La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 52

Testo di pubblico dominio

saremo tutti morti. —E dove dirigersi? chiese l'almea. —O al nord o al sud o verso qualunque altro punto, purchè si fugga. —Ma la pianura formicola di leoni. —Ce li lascieremo indietro. I cavalli sono spaventati e andranno più rapidi del simoum. —Ma corriamo il pericolo di venire raggiunti. —Non aver paura. I nostri cavalli galopperanno più dei leoni, te l'assicuro. Orsù, non vi è da esitare; tutti sono pronti a fuggire. Approfittiamo. Fathma gettò uno sguardo all'intorno. I leoni continuavano a saltellare nella pianura, a meno di quattrocento passi dalla zeribak e i giallàba s'affannavano a bardare i cavalli. —In sella! comandò ella risolutamente. I giallàba si slanciarono sul dorso dei cavalli che s'impennavano sferrando calci per ogni dove, nitrendo di spavento e con gli occhi in fiamma. Ognuno raccolse le briglie, strinse fortemente le ginocchia e impugnò l'jatagan e le pistole. —Attenti! gridò Fathma allentando le briglie. Via tutti. I cavalli spronati a sangue s'affollarono confusamente all'apertura della zeribak e si slanciarono con rapidità fulminea attraverso l'arida pianura. I leoni, vista la preda fuggire, si gettarono sulle loro traccie facendo salti giganteschi. —Mano alle pistole! comandò l'almea che aggrappata alla criniera dell'impaurito corsiero, cavalcava in testa a tutti. Fra cavalli e leoni s'impegnò una gara furiosa. I giallàba, curvi in sella, tempestavano di sferzate i destrieri e laceravano loro le carni cogli jatagan, procurando di mantenersi in gruppo serrato. Tratto tratto si volgevano indietro per vedere se i leoni guadagnavano via e scaricavano le pistole, ma le palle si perdevano altrove. In capo a dieci minuti i cavalli, spossati dalle precedenti corse, cominciarono a rantolare e a dare segni di stanchezza. Uno di essi intoppò in una pietra e cadde balzando d'arcione il cavaliere; tre leoni si gettarono sul disgraziato e lo fecero a brani ancora prima che si potesse alzarsi per difendersi. —Avanti! avanti! coraggio! gridò Fathma che non si smarriva d'animo. Tenetevi riuniti e spronate a sangue. Se teniamo duro i leoni ci lasceranno. Attenti agli ultimi: sferzate! sferzate! Un grido terribile, straziante seguì la sua ultima parola. Un altro cavallo cadde trascinando nella sua caduta colui che lo montava. Altri quattro s'accasciarono e altri quattro uomini furono sbranati; un quinto precipitava di sella, un momento dopo fracassandosi la testa contro un macigno. Fathma e Omar che possedevano i migliori cavalli, visto che era impossibile salvarsi, allentarono le briglie e si lasciarono indietro gli altri che, pazzi di terrore, cominciavano a sbandarsi prendendo diverse direzioni. L'almea e il negro si diressero verso alcune colline inseguiti da una dozzina di quei terribili carnivori, scaricando di quando in quando le pistole sul più vicino di essi. In lontananza s'udivano le grida disperate degli sbandati che venivano ad uno ad uno raggiunti e scoppi d'armi da fuoco. —Sprona, Omar, sprona! gridò ancora una volta l'almea tempestando il cavallo coll'impugnatura dell'jatagan. Erano giunti allora ad un trecento passi dalle colline e già credevano ormai di essere salvi, quando il cavallo di Omar rotolò a terra. Il negro si drizzò coll'jatagan in mano. —Aiuto! aiuto! gridò egli. Due leoni gli correvano sopra colle bocche spalancate, Fathma ritornò indietro alla carriera per accorrere in suo soccorso. —Aiuto! aiuto! ripetè il negro. —All'armi! gridò una voce tonante. Due drappelli di egiziani uscirono di corsa da una gola formata da due colline e scaricarono i loro fucili sui leoni che batterono rapidamente in ritirata. Fathma si precipitò di sella correndo accanto a Omar. —Gli egiziani? esclamò ella. —Allàh sia ringraziato, Fathma, disse il negro stringendole fortemente le mani. Noi siamo salvi. —E i giallàba?