La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 82

Testo di pubblico dominio

un tamarindo, si coprì la faccia col mantello, e attese pazientemente che arrivasse l'ora di operare. I suoi compagni credettero bene di accocolarsi ai suoi fianchi. Il sole alzavasi allora sull'orizzonte, illuminando vivamente i minareti, sui quali strillavano i muezzin o medin, invitando i fedeli all'es-sobh o preghiera del mattino. Le piazze, le vie, le viuzze rapidamente si popolavano. Per di qua e per di là sfilavan drappelli di negri appartenenti a tutte le tribù dell'Africa centrale, chi nudi e chi vestiti con svolazzanti mantelli dalle vivaci tinte; turbe di guerrieri colle darabùke in testa che rullavano furiosamente, turbe di cammellieri che si tiravano dietro i lenti animali, raccogliendo la bava che usciva dalle bocche di essi e fregandosi la barba esclamando: «hadgi baba! hadgi baba!»[1]; ondate di allegre ragazze cariche di giarre piene di merissak, o di canestri impilati sulle loro teste mantenuti in equilibrio con quello strano talento di equilibrista che posseggono le donne africane; attruppamenti di beduini, di mercanti, di ricchi contadini montati su asinelli o su buoi e accompagnati da piccoli negri affatto nudi, che servono a loro di paggi, facendosi largo fra la folla a colpi di bastone somministrati senza riguardi di sorta. [1] O padre pellegrino! O padre pellegrino! Dalle porte della città entravano carovane di cammelli carichi di durah, di gomma, di datteri, di avorio, che si recavano nella piazza del mercato dove i venditori avevano di già rizzato le loro baracche, dove le almee davano i loro spettacoli, dove gli incantatori di serpenti e gl'indovini chiamavano i curiosi suonando certi pifferi dal suono acuto e di una forma tutta affatto speciale. E dietro a loro si affollavano cacciatori di elefanti, feroce gente ai servigi di questo o di quel mercante, che approfittano delle loro scorrerie per rubare fanciulli e donne, per saccheggiare, per abbruciare, scannando chi a loro si oppone; poi giallàba conducenti lunghe file di asini carichi di viveri, e infine bande di schiavi, ignudi, affamati, insanguinati, solidamente legati, spinti innanzi dai loro guardiani a colpi di staffile, a pugni, a calci e che venivano accumulati in orribili tuguri, veri immondezzai, veri focolari di epidemie. El-Mactud attese che il sole fosse ben alto, le vie affollate, poi si mise in cammino coi suoi tre compagni. Percorse quattro o cinque viuzze, ingombre di cammelli, di asini e di mercanti, e sbucò sulla piazza del Mercato, in un angolo della quale rizzavasi una grande baracca coperta di stuoie, guardata da una diecina di baggàra armati di lance e difesi da scudi di pelle di rinoceronte. Lì presso era aggruppata moltissima gente ad assistere al supplizio della sferza applicato ad un greco perchè sorpreso a fumare una spagnoletta. In un canto vi era un gruppo di pellegrini venuti chissà mai da qual paese dell'Africa centrale; alcuni pregavano con tale raccoglimento che nulla valeva a distrarli, colla faccia volta alla Mecca, senza fare il minimo gesto onde non correre il rischio che entrasse nel loro corpo il diavolo[1]; altri invece si purificavano ad una fonte lavandosi le mani, le braccia fino al gomito, il viso, gli orecchi, i piedi, risciaquandosi la bocca e assorbendo l'acqua per le nari. [1] Tale è la credenza dei Maomettani. El-Mactud s'aggirò per qualche po' intorno alla zeribak spingendo lo sguardo al disopra delle stuoie che formavano il recinto, poi, date alcune istruzioni a Medinek, presentossi al capo della guardia baggàra. Bastò che pronunciasse il proprio nome perchè gli venisse fatto largo. Si calò il taub in modo da nascondere gran parte della faccia e, dopo aver un po' esitato, entrò. Là, dispersi pel recinto, sotto un sole torrido che li arrostiva c'erano quaranta o cinquanta egiziani seminudi, spaventosamente sparuti, coperti di ferite non ancora cicatrizzate e di larghe macchie di sangue. Quei poveri soldati erano i prigionieri di Kasghill, appartenenti all'esercito di Hicks. El-Mactud, girato lo sguardo