La favorita del Mahdi di Emilio Salgari pagina 72

Testo di pubblico dominio

—Perchè ingannarti? —Ma sai che non ti credo? Tu odi quell'uomo e vuoi perderlo. —Sicuro che l'odio, ma ti giuro che dico la verità. —Lo giureresti sull'Alcorano! —Lo giurerei. Ahmed si slanciò verso la tenda e tornò subito con un libro dalle pagine d'oro sulle quali vi erano incisi dei versetti. Era il libro sacro dei maomettani, il Corano. Questo Corano chiamato più comunemente Alcorano, oppure Al Torkan, Al Dhikr o anche Al Kitab è il codice fondamentale delle leggi sì civili come criminali dei maomettani. Esso è una collezione di tutti i frammenti che Maometto, durante il tempo della sua supposta missione, promulgò successivamente come tante rivelazioni del cielo, ciascuna parte delle quali, secondo i Mussulmani, fu scritta dinanzi al trono di Dio con una penna di luce, sulla tavola dei suoi eterni decreti e di cui una copia fu recata in terra e rivelata a Maometto dall'angelo Gabriele. È diviso in 114 capitoli che portano la data della Mecca e di Medina, e sono chiamati questi capitoli sura. Furono raccolti da Said-ben-Thabet schiavo di Maometto e uniti in libro da Abù Bekr due anni dopo la morte del profeta avvenuta il XIII secolo dell'egira (652 anni avanti Cristo). Sette sono i principali testi del Corano: due di Medina, uno della
Mecca, uno di Cufa, uno di Bassora, uno di Siria e l'Alcorano volgare.
Uno contiene 6000 versetti, gli altri 6200 e anche 6236, ma tutti contano 77,639 parole e 323,015 lettere. Ahmed lo aprì dinanzi al beduino e gli disse: —Giura su l'Alcorano che hai detto la verità. —Giuro! gridò il beduino senza esitare. —Sta bene; ora so cosa devo fare dell'uomo che osò amare la favorita dell'inviato di Dio. —Ahmed! Quell'uomo è mio! me l'hai promesso. —Non temere che io manchi alla parola data. Ho promesso che te lo darò vivo, ma prima gli strazierò le carni e farò scorrere ai suoi piedi rivi di sangue. Va, e che Allàh ti guardi!… CAPITOLO V.—La tortura. I noggàra battevano la sveglia, quando venticinque guerrieri della guardia di Ahmed Mohamed, armati sino ai denti, circondavano il tugul occupato da Abd-el-Kerim. Una folla considerevole di Abù-Rof, di baggàra, di beduini e di foriani, si era radunata all'intorno chiedendosi cosa volessero fare quei venticinque guerrieri al nuovo sceicco, salvato il giorno innanzi dall'inviato del Signore. Il capo dei guerrieri, dopo di avere appostati i suoi uomini all'ingiro, in modo da impedire ogni scampo, entrò nel tugul colla scimitarra in pugno e con una cert'aria che pareva tutt'altro che rispettosa e pacifica. Abd-el-Kerim stava appunto alzandosi allora dal l'angareb sul quale aveva dormito. Vedendo quell'uomo piantarglisi minacciosamente dinanzi, squadrandolo con occhio torvo, non potè dissimulare un gesto di sorpresa. —Che vuoi? gli chiese, sforzandosi di mostrarsi tranquillo. Seguimi, rispose il capo bruscamente. —Chi mi vuole? —L'inviato del Signore. Abd-el-Kerim trasalì. Nel suo cervello balenò un terribile sospetto, il sospetto che qualcuno lo avesse tradito, che lo avesse denunciato per l'amante di Fathma. Sentì il sangue gelarsi nelle vene e mancare lo forze. —Che vuole da me Ahmed? chiese egli con ispavento. —L'ignoro. Mi disse di condurti da lui vivo o morto e io ti condurrò. —Ma cosa è accaduto per trattarmi peggio di un nemico? —Non ne so nulla. Ahmed deve avere le sue buone ragioni. —Si è ingannato. —È impossibile! esclamò il guerriero con profonda convinzione. Ahmed è infallibile. —Una parola ancora. Hai veduto qualche straniero entrare nel tugul del profeta? —Sì, questa notte sono entrati due uomini e uno di essi non l'aveva mai visto al campo. —Ah!… —Seguimi. Ahmed non è uomo da aspettare molto. Abd-el-Kerim, pallidissimo, voleva cingere la scimitarra regalatagli la sera innanzi dal Mahdi, ma il guerriero gliela strappò di mano spezzandola. —Sei prigioniero, e i prigionieri non devono essere armati, gli disse. Lo afferrò bruscamente per un braccio e lo trasse a forza fuori dal tugul. I suoi uomini lo circondarono colle pistole e gli jatagan in mano; facendogli capire che al primo tentativo di fuga gli avrebbero fatto saltare le cervella. —Sono perduto! pensò lo sventurato arabo. Qualcuno mi ha tradito. Chi?