La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 26

Testo di pubblico dominio

speranza, la paura di lasciar sola Fathma nelle mani della vendicativa greca o che altro, sempre s'arrestò. Quando le forze gli vennero meno, lo sciagurato si trascinò in un angolo e si rannicchiò su sè stesso, piangendo e ruggendo ad un tempo, coll'anima schiantata da paure e da angoscie inenarrabili. Egli fu strappato da quell'abbattimento sei o sette ore dopo, da un vago chiarore che penetrava sotto la fessura della porta ed un avvicinarsi di passi che l'eco della spelonca ripercuoteva distintamente. Una subitanea idea balenò nel suo cervello quantunque scosso da tante sofferenze fisiche e morali, una idea ardita, quasi impossibile, l'idea di tentare la fuga colla speranza di salvare Fathma prima che cadesse nelle mani della sua spietata rivale. Era allora ritornato completamente in sè e le forze, poche ore prima esauste dal delirio, gli erano se non del tutto, almeno in parte tornate. La sete della libertà, in quel momento decisivo gliele raddoppiò, più ancora, gliele triplicò. Con un salto andò ad appostarsi dietro alla porta, colle mani tese innanzi pronto a piombare sull'individuo che scendeva e torcergli il collo prima che potesse gettare un grido e difendersi. I passi che rapidamente s'avvicinavano, si arrestarono dinanzi alla porta; fu tirato il chiavistello e un beduino apparve con una torcia nella dritta e un paniere di logna (grano triturato sulla moràka e ridotto in pasta) nella sinistra. Era appena entrato che Abd-el-Kerim gli saltava addosso stringendolo alla gola con tal forza da strozzargli la voce e farlo cadere sulle ginocchia. Con un pugno su di una tempia lo gettò a terra mezzo morto. —Zitto, miserabile! disse l'arabo fremente. —Grazia, balbettò il beduino. Abd-el-Kerim gli strappò l'jatagan dalla cintura e prima che l'altro potesse parare il colpo glielo cacciò attraverso il ventre. Con una seconda sciabolata lo irrigidì. —E uno, mormorò l'arabo freddamente. Se Allàh e il Profeta m'aiutano,
Fathma è salva!
Tolse al morto le pistole e le munizioni, inghiottì in furia alcuni bocconi di logna per calmare la fame e si cacciò risolutamente nel corridoio coll'jatagan in mano. Faceva oscuro assai, essendosi la torcia del beduino spenta, di più, la via era ingombra di rottami che rendevano malagevole il cammino, ma Abd-el-Kerim non si smarriva. Tastando le pareti, cadendo e rialzandosi, facendo il meno rumore che fosse possibile, giunse in brev'ora a una ventina di passi dall'uscita. S'arrestò vedendo un beduino fermo dinanzi, il quale, scorgendolo gridò: —Olà! spicciati Sceiquek che non abbiamo tempo da perdere. L'arabo non sapendo cosa rispondere e temendo che riconoscesse la sua voce, credette bene di tacere e di tirarsi lestamente indietro. Il beduino fece due o tre passi nel corridoio. —Chi è là? chiese egli. Sei tu Sceiquek? Non ricevendo ancora risposta s'avanzò coll'hàrba in resta, Abd-el-Kerim si diede alla fuga e si nascose in una incavatura della parete coll'jatagan alzato. —Per la barba del Profeta rispondi, gridò per la terza volta il beduino. Non fare scherzi, maledetto Sceiquek. Abd-el-Kerim emise un gemito lugubre. Il beduino si fermò indeciso e forse spaventato, poi si fece animo e tirò avanti colla lancia sempre innanzi a sè. Egli passò rasente al muro opposto a quello dove trovavasi l'arabo e continuò a camminare chiedendo di quando in quando: —Rispondi, Sceiquek, maledetto dal Profeta. Dove ti sei cacciato tu? Abd-el-Kerim aspettò che si fosse allontanato, poi saltò fuori e si precipitò verso l'uscita del corridoio, ma non ebbe il tempo necessario per condurre a buon fine l'audace progetto. Dieci o dodici beduini sbarravano l'apertura e l'accolsero con urla minacciose dirigendo verso di lui le lance e gli jatagan. Per un momento il fuggiasco ebbe l'idea d'avventarsi furiosamente contro di loro e d'aprirsi il passo colla forza, ma male armato e mal fermo com'era, non lo ardì e retrocesse di corsa. A mezza via si incontrò col beduino che era poco prima entrato, il quale gli si