Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 47

Testo di pubblico dominio

* * Sappi dunque, amica cara, che al mattino non mi sveglierebbero punto i canti delle falciatrici di fieno, nè il rumore delle scarpacce dei pastori, nè il muggito delle acque cadenti. No! ma mi sveglia, picchiando sull'uscio colla nocca delle dita, la bagnina, che ha tanto coraggio d'augurarmi il buon giorno! Cattivissima e ruvida, a cinque ore! Sonnolenta, brontolona, freddolosa, raccolgo le poche robe, mi involgo in uno sciallo, e scendo al bagno. L'acqua è così fredda che manda il sonno a mille miglia, e, stringendo le gambe e le braccia come con tante anella d'acciaio tagliente, fa sentire strapotente il bisogno di un moto il più accelerato. Gli è in quest'ora che pei corritoi vedi correre gli uomini imbacuccati nelle copertone di lana, e le signore scendere in giardino al primo raggio di sole. * * * Dopo la colazione, ad ore otto, lo Stabilimento a poco a poco si acquieta: i signori escono a passeggio, e di solito verso il santuario dì Oropa, le signore si chiudono nelle camere: solo si vede qualche crocchio di politici, in cui biancheggia la Gazzetta del Popolo, l'Opinione, la Nazione e altre carte imbrattate: qualche romantica e qualche romantico, coll'albo o con un libro, si dilungano giù pei viali ombreggiati del monte. Buon disegno e buona lettura. Per me li ammiro e vorrei…. Ma oh! vedi prosaccia, batto i denti, solo pensando che m'aspettano, a undici ore, la doccia e l'orizzontale. Sai, amica mia, e l'una e l'altra danno tante migliaia di trafitture di ghiacciuoli spietatissimi, sì che ci sarebbe da gridare, credendo di essere conci come pelli da crivello! * * * Alle dodici e mezza squilla la campanella del pranzo. A tavola ti presento conti e contesse, marchesi e marchese, e cavalieri e ufficiali e commendatori: ti mostro abiti elegantissimi, pizzi, gioie e pettinature; ti faccio ascoltare discorsi in fiorentino aspirato, in ruvido piemontese, in italiano guasto da labbra milanesi, in rapido veneziano, in pretto genovese. Mescola tutto assieme: tra la vanità, la pompa, le chiacchiere, esce una sola risultante, data da madre natura: una fame impaziente. Ond'è che i medaglioni stemmati oscillano prosaicamente da un collo bianco su un piatto di zuppa, un panetto o una dozzina di grissini valgono un pizzo, da cento labbra fuggono le eleganti vacuità per dare adito alla forchetta. Signor medico cavaliere, evviva dunque la cara idropatica, che dà buon sapore alla cucina! * * * Dopo pranzo c'è la sfilata all'ufficio della posta. Di loro, signori uomini, non mi occupo: parlo delle mie consorelle peccatrici di vanità. Vedo sottane in seta adorne di pieghettati in granadina, guarniture di ricami bianchi, corsetti a punta davanti e a baschina di dietro, fisciù in granadina, arricciature in tulle di Bruxelles, gonne con sbiechi di velluto, tuniche polacche, cappelli a veli svolazzanti, e via e via. In particolare poi ti cito la contessa B. di Torino, le due contesse R. e S. di Firenze, la marchesa S. di Piacenza, la contessa C. di Milano. * * * Il terzo bagno non merita di essere nominato: e la cena si assomiglia al pranzo. Dunque sto zitta: e attendo la sera. A sera c'è radunata nel salone, si fanno crocchi, si ballano dei lancieri e delle quadriglie, si chiacchiera…. Vuoi ascoltare? Mi fai un verissimo piacere: perchè così rompo l'ordine cronologico, e salto con te di palo in frasca. —Dunque che mi dice, contessa? —Che vuole, commendatore? —Innanzi tutto, notizie della sua salute. —Oh la va per benino. L'aria è fresca, l'acqua frizzante, ma la cucina…. la cucina! Sdruccioliamo nella prosa. ti consiglio a cambiar posto. * * * —C'è nessuna sociabilità: io non so perchè, Perchè coi nuovi venuti si è così discortesi? Non dovrebbero gli ospiti vecchi fare gli onori di casa ai nuovi? Si sa, la noia stizzosa dei primi giorni fa andar a male la cura. —Perchè, dice? Perchè l'Italia è fatta, ma non sono fatti gli italiani. Qui si dicono belle verità: cambia crocchio o saresti segnata a dito. * * * —Sì, sì, l'ho