La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 81

Testo di pubblico dominio

balbettò. —Devo parlare? —Sì… lo voglio. Omar esitò. Pareva che fosse commosso, e chissà, forse lo era veramente. —Ma parla, ma parla, ripetè con impeto quasi feroce Notis. —Ebbene, Elenka è morta. Fu uccisa dai ribelli a Kassegh! Il greco divenne spaventosamente pallido; un urlo gli lacerò il petto. —Morta! Morta!… ripetè egli con voce rotta, e quell'uomo dall'animo così fiero, così forte, nascose il volto fra le mani e pianse come un fanciullo. CAPITOLO IX.—La zeribak dei prigionieri. Mentre il greco, messo colle spalle al muro e torturato, confessava tutto ciò che i suoi nemici volevano sapere, Medinek, sfuggito miracolosamente alla pistolettata dello scièk Abù-el-Nèmr, trottava come un cavallo per le oscure e fangose vie della città, cercando la capanna dello scièk El-Mactud. La paura di venir inseguito, preso e forse fucilato, e la paura di giungere troppo tardi dal suo capo gli mettevano le ali ai piedi. Ogni qual tratto però si arrestava colla dritta sull'impugnatura dell'jatagan, e rattenendo il respiro tendeva ansiosamente l'orecchio, parendogli sempre di udire fra gli urli della burrasca che scatenavasi ognor più violentemente, la voce dello scièk Abù-el-Nèmr e i passi di lui, indi ripigliava la sfrenata corsa, tuffandosi fino alle ginocchia nelle pozze d'acqua e sollevando sprazzi fangosi. Per sua disgrazia faceva tanto oscuro che non gli riusciva di mantenersi sulla retta via. Ora infilava una stradicciuola che non aveva sbocco, ora andava a dare il naso contro una zeribak o contro il recinto d'un giardino e ora batteva vie che non aveva mai percorse. Non fu che dopo una buona ora di continua corsa che giunse nella gran piazza del Mercato, tutta cinta di capanne e di capannuccie e di piccoli recinti destinati a ricevere i cammelli delle carovane. Al livido chiaror di un lampo scorse il tugul che cercava, dalle cui fessure trapelavano dei raggi di luce. In pochi salti lo raggiunse, applicando, alla porta semi-sgangherata, un formidabile pugno. —Chi va là? chiese una voce, appena distinta fra i ruggiti della tempesta. —Aprite! urlò. Sono Medinek. La porta si spalancò e apparve sulla soglia lo scièk El-Mactud con una scimitarra in pugno. Scorgendo Medinek egli indietreggiò mandando un grido di sorpresa e di terrore. Aveva indovinato subito che qualche cosa di grave era accaduto. —Che hai?… perchè sei qui solo? Che è accaduto? chiese egli tutto d'un fiato, trascinandolo accanto al fuoco che ardeva in un angolo del tugul. —Una disgrazia, El-Mactud. Notis è caduto nelle mani di Abù-el-Nèmr! Lo scièk tirò un tremendo pugno contro la parete della capanna. —Tu vuoi burlarti di me! esclamò egli con collera. È impossibile, non lo posso credere. Come! lui, un uomo come lui, forte e coraggioso come un leone, astuto come un serpente, cadere prigioniero! Tu sei pazzo! Tu vuoi spaventarmi. —Ti giuro sull'Alcorano, scièk, che ho detto la verità. La collera di El-Mactud cangiossi in profonda costernazione. Il suo volto divenne cenerognolo e la sua fronte si corrugò. —Tu giuri, mormorò egli con voce tremante. Ma come si lasciò prendere? Di' su, narra, che sono sui carboni ardenti. B'Allai! Sono tutto scombussolato! Medinek non si fece pregare. Egli gli raccontò per filo e per segno ogni cosa. La conversazione tenuta fra Abù-el-Nèmr ed il suo compagno, il luogo ove essi avevano nascosta la donna tanto cercata da Notis e infine la presa di quest'ultimo. —Ma allora è perduto! esclamò lo scièk quando ebbe tutto udito. —Lo credo anch'io. —Che hanno fatto del mio povero amico? —L'ignoro. Ho avuto paura e sono fuggito —La faccenda è seria, e grave. —Lo so bene. Che facciamo? Fra pochi minuti lo scièk sarà qui, ne sono sicuro. Egli avrà tormentato il greco per fargli confessare dove ha nascosto Abd-el-Kerim. —Certamente. —Se si resistesse colle armi? —Sarebbe una pazzia. Basta che Abù alzi la voce perchè tutta la guarnigione di El-Obeid accorra a