La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 57

Testo di pubblico dominio

qui. Il reporter finse di non aver udito e raggiunse il negro. —Ah! che disgrazia!… esclamò il povero Omar colle lagrime agli occhi. Povero mio padrone!… —Pensiamo a Fathma ora, poi penseremo a lui. Omar, disse il reporter. Portiamola nella mia tenda. In pochi minuti entrarono nella tenda elevata a cinquecento passi da quella del generale. O'Donovan adagiò Fathma su di una coperta, le slacciò le vesti e l'esaminò attentamente per qualche istante. —Ebbene? chiese il negro, con voce rotta. —Non sarà nulla, Omar. È svenuta, ma fra poco si riavrà. Questa donna è troppo forte per rimanere a lungo così. Si fece dare la sua fiaschetta e spruzzò il volto della svenuta. Un sospiro non tardò ad uscire dalle labbra di lei, seguito da un singhiozzo straziante, rauco, soffocato. O'Donovan le versò in bocca alcune gocce di merissak; l'almea sbarrò spaventosamente gli occhi e si rizzò a sedere guardando all'intorno con smarrimento. —Abd-el-Kerim! Abd-el-Kerim! balbettò ella con disperato accento.
Dov'è Abd-el-Kerim? Oh! Dio!
—Coraggio Fathma, disse O'Donovan commosso. Siate forte. —Padrona non disperarti così, singhiozzò Omar. Cerca di essere forte. —Amici miei… ho il cuore spezzato… ho l'anima infranta… Abd-el-Kerim, mio adorato Abd-el-Kerim! Tutto è perduto, tutto è crollato… non v'è più speranza… Ah! sorte crudele! Un singhiozzo le soffocò la voce e scoppiò in lacrime nascondendosi la faccia fra le mani. Un eccesso di delirio spaventevole la prese quasi subito. Si strappò i capelli, si lacerò le carni colle unghie, si rotolò per terra forsennatamente. O'Donovan e Omar penarono molto a tenerla ferma e a riadagiarla sulla coperta. —Abd-el-Kerim urlava la sventurata cogli occhi stravolti, schizzanti fuori dalle orbite, Abd-el-Kerim dove sei?… lascia che ti veda, lascia che ti abbracci, lascia che ti contempli! Dove sei, vieni da me, dalla tua Fathma che tanto ti amò, vieni fra le mie braccia… Prigioniero!… M'hanno detto che tu sei caduto prigioniero!… No, non è possibile, non è vero… mi hanno ingannato… ma perchè non vieni, ah! è adunque vero, i ribelli ti hanno preso, ti hanno condotto via… Maledetto sia il Mahdi!… Si dimenò per qualche tempo urlando e ruggendo come una belva, straziandosi le labbra coi denti, stringendo freneticamente le braccia di O'Donovan e di Omar che si sforzavano di tenerla ferma, poi con un improvviso scatto si alzò a sedere colle mani tese innanzi a sè. —Ah! ripigliò ella con uno scoppio di risa convulse. Sei tu… ancora tu, che mi vieni dinanzi… sempre tu, maledetta donna, mostruosa creatura, spaventevole apparizione!… Che vuoi da me? che vuoi dalla tua vittima? Non ti basta avermelo rubato, non ti basta avermelo perduto, non ti basta di avermi dilaniato il cuore… vieni a deridermi, vieni ancora a sogghignare dinanzi alla vittima… Ti odio! ti odio… ho sete del tuo sangue! Ah! potessi fulminarla!… Gli occhi della delirante si chiusero e le mani si raggrinzarono. Poco dopo si calmò e cadde in un profondo torpore che potevasi chiamare un semi-svenimento. —Ma con chi l'ha? chiese O'Donovan. Chi è questa orribile creatura che tanto odia e che tanto la sgomenta? —Delira, rispose Omar. Non so chi sia, Potrà riaversi da questo terribile colpo? —Non sarà nulla, ti ripeto, rispose O'Donovan Quando si sveglierà starà molto meglio. —E del mio povero padrone, che ne sarà? Ah quante disgrazie. Se fosse morto? Se non lo rivedessimo più mai? —Ho paura che tutto sia finito per lui, mormorò O'Donovan con un sospiro. Sventurata ragazza! —Non c'è alcuna speranza? Nemmeno la più piccola probabilità di poterlo un giorno rivedere? —Forse, Omar. Se noi siamo tanto fortunati da rompere le orde del Mahdi e di entrare in El-Obeid, chissà si potrebbe ritrovarlo fra i prigionieri. —Voi dunque credete che sia ancor vivo. —So che parecchi ufficiali egiziani che caddero nelle mani degl'insorti, invece di essere decapitati o fucilati furono nominati capi-tribù. —È vero quello che mi raccontate? —Verissimo, amico mio. Il Mahdi ha bisogno di buoni ufficiali per istruire le sue orde che sono affatto disorganizzate. —Quanto bene mi fanno queste parole. —Non illuderti amico mio. —Non mi illudo ma spero. —Sta zitto ora. Alza un po' un lembo della tenda che qui sotto si soffoca. Omar ubbidì, ma aveva appena alzata la tela che gettava un urlo feroce. Dette indietro traballando come un ubbriaco cogli occhi stralunati. —Ah!