La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 64

Testo di pubblico dominio

poco dopo venivano respinti, aperti, spezzati, tagliuzzati gli altri tre. Più non restava che il quadrato di Hicks pascià ma in quale stato! Non vi erano più ufficiali che si erano fatti ammazzare alla testa dei loro battaglioni; non vi erano più basci-bozuk, distrutti totalmente in due cariche tentate contro quel formidabile nemico; non vi erano più artiglieri, morti accanto ai loro pezzi smontati o scoppiati. V'erano invece enormi ammassi d'uomini, di cavalli e di cammelli orrendamente scannati, dietro ai quali tiravano ancora i superstiti anneriti dal fumo, ubbriachi di polvere colle dita abbrustolite dalle canne di remington diventate ardenti. Alle quattro e pochi minuti, Fathma che distesa a terra sparava dove appariva confusamente il nemico, vide Hicks pascià che trovavasi solo, cinquanta passi più innanzi, portare le mani al volto, vacillare, abbandonare la sciabola e precipitare da cavallo. —O'Donovan! gridò ella. Il pascià e caduto. Il reporter e Omar, che si trovavano alcuni passi indietro riparati da un cannone smontato, a quel terribile grido si slanciarono verso l'almea malgrado le palle che continuavano a fioccare. —Perdio! esclamò l'irlandese. Siamo tutti perduti. Dov'è caduto? —Là in mezzo a quel gruppo di cadaveri. —Accorriamo, amici, e non una sillaba. Se gli egiziani lo sanno siamo tutti morti. O'Donovan e i suoi compagni, scalarono intrepidamente i cumuli dei cadaveri dal disotto dei quali sfuggivano torrenti di nero sangue, e giunsero là, ove era caduto il pascià. In sulle prime, fra i vortici di fumo non iscorsero che un cavallo riccamente bardato che s'impennava nitrendo, ma poi in mezzo ai cadaveri dello Stato Maggiore, steso sul dorso, colle braccia incrociate sotto la testa scopersero l'infelice pascià. O'Donovan, coi capelli irti, tremante, pallido, inondato di freddo sudore, si curvò su di lui e l'alzò. Il pascià aveva la faccia marmorea e alterata, la barba irrigata dal sangue che eragli uscito dalla bocca e la tunica forata da due palle. —Gran Dio! balbettò il reporter. È morto. Balzò in piedi, afferrò Fathma per una mano e disse: —Fuggiamo o siamo perduti. —Ma dove? chiese l'almea pallida di terrore. —Ho visto una rupe laggiù. La scaleremo. —Ma il nemico circonda il quadrato. —Non importa, venite o sarà troppo tardi. Vieni, Omar. Il reporter, l'almea e lo schiavo attraversarono il quadrato ingombro di morti e di moribondi, di armi, di cannoni, di cavalli e di cammelli e giunsero ai piedi di una gigantesca rupe che difendeva, verso oriente, le linee egiziane. —Omar, vedi dei nemici sulla cima? chiese il reporter. —No, rispose il negro. —Hai una fune? —Sì, l'ho. —Sei capace di raggiungere quella sporgenza che scorgesi a mezza altezza della rupe? —Sarà cosa difficile, ma lo tenterò. —Sali adunque, ma fa presto. I ribelli stanno per rompere il quadrato e scannare tutti i soldati. Il negro si liberò dalla casacca, dei calzoni e del turbante, si arrotolò attorno alle reni la fune e cominciò la pericolosa scalata mentre la mitraglia continuava a grandinare e i mahdisti macellavano le schiere egiziane che ancora resistevano ai loro furiosi assalti. Aggrappandosi agli arrampicanti, appoggiandosi ai cespugli, cacciando le dita nei crepacci della rupe cominciò a elevarsi malgrado la pioggia che lo acciecava e le palle che fischiavano ai suoi orecchi. Ogni qual tratto una scheggia staccavasi dalla rupe e rotolava al basso facendo guizzare Fathma e il reporter che seguivano con viva trepidazione e col cuore sospeso l'ardita manovra del negro. Qualche volta era invece un ramo che spezzavasi e si vedeva Omar dondolarsi sopra l'abisso, sospeso ad un ramoscello o ad una semplice radice. Dopo cinque minuti di sforzi incredibili, lo schiavo riuscì a raggiungere la prima piattaforma che trovavasi a mezza altezza della rupe. Legò la fune ad un grosso macigno e gettò l'altro capo ai compagni che se ne impadronirono vivamente. —A voi Fathma, disse il reporter, dominando colla sua voce il rombo dei cannoni, lo scrosciare