prestargli man forte. Una sua parola sarà sufficiente perchè io lasci la testa in mano al carnefice. —E dunque? Bisogna prendere una seria decisione. El-Mactud non rispose. Immobile, curvo, colla fronte stretta fra le mani, pareva annichilito dallo sforzo eccessivo del pensiero. Ad un tratto si raddrizzò. Nei suoi sguardi lampeggiava allora l'imperturbabile audacia di un generale che si risolve ad un cambiamento di fronte sotto la grandine del fuoco nemico. —Partiamo, diss'egli risolutamente. —Dove si va? —Intanto andremo al baobab a nascondervi Abd-el-Kerim, dopo ci recheremo alla zeribak a rapire la donna. Al greco penseremo più tardi, poichè ora è assolutamente impossibile il salvarlo. Andiamo! Essi passarono nella stanza attigua. Colà, disteso su di un angareb, stava Abd-el-Kerim, ancora in preda al potente narcotico fattogli bere da Notis. Quattro guerrieri armati fino ai denti vegliavano presso di lui. Ad un cenno di El-Mactud essi alzarono l'angareb con suvvi l'arabo ed uscirono silenziosamente dalla capanna. Medinek si mise dinanzi colla scimitarra sguainata e lo sceicco di dietro col remington sotto il braccio. All'oriente cominciava ad apparire, fra le tempestose nubi, un po' di chiaro. La pioggia andava a poco a poco decrescendo, ma il vento continuava a soffiare con estrema violenza, ingolfandosi con mille gemiti attraverso le fessure dei tugul e contorcendo i rami degli alberi e le grandi foglie delle palme e dei banani. Le vie erano ancora deserte, ma non dovevano tardare a popolarsi. Già alle strette finestre delle capanne cominciava apparire qualche volto color dell'ebano, interrogando, con occhi ancora assonnati, lo stato del cielo. La comitiva aveva già attraversata la piazza e stava per cacciarsi in una oscura e puzzolente viuzza, quando agli orecchi dello sceicco pervenne un lontano rumore che lo fece trasalire. Era un brusìo di voci, un calpestìo precipitato, al quale univasi talvolta un tintinnar di scimitarre che battevano la via. —Alto! comandò egli imbracciando il remington. —Che succede? chiese ansiosamente Medinek. —Siamo inseguiti. Un istante dopo sbucava nella piazza un drappello di guerrieri armati di moschettoni e di lancie. Alla sua testa trottava lo sceicco Abù-el-Nèmr colla scimitarra nella dritta e una pistola nella sinistra. Tre colpi di fuoco echeggiarono. Un guerriero di El-Mactud gettò un acutissimo grido e precipitò a terra colla testa attraversata da una palla. L'angareb cadde rovesciando Abd-el-Kerim in mezzo al fango della viuzza. —Fuggite! fuggite! gridò El-Mactud, dandone lo esempio. Altre tre fucilate rintronarono seguite da un secondo urlo di dolore. Un altro guerriero cadde fulminato. Gli altri, vista la mala parata, si slanciarono dietro El-Mactud che trottava furiosamente. Abù-el-Nèmr e i suoi guerrieri non si diedero la cura d'inseguirli, e si fermarono presso Abd-el-Kerim; i fuggiaschi invece proseguirono la vertiginosa loro fuga, battendo l'una dietro l'altra sei o sette strade. Non si arrestarono che sotto le mura della città. El-Mactud, fuori di sè, aveva la spuma alle labbra. Egli sfogava la sua ira con torrenti d'ingiurie all'indirizzo di Abù-el-Nèmr e con una interminabile sfilza di bestemmie, senza pensare che se il Mahdi avesse udito o saputo, non avrebbe esitato un sol momento a fargli saltare la testa con un colpo di scimitarra. Calmatosi un momento, si diede seriamente a pensare sul da farsi. Egli si trovava in un grande imbarazzo. Perduto Abd-el-Kerim, preso Notis, non rimaneva che battersela al campo e lasciare che le acque corressero pel loro verso. La smania però di vendicarsi dello scacco subìto, gli suggerì una eccellente idea. —Vi è la donna, pensò egli. Questa donna deve interessare vivamente Abù-el-Nèmr e Abd-el-Kerim. Colpiamoli ambedue in mezzo al cuore facendola sparire. Saprò ben io dopo trovare i mezzi per salvare Notis e riavere l'arabo. Questo ardito piano calmò la sua ira. Si sdraiò sotto ad

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