La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 48

Testo di pubblico dominio

turbante ricamato d'argento sul capo e una farda rossa avvolta intorno al corpo. Gemeva lugubremente e colle mani stringevasi fortemente la gamba destra scarnata fino all'osso. Un torrente di sangue nero e spumoso sfuggiva a rapide pulsazioni dall'enorme ferita. Appena egli scorse Fathma e Omar si rovesciò all'indietro raccogliendo un pistolone che puntò rapidamente verso di essi. —B'Allai! (perdio!) bestemmiò egli facendo fuoco. La palla andò a forare il fez di Omar, un pollice appena sopra la testa. Fathma puntò il fucile verso il ferito. —Se ti muovi ti ammazzo come un cane! diss'ella con un tono di voce da non mettere in dubbio la minaccia. A quella voce il volto del ferito s'alterò. S'alzò bruscamente a sedere fissando l'almea con due occhi che fiammeggiavano. —Fathma! esclamò egli con profondo terrore. Il fucile sfuggì di mano all'almea. —Fathma! mormorò ella sorpresa. —Fathma! ripetè Omar, che cadeva dalle nuvole. Cosa vuol dir ciò?… L'almea e il ferito si guardarono per alcuni istanti fissamente senza dir parola. La prima era sorpresa di udirsi chiamare per nome da quell'uomo che non aveva mai veduto; il secondo invece pareva sorpreso di non essere riconosciuto da quella donna che aveva veduta più di cento volte. —Chi sei? chiese alfine Fathma. Come sai il mio nome? Un sorriso apparve sulle labbra del ferito. —Non mi conosci? —Non mi ricordo d'averti veduto. —Non sei tu Fathma l'almea? —Non lo nego. —Non sei stata tu a El-Obeid? —Sì, disse sordamente l'almea. Vi fui. —Non sei stata un tempo una donna potente? continuò il ferito che pareva avesse dimenticata completamente la sua gamba scarnata. Il volto dell'almea s'alterò spaventosamente, burrascosamente. La sua fronte si aggrottò e i suoi occhi parvero incendiarsi. —Lo fui, diss'ella dopo qualche istante di silenzio. —Allora non m'inganno più. Tu fosti la favorita di Mohammed-Ahmed. —Come tu sai questo? Chi te lo disse? —Lo so perchè ti vidi cento e più volte quando io era guardiano dell'harem di Mohammed-Ahmed. L'almea gettò un grido di spavento e di sorpresa e retrocesse vivamente. —Chi sei?… Chi sei?… chiese ella tremando. —Sono lo scièk Abù-el-Nèmr luogotenente del Mahdi, comandante gli insorti del Bahr-el-Abiad. Omar aveva rapidamente puntato il fucile verso di lui. —Ah! cane d'un ribelle! esclamò il negro. L'almea con un brusco gesto abbassò l'arma, poi traendo una pistola e posando la fredda canna sulla fronte del ferito gli disse con calma glaciale: —Abù-el-Nèmr, tu sei in nostra mano. Se tu giuri di farci uscire sani e salvi da questa foresta io ti guarisco, se tu invece rifiuti ti faccio saltare le cervella. Scegli! —Perchè vuoi che io alzi la mano su chi fu un tempo la mia signora? disse dolcemente il ferito. Avrei paura che Allàh mi fulminasse. Comanda e io farò per l'antica favorita del Mahdi, tutto quello che ella vorrà. —Grazie Abù-el-Nèmr, mormorò Fathma con voce commossa. Non credeva d'avere ancora degli amici fra i ribelli. Distendi la tua gamba ferita; io ti guarirò. Lo scièk ubbidì. L'almea esaminò accuratamente la ferita che continuava a sanguinare. Era orribile: il leone con un potente colpo d'artiglio aveva lacerato la carne fino all'osso della coscia. Comprese subito che un ritardo di pochi minuti poteva riuscire funesto. —Vammi a prender dell'argilla in quel fossatello, diss'ella a Omar, e raccogli un po' d'acqua fresca. Il negro partì come un lampo e ritornò poco dopo con una grossa palla d'argilla grigiastra e morbida e una fiasca d'acqua. Fathma ravvicinò delicatamente le labbra della ferita, vi sovrappose un pezzo di tela bagnata, e coprì il tutto con un grosso strato di creta che impediva al sangue di trasudare. Tre o quattro foglie e alcune braccia di corda terminarono l'operazione. La gamba del ferito si trovò chiusa in una specie di manicotto ben legato. Ora, diss'ella, bisogna lasciare il più presto possibile questa foresta e raggiungere qualche luogo abitato. Dove possiamo