Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 53

Testo di pubblico dominio

sulle corna la poesia e gli acquerellisti. Biella (Bullarella, Buraiella, Buiella, Bucella, Bugella) è al confluente dell'Oropa cel Cervo. Che sia città antica (153 ab U. C.) lo comprovano la iscrizione di Caio Publicio Crescenzio e l'altre che si conservano nella casa parrocchiale, il sepolcro de' romani Melii, ora divenuto battisterio, la medaglia fatta per commemorare la ruina di Gerusalemme. Da Lodovico il Pio e da Lotario fu donata al conte Bosone nell'826: poi da Carlo, da Ottone, da Corrado, da Federigo I alla chiesa vercellese: nel secolo XIII si levò ad animosa controversia per sottrarsi al dominio di Vercelli: nel XIV provò il furore della peste, segnò di croci rosse i militi contro Fra Dolcino, si scosse di dosso il vescovo tirannello Giovanni Fieschi: nel 1379 diede giuramento di fedeltà al conte di Savoia: nel 1525 gli imperiali vi aguzzarono l'unghie. Trascrivo un particolare che soddisferà la curiosa domanda di alcuni miei amici:—«Il maresciallo francese Brissac estese la sua occupazione su parte del Biellese ed obbligò il comune ad inviare a Parigi dei legati per il giuramento di fedellà ad Enrico II e per ottenere la conferma di tutti i privilegi. Si fu in quell'epoca che si incominciò il commercio delle lane colla Francia e principalmente con Lione, e ne venne il motto francese di Biella, perchè il comune di Lione accordò con diploma 23 gennaio 1558, il privilegio di cittadinanza ai Biellesi.» (Guida per gite ed escursioni nel Biellese, edita e compilata per cura della Direzione del Club Alpino, sezione di Biella, 1873). Poi Biella ebbe ancora la peste, gli Spagnuoli e i Francesi, peggiori della peste, e di nuovo i Francesi. Biella è una cittadina simpatica, che si presenta pulita, sanissima, affaccendata, percorsa da cento omnibus dalla stazione verso il santuario e verso Andorno. Nella via maestra vi sono dei portici sotto cui s'impaccia la gente ai giorni di mercati popolosi: tutto vi si trova, dalle usuali terraglie impastate colle argille di Ronco e Ternengo agli immensi tesori delle fabbriche grandiose. Nuove piazze, nuove vie, nuovi edifizi accennano ad intendimenti edilizi di buon gusto. De' monumenti conosco il Duomo, incominciato nel 1402 e finito nel 1825: vorrebbe esser gotico nell'insieme, ma stentato nell'ornamentazione, senza gusto, senza carattere, goffo e pretenzioso, coll'alto peristilio che mischia persino dei capitelli semi-egiziani agli archi acuti, alle colonne allampanate, al terrazzo sopracarico di tabernacoletti, di sfere, di piramidi, in tutto ha qualcosa del cartone dipinto a gesso e colla: nell'interno si può perdonare qualcosa, in vista d'una pittura del Lanino e d'un pulpito in legno scolpito. Il Battistero è un tempietto ottagono, di mattoni grossi, incoronato da tanti arcucci venerandi, con una scoltura che porta effigiati due putti carnosi, bene atteggiati sullo sfondo di un colonnato a rigidi profili. Una porticina conduce a un sotterraneo, un'altra al piano terreno. Il pretino che ci accompagnò ci disse che giù c'erano due tombe di vescovi: dal mazzo di chiavi una sola scelse e ci aprì il battistero, nudo, gretto, squallido. De' Melii, delle lapidi romane e delle notizie che gli domandai intorno al Galliari, al Cogrosso, al Vacca, al Fea, al Gonin, il povero schiccheratore di fedi di nascite e di morti ne sapeva come le ragazze che, colla gabassa sulle spalle, comperano gli zoccoli. San Cassiano si presenta coll'alto peristilio sbiancato: è chiesa di fondazione antica, di cui le memorie rimontano al 1200. Ma, povera Arte! Ero insoddisfatto. Per conto mio, ho guardato e riguardato la porta e la porticina antica dell'albergo d'Europa, con alcuni dettagli di fascie robuste, tracce di finestroni, la scoltura dei due angioletti che si baciano, reggendo lo scudo col motto Ubi Pax ibi Deus, e i due stemmi che spiccano sul campo nero d'un riquadro. Il mio pretino, eruditissima guida, mi perdonerà se taccio del Seminario, del Palazzo vescovile, della Trinità, dell'Amministrazione dell'Ospizio d'Oropa, dell'Ospedale, del