Il ponte del Paradiso di Anton Giulio Barrili pagina 34

Testo di pubblico dominio

quelle che non si confessano a lei. — Io! ma che?... — disse in quella vece appoggiando i suoi monosillabi con un sorriso ed un gesto che poteva parer di diniego. — Ma sì, l'ami; — replicò la bella implacabile. — E come no? Cinquecentomila lire di dote, sono una bellezza trionfale. Aggiungiamo un milione e duecento cinquantamila lire di eredità, facendo calcoli sull'asse del vecchio al giorno d'oggi. Eh, si son fatti i conti, mio caro; si sanno fare, anche senza bisogno di cavarne nulla. Oggi come oggi, il banchiere ha sette milioni di sostanza, messi fuori di giuoco. E tu, bel conte, dai il tuo blasone in baratto. Lo vendi bene, non c'è che dire, lo vendi bene. — E diede in uno scoppio di risa, lasciandosi andare mezzo arrovesciata contro la spalliera del divano che correva lungo la parete, poco lontano da lui. Filippo era rimasto fieramente colpito da quel terribile assalto. Non proferì parola; ma ben si vedeva all'aspetto che molte cose gli bollivano dentro. Si alzò dalla scranna, e misurò due volte a passi concitati la stanza, che era divenuta per lui una prigione, una camera di tortura. — Ebbene, — riprese ella, premendo più forte, quasi volesse mandare più addentro la punta che lo aveva tanto irritato, — dimmi che non è vero, perchè io rida dell'altro. Oh, bello bello, il tuo blasone rimesso a nuovo! — Filippo Aldini si piantò davanti a lei, severo, accigliato, com'ella non lo aveva mai visto. — Signora, — incominciò egli, lentamente, meditando le parole, — voi toccate un tasto, che rende cattivo suono. Le male cose che mi gettate in viso come un insulto.... — Ah, bene! — interruppe la signora. — Riscaldati una volta! — Le male cose che mi gettate in viso come un insulto sanguinoso, — riprese Filippo con accento solenne, — non hanno virtù di commuovermi. Paura, mi avevate già detto, paura di lui! Quella che voi chiamaste paura, è vergogna, vergogna di apparire a quell'uomo leale un traditore dell'amicizia; quanto alla paura, ho ancor da sapere dove ella stia di casa. E dite lo stesso di altre brutte ragioni, che la mia coscienza di gentiluomo sdegnosamente respinge, e che la mia mano ricaccerebbe in gola a chi ardisse solamente accennarle. — Lampeggiavano in quel momento negli occhi di Filippo molte imagini di vecchi Aldini, ugualmente accigliati, ugualmente severi, duri soldati di quindici o venti generazioni, col sentimento dell'onore sulla fronte, e la mano fieramente aggravata sugli elsi della spada. Le vide Livia; anche confusamente, non poteva non vederle. Ma anche in lei soverchiava lo sdegno, infiammandole il sangue. — Ricacciatele, dunque! — proruppe. — Avanti, terribil guerriero! — Parla una donna; — rispose Filippo, con accento mutato; — e dirò in quella vece alla donna: Tutte le male cose che mi avete gettate in viso, ho voluto pensarle ancor io; e come le ho pensate, esagerandole molto, le ho dette; le ho dette, nella speranza di vincere con un eccesso di scrupoli la inconcepibile ostinazione di lui. Niente è servito. Tu non sei ricco, mi ha egli risposto; ma intanto ciò che possiedi basta a fronteggiare i due terzi della dote; meglio invigilato, amministrato a dovere da te, basterebbe a fronteggiarla tutta. Quella gran dote, finalmente, sarà investita in terreni, e tu non ne toccherai un centesimo. Non ti basta ancora, di averne le mani nette? Puoi chiedere che sia diminuita, lasciando che la sposa si costituisca il rimanente in sopraddote. Mi parli di quello che verrà poi? Il poi è lontano, e speriamo, da galantuomini, che sia lontanissimo. E non risguarda te, il poi; sarà della donna, non tuo. Questo, — soggiunse Filippo, — lo sapevo bene ancor io; non sapevo, piuttosto, non ho cercato di sapere come e fin dove fosse ricco il signor Cantelli, od altri al mondo, mai! — Così, dunque, ti sei volentieri acquietato? — replicò la signora. — Ci s'acquieta bene, quando c'è l'interesse, non è vero? — Non vi risponderò più; — disse