faceva addosso a testa bassa. —Arrenditi, cane d'un arabo! gli urlò l'assalitore. Abd-el-Kerim evitò un colpo di lancia tiratogli proprio in mezzo al petto, spezzò col rovescio dell'jatagan l'arma e s'internò nel corridoio scaricando una delle sue pistole. S'arrestò vicino alla porta prendendo l'altra pistola, risoluto di difendersi sino all'estremo prima di farsi ammazzare e guardò se il nemico s'avanzava. Non distinse nulla ma udì le grida minacciose dei beduini e i loro passi. Un freddo sudore gli colò sulla fronte e un tremito di spavento e d'angoscia lo prese. —Sono perduto, mormorò egli. Le voci andavano avvicinandosi lentamente e a quelle univasi un cozzar di daghe. Si rannicchiò dietro a un macigno e caricò rapidamente la pistola che aveva scaricata. —Piano, piano, gridò una voce, che riconobbe per quella dello sceicco Debbeud. Dove è andato a finire, innanzi a tutto, quel povero diavolo di Sceiquek? —Se quel cane d'arabo era nel corridoio l'avrà ammazzato, rispose un'altra voce. —Ma come? egli non possedeva alcuna arma che io sappia, ed era mezzo morto di fame. Hai veduto nulla tu Mussa? —Non potei arrivare alla porta, ma nell'uomo che fuggiva riconobbi perfettamente il prigioniero ed era armato di un jatagan che mi tagliò l'hàrba. —Olà! gridò una vociaccia imperiosa, tirate innanzi, ira di Dio!
L'arabo, vivo o morto, ma possibilmente vivo, bisogna pigliarlo.
Quella voce fece scattare in piedi Abd-el-Kerim. —Sogno! esclamò egli con profondo terrore. Gran Dio!… Si sporse innanzi, rattenendo il respiro, colla faccia livida, tutto in sudore, i pugni chiusi convulsivamente attorno alle armi. —Ira di Dio! gridò la medesima voce. Avanti tutti! Abd-el-Kerim gettò un grido strozzato e retrocedette suo malgrado. —Notis! Notis! ripetè egli. Non l'ho dunque ucciso io?… Ah! mostro! Varcò la porta e andò a tasteggiare il suolo fino a che trovò il cadavere del beduino. L'alzò, se lo gettò in ispalla, se lo fece scivolare sul petto in maniera che gli servisse in certo qual modo di scudo, e si spinse innanzi, cieco di collera e assetato di vendetta. —Avanti, Notis! gridò egli con terribile accento. Io t'ho scoperto! —Ira di Dio! urlò il greco. È lui! Da una parte e dall'altra s'udì un rumore delle pistole che si montavano, poi la voce tonante di Fit Debbeud urlare: —Tutti avanti! Abd-el-Kerim s'appoggiò al muro indeciso, non sapendo se arrischiare la vita per una quasi impossibile vendetta o d'asserragliarsi nel sotterraneo e aspettare gli eventi. Stava per ritirarsi quando vide le torcie dei beduini. Tese la dritta armata di pistola, mirò un secondo e fece fuoco. La detonazione fu seguita da un urlo straziante e uno dei beduini capitombolò al suolo cadendo sulla torcia che portava. —Aiuto! rantolò il poveretto, dibattendosi e cercando di alzarsi. Abd-el-Kerim con una seconda pistolettata lo fece ricadere al suolo. Tutti gli altri batterono rapidamente in ritirata scaricando le loro armi, che a causa dell'oscurità, non riuscirono a far male alcuno all'arabo. —Ira di Dio! tuonò Notis. Arrenditi Abd-el-Kerim! —Ah! se ti potessi cogliere, maledetto morto risuscitato, gridò l'arabo. Fatti avanti che ti veda in faccia se sei un fantasma od un uomo! Per risposta s'ebbe due colpi di pistola e un proiettile andò a colpire il cadavere che teneva in ispalla. Al chiarore della polvere accesa, egli scorse in quel momento, di fronte a lui, presso la volta della galleria, un gran crepaccio che pareva s'internasse assai nella parete. A mala pena rattenne un grido di gioia che stava per uscirgli dalle labbra. —Ah! mormorò egli. Retrocesse d'alcuni passi e gettò a terra il cadavere, poi, senza por tempo di mezzo, messesi le armi alla cintura, si raccolse su sè stesso, spiccò un gran salto e introdusse le mani nell'orlo di quel foro. Issarsi a forza di braccia e guadagnarlo, fu per lui l'affare di un sol momento. Si trovò in

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Argomenti: povero diavolo,    tre passi,    tempo necessario,    sette ore,    freddo sudore

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