trovar gente? —L'ignoro, rispose il ferito con voce debole, tergendo il sudore che colavagli abbondante dalla fronte. Ho lasciato da due giorni il campo e mi sono smarrito in questa foresta. —Quale distanza corre dal fiume a Sciula? —Meno di una giornata di cammino. Se tu mi conduci là troverò i miei guerrieri. —Ma… e noi? —Oh! non temere! esclamò vivamente lo scièk. Io sono il loro capo e sventura a colui che ardirà alzare una mano sopra di voi. —Sta bene, ma come ti trasporteremo? Bisognerà costruire una barella. —Ho il mio cavallo che deve pascolare nei dintorni, se non fu divorato da qualche leone. —Chiamalo. Non bisogna perdere tempo; la febbre e forse il delirio fra poche ore ti assaliranno. Abù-el-Nèmr accostò le mani alla bocca e mandò un lungo fischio. Quasi subito si udì un calpestìo precipitato e un cavallo comparve movendo sollecitamente verso il padrone. Era questo un superbo corsiero, Abù-Ròf puro sangue, piuttosto piccolo, dalla fronte larga e un po' schiacciata, l'occhio vivo e intelligente, le nari molto aperte, orecchie piccole, corte, sottili, le ossa zigomatiche molto sporgenti, muso elegante, gambe secche e vigorose, petto sviluppatissimo e ventre assai ristretto che annunciava quella grande sobrietà che è propria degli animali dei deserti sudanesi. Omar e Fathma sollevarono con molte precauzioni il ferito che non lagnavasi malgrado soffrisse atroci dolori e lo misero in sella. L'almea vi salì dietro sostenendolo fra le vigorose braccia e il negro prese l'animale per le briglie. —Avanti, disse Fathma. Essi si misero in viaggio percorrendo un largo sentiero che un tempo doveva essere stato una via per le carovane. Il ferito si lasciò sfuggire suo malgrado un gemito soffocato. —Soffri molto? gli chiese l'almea. —Un po' lo confesso, rispose titubando lo scièk. Il moto del cavallo mi fa orribilmente male. —Appoggiati bene sul mio petto. —Ah! esclamò il ferito. Quanto sei buona Fathma eppure sono un ribelle. —Questo ribelle un tempo fu mio suddito, disse con voce commossa l'almea. Il ferito si volse verso di lei e la guardò con tenerezza. —Fathma, perchè hai abbandonato il mio signore che tanto ti amava e che ti avrebbe resa tanto potente? —Non chiedermelo se non lo sai, disse con aria tetra l'almea. —Fu la fatalità forse? —Forse. —Sai che quel giorno che tu sparisti io l'ho veduto piangere il mio
Signore?
La faccia dell'almea diventò ancor più cupa. —Che fece egli quando io scomparii? chiese ella. —Ti cercò per una settimana intera mandando guerrieri in tutte le borgate del Kordofan. Ti amava alla follia, e quando ritornarono senza che sapessero dire ciò che era accaduto di te lo vidi piangere come un bambino, lui, Mohamed Ahmed, l'inviato di Dio! —Povero Ahmed, mormorò Fathma con un rauco sospiro. Fu il destino che mi spinse ad abbandonarlo. —Ma che ti aveva fatto? —Nulla. —E allora? —Non parliamo di ciò. Dimmi, mi si crede morta? —No, Ahmed ha saputo che tu sei viva. L'almea trasalì —Chi glielo disse? —L'ignoro, ma bada a me, Fathma, non farti più mai vedere in
El-Obeid. L'amore di Mohamed Ahmed si è cangiato in terribile odio.
—Mi guarderò da lui; d'altronde sarà difficile che mi si veda nella capitale del Kordofan. —Dove vai adunque che scendi al sud? —A unirmi all'armata egiziana. —Tu!… tu cogli egiziani!… esclamò lo scièk con dolorosa sorpresa. Vedremo adunque noi la favorita del nostro signore, militare nelle file nemiche e volger il ferro contro i suoi antichi sudditi? —No, non volgerò mai le mie armi contro gl'insorti, a meno che non mi costringano loro. Appena avrò raggiunto l'uomo che cerco e che avrò compiuta una vendetta che da due mesi aspetto, ritornerò per sempre al nord. —Ah! tu hai delle vendette da compiere? —Sono araba. —Ma sai almeno dove puoi trovare Hicks pascià? —No, ma lo troverò dovessi percorrere cento volte il

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Argomenti: largo sentiero,    resa tanto,    sangue nero,    brusco gesto,    potente colpo

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