Storia di un'anima di Ambrogio Bazzero pagina 68

Testo di pubblico dominio

stuccate, le seggiole a gambe di capra e le poltrone a ranocchio, e le alcove deserte. Ecco qui nella galleria pendono gli antenati di toga, di spada, di rocchetto, tipi cipigliosi del Tanzo, del Nuvolone, del Porta, ma tutta gente che si era fatto onore per la famiglia: le antenate coi guardinfante o colla tonaca, faccie lunghe del Cerano e del Legnani. ma donne benedette dal Signore nella prole o nelle visioni. Ecco nella sala delle battaglie, sulle tele crostose di un Borgognone di terza mano, dinnanzi alle fantastiche bicocche dei turchi, i guerrieri indiavolati e nel fumo dei cannoni cristiani i nemici che se la danno a gambe. Ecco nel museo le bestie impagliate che vissero nel parco: il pellicano ha una scansia di vetro colla cupola: un Crivellone ha abbozzato, nero e rosso, intorno alle pareti i cani che leccano il sangue, i cinghiali che ruzzano a salmontone, gli uomini che muoiono sbudellati. Ecco nell'armeria, fra le labarde dei servi d'anticamera, una spadina a zuccotto, donata nientemeno che da un re, il quale non sapeva tenere la penna ad Utrecht. Ecco nella sala delle udienze un gran trono, velluto cremisi ed oro, per assidersi a dopo pranzo a giudicare, con diritto di vita e di morte, i vassalli famelici tutto l'anno. Ecco nella cappella un tronino barocco, offerto al buon Dio a peso d'argento, perchè a un tanto per oncia rimetta i peccati a tutta la prosapia. La gloria dell'appartamento incomincia dal santo alcova della vecchia testatrice e finisce col confessionale pagato dall'unico erede dei cinque feudi. In questo regno, o rampichino, non è mai sonata una parola di gioia. Eccolo il marchese Asdrubale!… Ebbe ventimila pertiche di terra grassa, questa villa, un palazzo ionico in Milano; creò cinque benefizii per cinque oratorii dei morti, sciolse dai livelli due monasteri, istituì varie messe pei poveri giustiziati a San Giovanni alle Case rotte; ebbe perfino trenta cani bracchi, segugi, mastini, da leva, da ferma, dodici amici senatori, una moglie infeconda e che gli visse accanto circa settantotto anni, sette mesi e qualche giorno. Eccolo il vecchio Feudatario di Filippo V, di Luigi I, ancora di Filippo V, e poi di Ferdinando VI, e poi di Carlo III! Largo! fate ala! rendetegli l'omaggio!… Viene dal tronino di Dio, e passa innanzi al suo trono di feudatario, alla spada d'argento del re Borbone, al pellicano impagliato, ai venti, ai quaranta, agli ottanta quadri d'antenati e di battaglie e di assedi…. Largo! fate ala! rendetegli l'omaggio!… Ma se non si muove alcuno per le sale!… E lui, da un capo all'altro del palazzo, procede vestito di nero e con quell'anello in dito…. Non c'è più nessun mascherone dei Tiepoleschi che, ghignando, racconti altre istorie, dopo quella della mamma, dell'abbadessa e del cardinale…. Il vecchio si fa innanzi, barcollando, viene, viene, passa dalla biblioteca, passa dal secondo alcova, passa dal primo alcova, viene, viene, cercando un primogenito anche lui. Il marchese Asdrubale è morto grande di Spagna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Si è fatto sera. La vecchia e i tre figli sono tutti sepolti nello buca gentilizia della cappella, in quattro cofani di velluto nero, tutti e quattro distesi su quattro seggioloni disusati, sotto una pietra incisa coi cranii e le clessidre e gli svolazzi che annodano le tibie. È la sera di Natale. La madre e i tre figli sono tutti seduti nel salone della festa al così detto pranzo di famiglia, sulle seggiole di seta rossa, chinati sulla trapunta tovaglia di Fiandra, sotto la luce di una gentile lumiera di Murano, e fra i calici arrubinati e le argenterie scintillanti. È la notte di Gesù piccino. La vecchia guarda mestissima il marchese Asdrubale…. È l'ora delle gioie di Natale. E la badessa donna Maria Ines di Santa Radegonda racconta la sua amorosa gloria di mamma, quando le era nato quel bambino biondo, come quello del Signore. E il cardinale Don Apollonio di Santa Prisca racconta la sua tranquilla felicità di babbo, quando