… Che farò mai io se mi si gettasse in faccia la tremenda accusa che io fui l'amante di Fathma? «Che farà di me Ahmed che si mostrò così feroce così implacabile parlando di quella donna!… Allàh! Allàh! quando la finirai tu di perseguitarmi? Non ti basta adunque di avermi privato di colei che tanto amavo, di avermi infranto il cuore?… Vuoi adunque anche la mia morte? Un sordo gemito gli uscì dalle labbra; gettò uno sguardo disperato all'intorno, forse meditando una fuga che era assolutamente impossibile. Non vide che una turba di guerrieri che lo serrava strettamente, guardandolo con occhi torvi e minacciosi. Sulle labbra di alcuni errava un atroce sogghigno, un sogghigno di soddisfazione. Tutti, lo si vedeva, comprendevano che il nuovo sceicco era caduto in disgrazia e si compiacevano di tale avvenimento. Maledetti! mormorò l'arabo. Chinò il capo sul petto e si rinchiuse in cupi pensieri. Non lo rialzò che quando si trovò dinanzi al tugul di Ahmed, attorno al quale si era radunata una intera tribù di baggàra. In mezzo ad essa egli scorse un beduino ammantellato che si coprì il volto con un lembo del taub. Abd-el-Kerim, senza sapere proprio il perchè, tremò tutto e fissò involontariamente gli occhi su quell'uomo che affrettossi a confondersi fra i negri. Fu fatto entrare nel tugul e lasciato solo. Le prime cose che colpirono il suo sguardo furono un palo che era rizzato in mezzo alla stanzuccia, un rotolo di strisce di pelle e un braciere ardente sul quale arrossavano alcuni jatagan d'una forma speciale. —Oh! esclamò l'infelice che sentì corrersi per le ossa un brivido. Volle dare indietro ed uscire, ma non ne ebbe il tempo. Ahmed entrò colla fronte abbuiata, gli occhi accesi da una cupa fiamma, le braccia incrociate convulsivamente sul petto. Abd-el-Kerim fece involontariamente un passo indietro. Si sa che era coraggioso, ma nel vedersi dinanzi quel possente uomo, che con un cenno poteva far rotolare ai suoi piedi mille teste, così cupo, così minaccioso, ebbe paura. Per alcuni istanti nella capanna regnò un profondo silenzio, rotto solamente dagli scoppiettii del braciere che arrossava gli istrumenti di tortura. Pareva che Ahmed provasse una feroce compiacenza delle tremende angoscie della vittima. —Siedi! disse ad un tratto, accennandogli l'angareb. L'uomo ubbidì macchinalmente senza aprire bocca. —Abd-el-Kerim, continuò Ahmed, con un tono di voce che tradiva la collera che ruggivagli in petto, frenata solamente da uno sforzo straordinario. Sai perchè ti feci arrestare e tradurre qui come un prigioniero? —Come vuoi che io lo sappia, disse l'arabo che comprese subito l'immenso pericolo che correva e che la sua vita era appesa ad un semplice filo. Un sogghigno beffardo, simile a quello di una iena che si dispone a divorare la preda, contorse le labbra del terribile Profeta. —Sei certo di non saperlo? chiese. —Ma perchè tale domanda? Spiegati, Ahmed. —Perchè sei così agitato? La tua coscienza non è tranquilla,
Abd-el-Kerim.
—Non è vero! T'inganni! Ahmed scattò in piedi colla vivacità di una tigre. Gli si avvicinò, gli posò le mani sulle spalle e gli disse con aria tetra: —Tu tremi!…. perchè tremi? Perchè la tua coscienza non è tranquilla? Perchè il tuo cuore non batte quasi più?… Perchè il tuo sguardo è smarrito?… Non negarlo a me che leggo nel più profondo dei cuori, non negarlo a me che leggo i tuoi pensieri, Tu sai la terribile accusa che gravita sul tuo capo e tremi, tremi. Abd-el-Kerim, cinereo, tremante, alterato, spaventato, non rispose. Non si sentiva capace di allontanare la terribile accusa che doveva perderlo. Egli si chiedeva solamente chi era il miserabile che lo aveva tradito.

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Argomenti: sordo gemito,    libro sacro,    feroce compiacenza,    terribile accusa,    codice fondamentale

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