… esclamò egli con voce strozzata. —Che hai? chiese O'Donovan, sorpreso. Chi hai veduto? Il negro non rispose. Curvo, guardava innanzi a sè col più profondo terrore scolpito in volto e colle mani convulsivamente strette sui calci delle pistole. Pareva che fosse lì lì per slanciarsi fuori della tenda. —In nome di Dio, ma chi hai visto? chiese O'Donovan che non capiva il perchè di quella viva emozione. Cosa ti è accaduto? Perchè tanto spavento? Viene forse Hicks pascià? —Silenzio, balbettò il negro. Rimanete qui, io devo uscire. —Ma perchè? dove vuoi andare? —Ho visto una persona che non credeva di vedere in questi luoghi, ecco tutto. Fra venti minuti sono di ritorno. —E tanta paura ti cagiona quella persona? —No, mi ha sorpreso. Il negro raccolse un mantello, s'avvolse da capo a piedi avendo cura di nascondersi parte della faccia e uscì in furia. La notte era di già scesa sull'immensa pianura sabbiosa. In cielo scintillavano le stelle e sull'orizzonte alzavasi l'astro delle notti serene, il quale illuminava fantasticamente quel caos di tende, di cavalli, di cammelli, d'uomini, di fucili, di cannoni, di bandiere. Per ogni dove s'accendevano i fuochi pel rancio della sera, per ogni dove s'aggruppavano Arabi, Negri, Egiziani, Turchi e Circassi a narrarsi vicendevolmente le avventure della giornata, fumando il narghiléch o il sibouk; per ogni dove s'aggiravano cavalli e muli condotti a dissetarsi ai pozzi. Dappertutto s'udiva un brusìo, un mormorìo, un chiacchierìo, un muggire, un nitrire, che venivano coperti talvolta dalle preghiere dei devoti, o dai canti e dai tamburelli degli Arabi, o da un fragoroso rullar di tamburi, o da uno squillar improvviso di trombe e non di rado da una scarica di fucili delle compagnie accampate agli avamposti che venivano assalite dai bersaglieri insorti. Omar, dopo aver girato rapidamente lo sguardo attorno e di aver esitato qualche istante si cacciò fra una doppia fila di tende, saltando via i soldati che sonnecchiavano per terra. Un minuto dopo si arrestava soffocando a gran pena un grido di furore. Davanti a lui, avvolto in un lungo taub, camminava un negro di statura colossale con un remington ad armacollo. Quantunque fosse notte e il mantello coprisse una buona parte del volto a quell'uomo, Omar lo riconobbe subito. —Takir! esclamò egli con voce sorda. Che fa qui lo schiavo di Notis? Ti trovo sul mio cammino, il Profeta l'ha voluto: tu sei un uomo morto. Un feroce sorriso, un sorriso da tigre sfiorò le labbra dello schiavo di Abd-el-Kerim. Le sue mani corsero all'impugnatura della scimitarra, la accarezzò con compiacenza e si mise dietro al nubiano, dandosi l'aria di un ufficiale in ispezione. Takir in breve tempo oltrepassò le tende e giunse agli avamposti, dove arrestossi qualche istante a scambiare alcune parole colle sentinelle. Omar lo udì chiedere notizie sulle posizioni occupate dai ribelli e se questi ronzavano attorno al campo da quel lato. Ricevuta una risposta negativa, il nubiano, passatosi il remington sotto al braccio, uscì dall'accampamento inoltrandosi in un palmeto. —Dove va? mormorò Omar. Seguiamolo. Aspettò che il nubiano fosse lontano un centocinquanta passi, poi si gettò a terra e si mise a strisciare fra i cespugli e le roccie con sveltezza straordinaria e senza produrre rumore. Giunto nel bosco si rialzò e s'avvicinò al nubiano che camminava con precauzione girando gli sguardi ora a destra ed ora a sinistra.

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Argomenti: breve tempo,    cinquecento passi,    profondo terrore,    delirio spaventevole,    improvviso scatto

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