La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 73

Testo di pubblico dominio

—Ebbene? chiese l'implacabile Ahmed, scrollando lo sventurato. —Che cosa vuoi che ti dica? balbettò Abd-el-Kerim, smarrito. Non so…. non capisco…. ignoro ciò che tu vuoi dire…. —Ah! fe' Ahmed con sottile ironia. Non comprendi adunque dove io miri? —No… —Te lo dirò io. Tornò a sedersi ancor più cupo e più minaccioso di prima, saettando d'uno sguardo terribile l'infelice arabo terrorizzato. Stette alcuni istanti raccolto in sè stesso, come se meditasse, poi, con voce calma, marcando ogni parola, disse: —Ti ricordi di Dhafar pascià? —Perchè tale domanda? —Ti ricordi di Hossanieh? —Hossanieh! esclamò l'arabo diventando ancor più cinereo. —Mi si disse che un giorno arrivò in quel campo… —Chi?… —Una donna! —Non è vero! urlò Abd-el-Kerim. Ahmed lo guardò in maniera strana. —Sai di che donna intendo parlare? chiese egli divorando l'arabo con gli occhi. —Io!… no!… —Perchè allora ti sei affrettato a negare che una donna comparve a
Hossanieh?
Abd-el-Kerim non rispose. Lo sventurato conobbe di essere perduto. —Te lo dirò io, allora. Fu per allontanare l'accusa che gravita sul tuo capo. —Ma quale, quale accusa? gridò il prigioniero. —Di aver amato una donna che si chiama Fathma! Abd-el-Kerim cacciò fuori un urlo d'angoscia e indietreggiò fino alla parete della capanna, coi capelli irti, gli occhi stravolti. —Perchè quel grido? chiese Ahmed, il cui volto assunse una terribile espressione di ferocia e d'odio. —Grazia, Ahmed, balbettò lo sventurato. —Ah! Tu mi chiedi grazia? Tu sei colpevole adunque? Tu hai amato quella donna adunque! Rispondi, sciagurato, rispondi! —Ebbene…. sì, ho amato quella donna! —E non tremi a dirlo? —Grazia… Ahmed! Grazia… —Ma non sapevi tu che quella donna era stata mia?…. —Sì, ma lo seppi quando l'amore era diventato così gigantesco da non essere io più capace di soffocarlo, di spegnerlo, di distruggerlo. Che colpa ho io se l'amai ed essa mi amò? Quella donna d'altronde non era più tua. —Ma non sai adunque, miserabile, che io l'amo ancora? —Tu l'ami!…, Tu l'ami!…. —Sì, l'amo quella donna bella e fatale, e l'amo a segno che per essa marcerei sull'Egitto, a segno che per essa rinnegherei la mia religione. Comprendi ora quanto Ahmed-Mohammed ama Fathma? Lo comprendi ora? —Sì…. lo comprendo! esclamò l'arabo con ira. —Abd-el-Kerim, disse Ahmed con furore, se tu fossi Ahmed-Mohammed ed io Abd-el-Kerim, cosa faresti? —Perchè tale domanda? —Fra poco lo saprai. Dimmi, cosa faresti tu? —Io mi mostrerei generoso. —Ed io mi mostrerei implacabile. Preparati a soffrire i più atroci tormenti. —Grazia, Ahmed!… supplicò lo sventurato, cadendo in ginocchio dinanzi a lui. —Ahmed non perdona. —Miserabile! urlò l'arabo saltando in piedi, fuori di sè. Il Mahdi, vedendo che il prigioniero stava per avventarglisi addosso, indietreggiò sguainando la scimitarra e gettò un acuto fischio. Yokara, il gigantesco carnefice, balzò nella stanza abbrancando a mezzo corpo l'arabo. Gli bastò un pugno solo per atterrarlo e ridurlo all'impotenza. —Lega quest'uomo al palo, disse Ahmed sdraiandosi indolentemente sull'angareb. Il carnefice sollevò l'arabo che non dava quasi più segno di vita e lo legò solidamente al palo con forti correggie di cuoio. —Fallo ritornare in sè, poi gli straccerai le carni a colpi di corbach. —Sta bene! Il miserabile si avvicinò al braciere, levò uno degli jatagan, prese i pollici dell'arabo e li serrò attorno al ferro incandescente. La carne scoppiettò a quel contatto e per l'aria si sparse un nauseante odore di bruciaticcio. Abd-el-Kerim giuzzò come fosse stato toccato da una scarica elettrica; un rantolo soffocato gli rumoreggiò in fondo alla gola. Riaprì gli occhi girandoli all'intorno. —Eccolo svegliato, ripigliò il carnefice deponendo il ferro. —Devo mettere in opera il corbach? —Non ancora, disse Ahmed. Lascialo che rinvenga del tutto. Infatti Abd-el-Kerim rinveniva. Suo primo moto fu quello di torcere i polsi tentanto di rompere i legami, poi si abbandonò addosso al palo gemendo lugubremente. Le dita calcinate al contatto del ferro rovente dovevano farlo soffrire atrocemente. —Fathma!