La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 77

Testo di pubblico dominio

sveglierò. El-Mactud fece un gesto di stupore. —Oh! esclamò. —Bisogna che io gli parli. —C'è qualche cosa in aria? —Altro che! vogliono portarmi via l'arabo. —Chi?…. Ahmed forse? —No, s'affrettò a dire il beduino che non si fidava di quel guerriero ancora devoto al Profeta. È un sceicco che tu devi conoscere. —E si chiama? —Abù-el-Nèmr. Lo sceicco digrignò i denti come una iena. —Ah! maledetto nubiano! esclamò egli con rabbia. Vorrebbe forse immischiarsi nelle nostre faccende? Che non ci si provi nemmeno. Ho dei conti da saldare e potrei saldarli con un buon colpo di scimitarra. Sulle labbra del beduino spuntò un sorriso diabolico; non potè frenare un moto di contentezza. Guardò attentamente lo scièk e nei suoi occhi lesse l'espressione di un terribile odio. —Che ti ha fatto quell'uomo? chiese egli. —Te lo dirò un'altra volta. Basta che tu sappi che io lo esecro. —È potente Abù-el-Nemr? —Molto potente, amico mio. Se egli ci scopre Abd-el-Kerim è perduto. —Faremo il possibile perchè non ci scopra. —Ma che cosa vuol fare di Abd-el-Kerim quel cane di Abù? —L'ignoro, ma temo che lì sotto ci sia un mistero —Che intendi di fare? —Di battermela a El-Obeid. —E porteremo con noi l'arabo? —S'intende. —Quando partiremo? —Appena avrò veduto l'arabo e gli avrò parlato ci metteremo in cammino. —Allora spicciamoci. Domani mattina Abu-el-Nèmr si metterà in caccia; bisogna trovarsi al sicuro in città prima che spunti l'alba. —Vado subito. Intanto preparerai una barella e chiamerai qualche altro uomo perchè ci aiuti a trasportare l'arabo. —Siamo d'accordo, concluse El-Mactud. Il beduino s'avvicinò al colossale tronco del baobab ai piedi del quale, sulla corteccia, scorgevasi quattro profonde incisioni che venivano a formare un quadrato. Con un pugno sfondò quella corteccia incisa e dinanzi a lui apparve un'apertura che metteva in un antro scavato nell'interno dell'albero. Stette alcuni istanti in ascolto, poi s'inoltrò sulla punta dei piedi e arrestossi in mezzo a quella bizzarra caverna. Era buio perfetto e faceva un freddo da intirizzire le membra. Un silenzio lugubre, misterioso, regnava là entro, rotto di quando in quando da un respiro affannoso e da un brulichio che doveva indubbiamente provenire da migliaia e migliaia d'insetti che s'aggiravano fra quelle diacciate tenebre. —Dorme, mormorò il beduino. Lo sveglierò. Battè l'acciarino, accese l'esca e diè fuoco ad una torcia resinosa impiantata nel suolo, la quale illuminò d'una luce azzurognola l'umida caverna che era poco alta e assai ristretta. Là, proprio nel mezzo, sdraiato per terra, sonnecchiava Abd-el-Kerim. L'infelice non era più riconoscibile; incuteva ribrezzo al solo guardarlo. I suoi lineamenti sparivano, si confondevano sotto una gonfiezza livida. Le sue palpebre erano chiuse e intorno agli occhi si disegnavano due larghi cerchi rossastri che parevano due ammaccature. Una bava sanguigna era radunata agli angoli delle labbra, tumide, semi aperte, contratte per lo spasimo ed un abbondante sudore viscoso irrigavagli il volto contrafatto. Tutto il suo corpo era avviluppato da pezzi di tela inumiditi, trattenuti da sottili striscie di cuoio e su di essi strisciavano battaglioni di vermiciattoli, di formiche, di insetti d'ogni specie che si cacciavan in mezzo alle fascie con un brulichìo che incuteva terrore e ribrezzo. Qua e là, sul petto, apparivano dei tumori grossi come un pugno, alcuni dei quali, screpolati, lasciavano vedere la viva carne. Il beduino, nel vedere in quale misero stato era ridotta la sua vittima, erasi arrestato. Una forte commozione si dipinse sui suoi lineamenti, ma durò un sol secondo. Il sarcastico sorriso che mai abbandonava le sue labbra ricomparve e lo sguardo gli diventò assai più cupo. Ebbe persino il coraggio di far risuonare là entro, in quella tomba, uno scroscio di risa che l'eco sinistramente ripetè. Non dimentichiamo che quest'uomo è mio rivale! mormorò egli con un accento dal quale trapelava un implacabile odio. Del resto non morirà. I vermi che serpeggiano sul suo corpo succhiandogli il sangue, un giorno, se ritroverò la mia povera sorella, glieli farò strappar tutti, dovessi misurarmi coll'inviato di Dio!