, dovresti immaginarlo anche tu. Quella donna è troppo ricca per me. Temo le ciarle del mondo. Ma sì; — soggiunse Filippo animandosi, poichè tanto aveva preso l'aire; — questo pensiero è più forte di me. Ho cercato di vincerlo; non ci sono riuscito; sento che non resisterò a questa vergogna. — Vergogna, anche! La parola è grave. — Nella mia condizione è la vera. — La tua condizione è onorata; quante volte avrò io da ripeterlo? Non sei uno spiantato, perbacco, e molti galantuomini si sentirebbero in diritto di pretendere ad un partito come quello, con molto meno di terra che tu non n'abbia al sole. Inoltre, te l'ho anche detto; da amici, e segretamente, e senza aver neanche da rimetterci un soldo, son sempre qua io per pareggiar le partite. — Filippo fece il solito gesto di diniego all'offerta. — Sì, quel che vorrai; — diceva egli frattanto. — Ma non si tratta solamente della dote, per me; si tratta del resto, di tutto il resto, capisci?... Con tanti milioni!... — Tanti milioni!... Chi te l'ha detto, che sian tanti? E mettici un numero, almeno. — Filippo sentì

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Argomenti: sguardo fisso,    strano uomo,    piccolo guaio,    solito gesto,    certo spirito

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