… mormorò lo sventurato con voce semispenta. Fathma!… Ahmed digrignò i denti e la sua ira accrebbe smisuratamente a quell'invocazione disperata. —Ah! maledetto! brontolò egli. Ancora la chiami? Ma non la vedrai più, te lo giuro. Quando uscirai dalle mie mani per passare in quelle del tuo nemico, sarai un uomo rovinato per sempre. S'avvicinò alla sua vittima e toccandola in mezzo al petto: —Mi riconosci? gli chiese. —Che mi hai fatto? rantolò Abd-el-Kerim. Io soffro… soffro atrocemente… mi hanno arso le mani… —Mi riconosci? ripetè Ahmed, avvicinandosi vieppiù. —Sì, ti conosco… vendicativo uomo. —Rispondi alla interrogazioni che ti farò, se vuoi salvare la vita.
Che hai fatto di Fathma? Dove si trova?
—Lasciami in pace… —Abd-el-Kerim! gridò Ahmed gravemente. La morte ti sfiora colle sue nere ali. Rispondi: dove si trova Fathma? —Ma non capisci che io l'ho perduta, che fui separato da lei a
Hossanieh, che mi fu rapita?
—Da chi? —Da un uomo che era mio rivale. —Chi è quest'uomo? —Un soldato un'anima dannata, un… S'arrestò agitando le dita calcinate e gemendo ancor più lugubremente. Un copioso sudore irrigavagli il volto e il petto gli si sollevava affannosamente. —Dimmi, dov'è quest'uomo? gli chiese Ahmed in preda ad una esaltazione indicibile. —Non lo so… credo che sia morto… —Tu vuoi ingannarmi. Olà, carnefice, fa il tuo dovere. Yokara a quel comando impugnò un grosso staffile, un corbach di pelle d'ippopotamo, flessibile e insanguinato. Lo fece girare e fischiare attorno al capo, poi applicò un terribile colpo sul petto di Abd-el-Kerim, tracciando un segno violaceo. L'infelice gettò un urlo strozzato, un urlo di dolore e si rovesciò contro il palo. —E uno, contò Ahmed, Percuoti, percuoti, duro fino a che le carni siano lacerate. Allora vi introdurrai la morte. Il carnefice, cieco istrumento del terribile profeta, si mise a sferrare rabbiosamente l'arabo che era di già svenuto. La pelle si coprì di solchi azzurrognoli, violacei, rossi, poi si lacerò. Il sangue incominciò a scorrere abbondantemente giù per quell'inanimato corpo, formando in terra una larga pozza. —Percuoti! percuoti! ripeteva ferocemente Ahmed. E il carnefice percuoteva senza posa e senza pietà, facendo volare per l'aria goccie di sangue che macchiavano le pareti e il soffitto del tugul e staccando lembi di pelle. Ad un tratto si fermò. —Padrone, diss'egli esitando, se continuo così lo uccido. —Lo credi? chiese Ahmed ironicamente. —Te lo assicuro. È mezzo morto di già. —Questi arabi sono di ferro, tuttavia basterà così Ora, introduci nelle ferite la morte. Yokara slegò Abd-el-Kerim che non respirava quasi più tutto scorticato, tutto rosso di sangue, colla faccia spaventosamente alterata e gli occhi stravolti, schizzanti dalle orbite. Lo depose a terra, vi gettò sopra un mastello di acqua poi mandò un fischio. La tenda si alzò ed apparve uno spaventevole negro, un essere mostruoso, ributtante; orribile a vedersi. Era alto, scarno, col volto smunto, ossuto, gli occhi infossati e accesi e sul suo corpo dinanzi e di dietro vedevansi dei tumori più o meno grossi di un pugno e di una forma strana. La pelle dell'addome e del petto era screpolata, ulcerata e lasciava qua e là vedere la viva carne. Ahmed fe' un gesto di ribrezzo. —Sei pronto a subire l'operazione? chiese tranquillamente il carnefice. —Quando l'inviato di Dio me lo comanderà, mi farò tagliare in diecimila pezzi, rispose il mostro. —Distenditi a terra. Mi accontenterò di un solo verme. L'altro ubbidì. Il carnefice impugnò un coltello dalla lama sottile e ben arrotata, tastò un tumore dei più grossi e si pose a tagliarlo lentamente, a strati,

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Argomenti: ferro rovente,    mezzo corpo,    copioso sudore,    terribile colpo,    sguardo terribile

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