… Si passò tre o quattro volte una mano sulla fronte come per iscacciare un doloroso pensiero e sospirò. Qualche cosa di umido, che affrettossi a tergere, brillò nei suoi occhi. —Povera sorella, bisbigliò. S'avvicinò ad Abd-el-Kerim che dormiva profondamente, lo esaminò per qualche tempo con molta attenzione poi lo punse leggermente in fronte col suo jatagan. Abd-el-Kerim a quella dolorosa sensazione trasalì e svegliossi. Con una mossa improvvisa, nervosa, che gli strappò un lugubre gemito, alzossi a sedere guardando, ma con uno sguardo da ebete, il beduino che gli stava presso. —Chi sei? chiese egli, con voce appena distinta. Il beduino invece di rispondere lasciò cadere all'indietro il cappuccio mettendo allo scoperto il suo volto dalla pelle bianca e coperto inferiormente da una barba nera e inspida. Abd-el-Kerim non fece alcun moto che dinotasse sorpresa o terrore alla vista di quella faccia; senza dubbio non vedeva bene ancora. —Chi sei? tornò a chiedere con voce più fioca —Non mi riconosci adunque? disse lentamente il beduino, facendoglisi ancor più da vicino. Guardami bene in volto, Abd-el-Kerim! Quella voce fece sul prigioniero un gran effetto. Sobbalzò come stato toccato da una palla e le sue unghie sollevarono l'umido terreno. Qual voce!…. esclamò egli con profondo terrore. Qual voce!…. —La riconosci? Abd-el-Kerim non rispose. Con uno sforzo disperato si sollevò sulle ginocchia e avvicinò il suo volto a quello del beduino. Un urlo lacerò il suo petto. —Notis!…. Una commozione terribile lo scosse dalla testa ai piedi. Anelante, convulso, cieco di rabbia, allungò le mani verso il greco, ma le forze gli vennero meno e cadde pesantemente a terra, ripetendo con voce strozzata, indistinta: —Notis!… Notis!… Il greco, poichè era proprio lui truccato da beduino; che caduto nelle mani dello scièk El-Mactud, era passato sotto le bandiere del Mahdi, lo guardò per qualche minuto quasi con compassione. —Sei sorpreso Abd-el-Kerim di rivedermi? chiese dipoi egli, con ironia. Infatti, è abbastanza strano che io sia ancor vivo dopo di essere stato, per la seconda volta, ferito a morte. Si vede proprio che qualche genio, Dio o il diavolo, veglia su di me. È un peccato, non è vero Abd-el-Kerim? L'arabo con gli occhi sbarrati lo guardava fisso fisso non sapendo se era vittima di uno spaventevole incubo o se aveva realmente dinanzi a sè il fratello della terribile Elenka. Ad un tratto le sue labbra s'agitarono come volessero articolare una parola. Il greco che lo osservava attentamente notò quel movimento, anzi indovinò la domanda che pendeva dalle labbra dell'infelice prigioniero poichè la sua faccia assunse un'espressione di diabolica gioia. —Ti comprendo, disse. Tu vuoi interrogarmi in qual modo io sia qui e che avvenne della donna che ti portò disgrazia. Sta zitto che io te lo dirò. Guardò intorno, e visto in un angolo un garah, sorta di vaso di terra cotta che fabbricano le donne del Kordofan, lo rovesciò e si sedette sopra incrociando le gambe alla moda dei turchi. —Abd-el-Kerim, diss'egli, sforzandosi di parere tranquillo, È la seconda volta che noi ci troviamo l'uno di fronte all'altro io libero e tu prigioniero; è la seconda volta che io tengo in mia mano la tua vita ed è la seconda volta che ti risparmio. Sai il perchè? —Non mi curo di saperlo, balbettò l'arabo ancora in preda ad una terribile commozione. Uomo o fantasma, vattene che mi fai ribrezzo, mi fai paura! Non sei adunque ancora contento di aver spezzata la felicità che io avevo raggiunto? Non sei adunque contento di avermi lacerato l'anima, di avere fatto di me l'uomo più sventurato della terra, di avermi fatto straziare le carni, di

Tag: beduino    arabo    volta    labbra    uno    volto    seconda    occhi    terra    

Argomenti: respiro affannoso,    spaventevole incubo,    sudore viscoso,    forte commozione,    sarcastico sorriso

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