delle folgori, le urla dei ribelli e le grida strazianti dei moribondi. Presto, presto o sarà troppo tardi. Fathma non se lo fece dire due volte. Afferrò la fune e si issò nell'aria raggiungendo Omar. —O'Donovan! gridò poi. La sua voce fu coperta da urla terribili. I ribelli avevano sfondato il quadrato e macellavano spietatamente gli egiziani che si erano addossati ai cavalli ed ai cammelli. —O'Donovan! ripetè Fathma. Il reporter s'avvinghiò alla fune e si issò malgrado le palle che grandinavano fitte fitte. Era giunto a mezza altezza quando fu colpito alla testa da una scheggia di mitraglia. Mandò un grido disperato. —Sono morto! Fu visto arrestarsi e cercare un appoggio nei crepacci della rupe, ma una nuova scheggia lo colpì al petto. Aprì le mani e precipitò roteando nell'abisso spaccandosi il cranio sulle roccie sottostanti. Fathma e Omar, agghiacciati dal terrore, si curvarono sull'orlo della rupe cercando di scorgere lo sventurato reporter del Daily-News, ma invano. —O'Donovan! O'Donovan! gridò Fathma con disperato accento. La sua voce si perdè fra gli urli feroci dei mahdisti. —Scendiamo! gridò ella. S'aggrapparono agli arbusti per discendere, ma il tempo mancò. Dall'alto della rupe venivano giù precipitosamente dei nudi guerrieri agitando le loro lancie e le loro scimitarre. —Siamo perduti! gridò Omar. —Indietro cani! urlò Fathma, strappandosi dalla cintura l'jatagan. Gl'insorti anzichè arrestarsi s'avventarono a testa bassa contro l'almea e il suo schiavo, li circondarono, li disarmarono e li curvarono sull'abisso. Già stavano per precipitarli nel vuoto, quando una voce tonante, imperiosa, urlò: —Fermi tutti! Chi li tocca è uomo morto! Un guerriero riccamente vestito discendeva dall'alto della rupe con rapidità vertiginosa. Giunto sulla piattaforma egli si precipitò ai piedi di Fathma. —Ah! mia povera padrona! esclamò egli baciandole le mani. Fathma e Omar lo riconobbero subito. —Abù-el-Nèmr! gridarono con gioia. —Sì, amici miei, disse lo scièk. L'Abù-el-Nèmr che voi salvaste dalla morte quando il leone lo ferì nelle foreste del Bahr-el-Abiad e che ora viene a pagare il sacro debito. Amici, voi siete salvi e sotto la mia possente protezione! Nel medesimo istante che il generoso scièk pronunciava quelle parole, l'ultimo egiziano dell'infelice Hicks pascià cadeva morto sotto le lancie dei terribili guerrieri di Ahmed Mohammed profeta del Sudan[1]. [1] L'illustre missionario D. Luigi Bonomi, che quando accadde la battaglia si trovava a breve distanza da Kasghill, mi assicurò che il Mahdi perdette solamente 4 o 500 uomini. E.S. FINE DELLA PARTE SECONDA. PARTE TERZA Il Mahdi CAPITOLO I.—I prigionieri. La mattina del 15 maggio 1883, una straordinaria agitazione regnava fra le innumerevoli orde dal Mahdi Mohammed Ahmed, accampate in una immensa e sabbiosa pianura, a corta distanza da El-Obeid la capitale del Kordofan. Dal tugul, dalle tende, dalle zeribak, dalle tettoie e dalle hose[1] uscivano, vociferando a tutta gola, guerrieri vestiti con stoffe variopinte o semi-nudi, o nudi affatto, slanciandosi all'impazzata fra i cannoni, fra i fucili stretti in fasci, fra i cammelli e i cavalli che ingombravano il campo. [1] Cortili chiusi fra capanna e capanna. Ora passavan turbe di Baggàra Salem, guerrieri d'alta statura, di forme massiccie, dalle fisonomie feroci, coi cappelli intrecciati e ornati di pezzetti di ambra e di conterie di Venezia; ora di Baggàra Hamran montati su buoi e coi corpi spalmati di grasso di cammello e riparati dietro grandi scudi convessi e coperti di pelle d'antilope; ora di Abù-Rof, bella gente dalla tinta bronzina, lineamenti fieri, il petto racchiuso da scintillanti cotte di acciaio e il capo difeso da un elmetto nasale; ora di guerrieri del Beni-Gerar, terribili predoni propri del Darfur, colle membra cariche di anella d'avorio o di rame; poi attruppamenti di beduini

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Argomenti: cinquanta passi,    terribile grido,    medesimo istante,    breve distanza,    grosso macigno

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