veduto il corsetto. —Com'era? —Era aperto a cuore: aveva un fisciù in granadina nera e malva: lo stesso ricamo forma attorno delle conchiglie spiegate: una arricciatura…. Ti diverti? Credo che il Mode tu l'abbia già letto. * * * —Questo stabilimento manca di molte cose, —Ha mille ragioni. —Manca di sala da lettura, di gabinetti di fiori, di libri, di musiche. —E poi, sa, le signore devono inerpicarsi su al santuario per la messa della domenica! L'erta è difficile. —A questo si provvederà. Avremo una mezza festicciuola: s'inaugurerà dal vescovo di Biella un altare nel corridoio, con lusso di fiori e di festoni. —Quando? —Ma non ha letto il programma? No? Oh guardi mo! Domenica avremo la cerimonia religiosa: poi i giuochi profani, cioè il tempio di Bacco con zampilli di vino, la corsa nel sacco, il ballo popolare, e a dopo pranzo, ancora il ballo, la lotteria artistica, i fuochi di artifizio, il falò. Un complesso da far strabiliare i bagnanti d'Andorno e di Cossilla. —Ma bene! ma bene! —Vedremo. Così ci sarà un po' d'allegria: qui la vita è troppo monotona, e sì che c'è tanta gente! —Tutti i giorni il direttore deve rifiutare domande. —Persino gli abbaini sono occupati, In questo crocchio non c'è male. Peccato che scenda la notte. * * * Prima di recarmi nel salone voglio bisbigliare con te: —Perchè sei così triste? —Io? no. —Ma sì! —Ti sbagli. —Che cosa aspetti? —Una tua stretta di mano. LAURA. III. Oropa, 27 agosto 1874. Amica, Devi sapere ch'io sono venuta ad Oropa coll'Albo da disegno e qualche libro, di quelli che, scritti in faccia alla natura, vogliono essere letti sotto l'immenso cielo, con una zolla d'erba a leggìo, con un fiore a segno, coll'auretta che ne volge le pagine, quasi profumando i pensieri ad esse consegnati. Cara amica, tra pochi giorni io partirò da questi monti! Sono certissima che l'albo mi farà spargere qualche lagrimuccia, quando co' suoi fogli disegnati mi rammenterà i luoghi cari alla meditazione, quando colle traccie dei fogli staccati mi ricorderà le manine gentili, che strinsero la mia in rendimento di grazie. Quei libri, colle righe sottolineate appassionatamente, letti e riletti nei brani descrittivi, declamati in quelli affettuosi, poseranno sul mio tavolo da lavoro, in città, non più aperti nella triste semiluce, a carissimo ricordo, a dubbiosa promessa:—A tante persone ho detto: a rivederci l'anno venturo…. Ci rivedremo? Ho incominciato così la mia lettera per farti capire ch'ella non è punto una lettera. No, voglio che noi passeggiamo insieme discorrendo. * * * Quando io penso ai mesi di luglio che ho passato per l'addietro, e li confronto col luglio e l'agosto di quest'anno di grazia, dico la verità che ho tale stizza con chi mi mandò ad arroventarmi ai bagni di mare e con me stessa così pigra, come se io avessi le radici nella mia città, tale stizza ho, che mi mordo la lingua, piuttostochè fare di peggio. E dico alle eleganti che strascicano la seta sulle ghiaie di Pegli:—O poverine!—A me poi leggo gli spettacoli diversi la cronaca cittadina e il bollettino meteorologico di qualche foglio! Ma mi era possibile sopportare l'afa di un teatro, la noia di un concerto, la perpetua atmosfera di piombo colato? Oh, in riparazione, ho fatto anch'io un mezzo voto al santuario d'Oropa: quello, cioè, di accettare nella vita tutto e con pazienza, tranne…. l'estate in città! * * * A mille e ventidue metri sul livello del mare, da un monte su cui l'arnica coi fiori gialli dieci volte in un dì è circonfusa di nebbie, per poi brillare come un oro al sole più raggiante, io figgo giù gli occhi a voi poverini: laggiù, laggiù, indovino le aguglie della mia città. Tanto io sto bene, che dimentico di essere stata male, nell'aria bevo a sorsate l'oblìo a me sì necessario, guardo su le cime del brullo Mucrone, con invidia, poi giù ancora contemplo il vastissimo piano. Vedi: in quel

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Argomenti: tanto coraggio,    terzo bagno,    bollettino meteorologico,    mezzo voto

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