la sua gioconda, la sua bella, la sua fanciulla sorridente gli porgeva a baciare le due bimbe così rosee e ricciutelle, come le angioletto sulla capanna di Betlemme. La vecchia tornava nella buca: e il marchese Asdrubale scagliava via l'anello. * * * O rampichino, o rampichino timido e santo, quand'esci all'alba dal palazzo e per i rami dei carpini ti avvii giù là in fondo ai campi e al paesetto, o rampichino, o rampichino modesto e gentile, non raccontare le istorie delle sale barocche abbandonate, non raccontare le ciarle del convito di Natale…. * * * Alla mattina del Santo Stefano, il piovano di ****, che aveva da' suoi antecessori ereditato l'obbligo di benedire a Natale li defonti del palazzo, perchè un marchese Asdrubale aveva lasciato, con decima di miglio, di avena, di frumento, un beneficio alla confraternita della Buona Morte,—alla mattina un poco tarda, il piovano, aprendo con una chiave irrugginita la cappella sepolcrale, trovava sulla pietra un uccelletto morto di freddo, lo spazzava via con una pappuccia, e, guardando per un corritoio una fuga di saloni e di saloni, incominciava a dire, stringendosi nelle spalle:—Requiem æternam dona eis, Domine…. NATALE. (FANTASIE) Whilst thou art fair and I am young.
BYRON.
Giù, giù, sui campi mestissimi della nostra pianura lombarda, s'intorbida la pallida alba del Natale. Ecco i colti, qua aggelati nelle tinte verdi umidiccie del frumento in germoglio, là a cinquanta passi addormiti nei lividi nebbionacci del verno e dei concimi: i solchi colatoi bianchi di brina e giù inzuppati da pozzatelle di pioggia: i gelsi coi tronchi neri e le capitozze goccianti, in filatere allineate, come i morti a guardia di un immenso camposanto obliato: i capannotti col tettuccio di sagginali fradici, l'acciottolato fangoso e il sentieruolo senza più l'aia: i pagliai col cappuccione ammuffito e sullo stocco la crocetta che si scorteccia: le strade sepolte nel molliccio, colle rotaie allagate, e i fossatelli pieni del mosaico giallastro delle foglie flagellatevi dagli acquazzoni. Ecco là un paese su uno sfondo tutto cenerugiolo e senza misura: i muricciuoli di una pallidezza sucida da cenci immollati: gli orti bruni, senza più una siepicina, tutti a stecchi ed arruffaglie: le finestre ingozzate di fogliaccie: le casette rattrappite l'una sull'altra, come chi si stringa nelle spalle: i palazzotti, su alti, a grandi fioriture nere, coi solai abbandonati: e le chiese, più alte ancora, coll'aspetto più freddo del nudo mattone e i vani più bui delle arcature dei tetti: e, più alti ancora, i campanili, nudi e soli, che sguardano cogli occhioni abbacinati nelle nebbie…. E su tutto, sui campi infiniti e sui paeselli perduti, un umido intenso, una tristezza plumbea, una distesa persa, che non chiamiamo cielo, ma chiamiamo oblìo. E si intorbida sempre più la squallida alba del Natale. Là, in fondo in fondo si accende un lumicino, una lucciola oleosa, un occhio giallo e sonnolento, e poi là, dall'alto dall'alto, si ode uno scricchiolìo: lo strido di un ceppo scheggiato, un rantolo pesante e brontolone. Il curato si veste: e il sacrestano incomincia a pigliare la fune della campana…. * * * O colombi, che con volo obliquo e soavissimo calate innanzi alle scalee delle misteriose ville rococò a bere dolcemente nei cavi della vecchia arenaria le piogge del dicembre infecondo: o passeri, che, stormeggiando bellicosi, vi affollate sui santi cornicioni delle chiese smattonate a beccare protervamente le lolle sospintevi dai venti: o rampichini muraiuoli, che col capo in giù vi aggrappate ai sagginali che tappano le finestruzze, arruffando lo spavaldo ciuffetto, per cacciarvi in una stalla piena di marmocchi, di contadine e di fole: o reatini, reatini minimi, che nei rosai brinati dei cimiteri sbattete l'ali rapidissime, quasi cercando i nonni ai radiconi del campo e ai cataletti

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Argomenti: cinquanta passi,    velluto cremisi,    santo alcova,    palazzo ionico,    vecchio feudatario

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