S. Paolo, del S. Filippo, ecc., mi saranno invece grati i lettori se dico loro che nella città vi sono 9 fabbriche di drapperia e filati, 12 depositi di lane e rappresentanze di case estere, 2 fabbriche di maglie, 8 di bordati, 5 di cappelli, 5 concerie, la grandiosa fonderia di ghisa degli Squindo e l'altra dei Girelli, la nota cartiera Amosso e la birreria di Menabrea. Sella, Rosazza, Poma, Bozzalla, Garbaccio, Boussu, Trombetta, nell'industria hanno tanto nome, quanto splendore avevano nei tempi andati i Ternengo, la casa Lamarmora, i principi di Masserano, i principi della Cisterna. Benedetto il Cervo e l'Oropa! Sì, il lavoro ferve animatissimo dappertutto, sia nei vasti fabbricati che hanno 400 finestroni, da dove rombano le macchine più meravigliose del progresso, sia sotto ai portichetti smattonatì dove le ragazze, cantando, impagliano scranne o filano colla conocchia della nonna. Esempio siano: il lanificio Piacenza a Pollone, la fabbrica dei Poma a Occhieppo superiore, a Miagliano il cotonificio pure Poma, colle case degli operai costrutte sul modello di quelle di Mulhouse in Alsazia: esempio presenti la fia della Nastasia al Favaro. Lo dico con orgoglio: gli stabilimenti industriali di Biella sommateli voi, io v'ho date le cifre: 190 sono quelli del Circondario (Guida del Club Alpino, ecc.). Si lavora, si lavora, si lavora, ognuno secondo le proprie forze: i figli della fia di Nastasia un di mangeranno il pane che sa di sudore onoratissimo e di lucido acciaio strofinato e di grasso abbruciato, se pure non lo faranno mangiare agli altri: il lavoro ha sempre avuto un premio. Per controbilanciare il poco bene che ho detto di Biella, come accoglitrice di cose d'Arte, devo parlare e col massimo piacere di Biella-Piazza, o sia di Biella alta, un gruppo della città, su un poggio, dove difficilmente capita il viaggiatore per Oropa. Al sommo dell'erta salita si presenta un edificio del rinascimento, di gusto squisitissimo, con finestre rettangolari, fascie dipinte di azzurro, linee egregie, i campi illustrati da storie belligere, gli occhi di bue, e sotto la gronda le tracce elegantissime degli archetti che sporgevano a sostenere il tetto. Di sotto al sudiciume, alle moderne manomissioni, all'opera del tempo, esce un profumo d'Arte gentile, corretta, spigliata. Di chi fu quella casa? Ho domandato invano. Nell'interno c'è la fabbrica di maglierie dei Guglielminotti: domina la sbiancatura e l'adattamento. Nell'istessa viuzza, su cui dà il fianco, s'incontrano delle fascie di terra cotta, due o tre a frange trilobate, una a targhette, grifoni e flessuoso svolgersi di foglie. Il palazzo del principe della Cisterna mostra l'architettura salda e già capricciosa del cinquecento: portone col poggiuolo marmoreo, finestre col timpano spezzato e i busti, colonne bozzate, e all'alto un loggiato d'arconcelli coperto. Lo dicono anche il Castello. Nell'interno ho visitato una torricella colla scala a chiocciola, i solai spaziosi, adorni di una porta acuta a fascia di terra cotta, lo scalone nudo, a cui è unita la tradizione della morte segreta, un muraglione cioè pieno di coltelli e trabocchetti, e finalmente i saloni. Il palazzo è ridotto a filatoio. Ma bisogna ancora vederle quelle travature, quei freschi a chiaroscuro che ricingono le somme pareti, quel camino eretto sugli orecchioni, colla cappa scolpita, ornata, dorata, colle statue sedenti e gli stemmi e gli stucchi e i finestroni! Bisogna immaginare il decoro sontuoso degli arazzi, dove ora sporgono le cornici di legno spezzate e i chiodi ritorti: i mobiloni di noce, le seggiole di broccato, i ritratti degli avi, dove ora s'ammucchiano i telai spezzati! L'ambiente è austero. Citerò anche la chiesa di Sant'Anna che doveva esser bella, se non intervenivano a vituperarla pennello e cazzuola, sì che pare che i santi del Gaudenzio Ferrari e le sante stecchite fra le colonnine d'oro spirali, pare rimpiangano i

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Argomenti: cento omnibus,    maresciallo francese,    motto francese,    campo nero,    lucido acciaio

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