attorno, si diresse verso un gruppo formato da alcuni vecchi sergenti che sembravano agli estremi. —Chi di voi sa indicarmi ove nascondesi una donna? chiese egli, urtandoli colla punta del piede. —Lasciaci dormire, disse uno di quei sciagurati. —Cane di un egiziano! esclamò lo sceicco, assestandogli un potente calcio. Se non ti affretti a parlare ti taglio ambe le orecchie. —Lasciaci in pace, brutto negro, urlò l'egiziano. Lo sceicco, furibondo, aveva tratto l'jatagan e stava per scagliarsi su quel gruppo di persone inermi, quando improvvisamente si arrestò cogli occhi sbarrati, le braccia tese all'indietro, istupidito, trasognato. Da una piccola capanna era uscita una donna di bellezza superba, dalla tinta bruna, ma di un bruno caldo, alta, robusta, dalle forme tondeggianti e stupendamente sviluppate. Un piccolo tarbusch coprivale il capo, lasciando sfuggire una nerissima chioma, cosparsa di monetuccie d'oro; un giubbettino azzurro di seta chiudevale armonicamente il turgido seno, e una gonnella a frange d'oro scendevale fino alle ginocchia cariche di aurei cerchietti che graziosamente tintinnavano. El-Mactud fece sei o sette passi indietro fissando quell'ammirabile creatura. Il suo volto impallidì e i suoi occhi si sbarrarono smisuratamente. —Gran Allàh! esclamò egli. Fathma!… CAPITOLO X.—Il Mahdi e la sua favorita. El-Mactud era addirittura pietrificato, tanta era la sua sorpresa di vedere colà Fathma, l'ex favorita, quella superba donna che Ahmed aveva avuto la debolezza di lungamente piangere. Egli si stropicciò dieci, venti volte gli occhi per accertarsi che era sveglio, che non stravisava e dieci e venti volte si convinse che la donna che aveva dinanzi era proprio l'almea Fathma. I suoi occhi neri e fulgidi come diamanti, la tinta della sua pelle, i capelli fluttuanti che scendevanle sulle spalle come un vellutato mantello, le ammirabili sue braccia, la sua taglia, il suo portamento nobile e altero, tutto infine indicava che quella donna era realmente la favorita dell'inviato di Dio. —Non m'inganno, balbettò lo sceicco. Nessuna altra donna può essere così bella, nè è possibile che ve ne sia una che tanto somigli a Fathma. Ma chi l'ha condotta qui? Con quale scopo? Perchè? Lo sanno i guerrieri della zeribak che custodiscono l'ex favorita del loro Signore?… Mille fulmini! Noi abbiamo seguite le traccie di Fathma credendo di seguire quelle della fidanzata di Abd-el-Kerim. È curiosa, strana, ridicola. Non è possibile supporre che il greco si sia innamorato di Fathma. Sarebbe un delitto. E Ahmed lo sa che qui si cela la sua favorita. Dieci giorni fa la piangeva ancora come morta, dieci giorni fa la cercava ancora, interrogava i guerrieri che venivano dal Bahr-el-Abiad, giurava di vendicarsi terribilmente di questa donna che lo aveva indegnamente tradito, ed invece è qui e ancor viva. Non capisco più nulla, Lasciamo che se la sbrighino gli altri e cerchiamo di salvar Notis. Forse lui spiegherà questo mistero. To' e se Notis… Ma no, è impossibile, Notis non può aver amato Fathma; sarebbe un delitto. El-Mactud rimase ancora lì alcuni minuti cogli occhi sempre fissi su
Fathma, poi volse bruscamente lo spalle e si diresse verso l'uscita.
Stava per varcare la soglia della zeribak quando un'improvvisa idea
lo arrestò di botto.
—E se Ahmed non lo sapesse? mormorò egli. Con quella donna potrei salvare Notis. Chiamò il capo dei dieci guerrieri che prontamente accorse. —Chi ha condotto qui quella donna? gli domandò indicandogli Fathma. —Un negro, rispose il capo. —Lo conosci? —Solamente di vista. —Cosa ti disse consegnandotela? —Che vegliassi attentamente su lei e che avessi ogni riguardo. Mi disse che tale era l'ordine del Mahdi. —Ahmed venne mai a trovarla? —Mai, il negro invece più volte. —Sai chi è quella donna? —L'ignoro. —Bisogna che tu me la ceda. La condurrò da Ahmed. —Se tale è l'ordine dell'inviato da Dio, la cedo.

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Argomenti: suono acuto,    strano talento,    feroce gente,    grande baracca,    minimo gesto

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