… —Non pensiamo più ad essi. I disgraziati sono caduti dal primo all'ultimo. Vieni, Fathma, andiamo incontro ai salvatori che non abbiamo più nulla da temere. Gli egiziani si avanzavano a passo di corsa. Un ufficiale inglese camminava alla loro testa. Appena egli giunse dinanzi all'almea portò rispettosamente la mano al berretto. —Sono felice di essere giunto in tempo di salvarvi, diss'egli gaiamente. —Grazie, comandante, disse Fathma. Senza di voi e dei vostri valorosi compagni a quest'ora sarei morta. —Lo credo bene. Da dove venite? come mai vi trovate qui? —Vengo dalle rive del Bahr-el-Abiad e cerco Hicks pascià. —Il mio generale! esclamò sorpreso l'inglese. —Sicuro. Accampa lontano? Devo recarmi subito da lui. Il campo dista una mezza dozzina di chilometri. Mi dispiace di non potervi accompagnare. —Vi accompagnerò io, miss, disse un uomo vestito di bianco, con un cappello a cupola ornato di un velo verde. —Perdio, avete ragione! esclamò l'ufficiale. Miss, permettetemi che vi presenti sir O'Donovan, corrispondente del giornale il Daily News di Londra. O'Donovan stese la mano all'almea che gliela strinse amichevolmente, sorridendo. —Miss, disse il reporter del giornale londinese inchinandosi dinanzi a lei. Sono a vostra disposizione. CAPITOLO XI.—O'Donovan O'Donovan era un uomo sui cinquant'anni, alto di statura, di membra vigorose, con un volto simpatico, alquanto abbronzato dal sole dei paesi tropicali, con barba e due occhi intelligenti e penetranti. La vita di quest'uomo, che è veramente straordinaria e romanzesca, merita qualche cenno. Nato in Irlanda, irrequieto di temperamento, coraggioso, fu dapprima feniano e si compromise nelle congiure a segno che dovette rifugiarsi in Germania per non cadere nelle mani della polizia inglese. Scoppiata la guerra franco-prussiana del 1870, corse ad arruolarsi nell'esercito della Loira e cadde gravemente ferito sul campo di battaglia. Appena guarito si mise ai servigi del giornale londinese Daily News, il cui direttore gli assegnò il dipartimento dell'Asia. Il reporter viaggiò tutta l'India, poi trovandola piccina, passò i monti e visitò l'Afganistan. Ritornò più volte in Inghilterra ma non vi rimaneva che il tempo necessario per abbracciare i suoi e per rinnovare i patti col Daily News e cogli editori che si contendevano le relazioni dei suoi viaggi. Stanco di visitare gli Afgani e i Ghirghisi, un giorno s'incamminò con qualche servo verso la Persia, ma i persiani lo presero per una spia russa e lo imprigionarono, O'Donovan dovette sudare per salvarsi dal supplizio del palo e quando i persiani si persuasero che era un giornalista, non solo lo liberarono, ma lo colmarono di favori, di cortesie, gli conferirono dignità eccezionali e gli diedero delle guide per ritornare in Europa per la via della Russia. In Inghilterra pubblicò allora il suo viaggio sotto il titolo di Viaggio a Merw che gli fruttò una sostanza, poi, vero ebreo errante, andò in Armenia con Muktar pascià per assistere alla guerra russo-turca del 1877. Ma a Batum attaccò lite con un Francese per una bella Armena; Dervisch pascià gli ordinò di andarsene, e visto che il testardo irlandese faceva il sordo, una bella notte lo fece rapire e ignudo come si trovava lo fece trasportare a viva forza, ravvolto in una coperta, su di un battello che salpava per Trebisonda. O'Donovan che si era fisso di viaggiare in Oriente, vi ritornò, fece delle esplorazioni importanti, poi, nel suo ultimo viaggio si fermò a Costantinopoli, dove lo attendeva una nuova disgrazia. Essendo in un caffè si mise a parlare come fosse a casa sua del Sultano e del governo criticandoli. La Sublime Porta lo fece arrestare e lo tenne lungamente in prigione. Non lo lasciò libero che dietro ingiunzione dell'ambasciatore inglese proibendogli però di non porre più piede in Turchia. O'Donovan, ricco assai, credette giunta l'ora di riposarsi alcuni anni, ma non fu così. I direttori del Daily News vollero ampliare il «dipartimento» del loro reporter e all'Asia aggiunsero l'Africa incaricandolo di attraversare il misterioso continente

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Argomenti: tempo necessario,    quattrocento passi,    trecento passi,    giornale londinese,    ultimo viaggio

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