Filippo. — Ah, il gentiluomo s'inalbera! Bada, conte Aldini, mercante di blasoni, ciò che io posso fare ti costerebbe assai caro. Ancora una volta, ricuserai la puppattola? — No; — rispose egli inflessibile. — Guai a te, conte Aldini! — ruggì, più che non dicesse, la donna inviperita. — T'inganni, se pensi ch'io possa lasciarla passare così; t'inganni, t'inganni. — E non lo penserò; — diss'egli di rimando. — Ma infine, perchè non metterlo prima, il vostro gran veto? Aspettate ora? — Ella rizzò il capo, saettando Filippo d'uno sguardo viperino. — Aspetto ora! aspetto ora! — ripetè con accento di profonda amarezza. — E quando potevo farlo io, prima d'ora? Con la tua casa vietata ai profani? Non l'avevi tu dichiarata locanda, ad uso dei viaggiatori.... di Verona? Cari, quei due viaggiatori, che nessuno ha mai visti, nè per via, nè a teatro, mentre tu eri visibile, bel conte, con due viaggiatrici.... di Milano! Ti hanno fatto buon giuoco, i due ospiti! E così ti fossero durati di più! Ma avevano una breve licenza, ed hai dovuto lasciarli partire; che peccato! T'intendo, la trovata non era poi altro che una continuazione di tanti vecchi artifizi. Da gran tempo ti eri messo in mente di guarirmi con la tua freddezza, come prima coi tuoi continui timori, coi tuoi eterni rimorsi. Ma io, questa volta, incalzando il pericolo, volevo vedere fin dove saresti arrivato. Ah, mi hai fatto soffrire, soffrir tanto, tanto! Finchè il mio cervello ha potuto reggere, ho contenuto il mio cuore, che ad ogni momento era lì per ispezzarsi. Ora non più, mi ribello. Vedi, Filippo, mia madre.... è morta pazza. E ci sono momenti che temo ancor io d'impazzire. — E cadde riversa sul divano, dando in un pianto dirotto. Filippo Aldini, a tutta prima più irritato che scosso, si era sentito scorrere un brivido per le ossa all'accenno che Livia faceva della morte di sua madre; un accenno che a lui giungeva nuovo, e che gli schiudeva dinanzi agli occhi un abisso doloroso. Peggio, in quel punto, il cadere di lei, con quel pianto disperato, misto a singhiozzi ripetuti, che parevano annunziare alcunchè di più grave. Il pianto era infatti convulso, il singhiozzo spasmodico. — Calma, vi prego! — gridò, curvandosi su lei. — Rialzatevi, Livia; abbiate forza, vi supplico! Io non so, non posso far nulla, se voi vi abbandonate così; non posso neanche chiamare in soccorso i vicini. Animo, via, un piccolo sforzo! — Ella tentò di sollevarsi; ma fu mestieri aiutarla, prendendola per la vita. — Dirai di no? — chiese ella, tra i singhiozzi, aggrappandosi a lui. — Mio Dio! che cosa domandate? Lo sapete pure che io non posso oppormi ai suoi desiderii, senza correr pericolo di nuocere a voi. — A me? Che importa, se già tu stesso mi uccidi, obbedendogli? Dirai di no? — Tutto quello che sarà in poter mio, lo farò.... lo tenterò, certamente; — rispose Filippo, temendo sempre ch'ella fosse per ricadergli svenuta tra le braccia. — Gli parlerò ancora, e più forte ch'io non abbia mai fatto, se pure è possibile ch'io non gli abbia detto abbastanza. Questo vi posso promettere, e questo manterrò. — Parola di gentiluomo? — Veramente, — mormorò egli, — non dovrei esser più creduto tale. — Oh, perdonami; ero pazza. Ma vedi, Filippo mio, soffro tanto, che non son più capace di padroneggiarmi; e parla la lingua, ma il pensiero non c'è. Perdonami, perdonami! Non è vero che nel tuo cuore mi hai già perdonato quelle brutte, brutte parole? — Ma sì, senza dubbio; — rispose Filippo, sempre cercando di chetarla. — Se voi mi promettete di esser più forte, io perdono, dimentico ogni più aspro giudizio. So anche bene di non meritarlo, — soggiunse. — Ma voi, Livia, mi ascolterete una volta. È un gran male ciò che è accaduto, un gran male; dobbiamo dimenticare anche quello, se pure avverrà che non possiamo averne perdono dalla nostra coscienza. — Come vorrai.... tutto ciò che

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Argomenti: inconcepibile ostinazione

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