Marocco di Edmondo De Amicis pagina 34

Testo di pubblico dominio

benchè facciano uso, miracolo! del sapone. Nei ritagli di tempo molti giocano alle carte, e quando non giocano, un gran divertimento degli uomini è di stendersi supini in terra e di sballottare i loro bambini; per i quali però si raffreddano via via che diventan grandi, e così è dei figliuoli per loro. Molti di questi figli del duar, giungono all’età di dieci o quattordici anni senz’aver mai visto una casa, ed è curioso il sentir raccontar dai mori o dagli europei delle città, che li prendono al proprio servizio, lo sbalordimento che provano entrando per la prima volta in una stanza: come palpano le pareti, come pestano il pavimento, con che viva emozione s’affacciano alle finestre e ruzzolano giù per le scale.—Gli avvenimenti principali, in questi villaggi erranti, sono i matrimoni. I parenti e gli amici della sposa, con grande strepito di fucilate e di grida la conducono, seduta sulla groppa d’un cammello, al duar dello sposo, ravvolta in una cappa bianca o turchina, tutta profumata, colle unghie tinte di henné e le soppraciglia nere di sughero bruciato, e per lo più ingrassata, per quell’occasione, con un erba particolare chiamata ebba, di cui fanno grande uso le ragazze. Il duar dello sposo, dal canto suo, invita alla festa i duar vicini, da cui accorrono spesso cento o duecento uomini a cavallo, armati di fucile. La sposa scende dal cammello dinanzi alla tenda del suo futuro marito, siede sopra una sella infronzolita e infiorata, ed assiste alla festa. Mentre gli uomini fanno il giuoco della polvere, le donne e le ragazze, disposte in circolo davanti a lei, saltellano al suono d’un tamburo e d’un piffero, intorno a un caic disteso in terra, nel quale ogni invitato, passando, butta una moneta per gli sposi, e un banditore annunzia ad alta voce l’offerta, facendo un buon augurio all’oblatore. Verso sera, il ballo cessa, i fucili tacciono, tutti siedono in terra, vengon portati enormi piatti di cuscussù, polli arrosto, montoni allo spiedo, tè, dolci, frutta; e la cena si prolunga fino a mezzanotte. Il giorno seguente, la sposa vestita di bianco, con una ciarpa rossa stretta intorno al viso, che le nasconde la bocca, e il cappuccio tirato sul capo, accompagnata dai parenti e dagli amici, va per i duar vicini a raccoglier un’altra volta denaro. E dopo questo, lo sposo ritorna ai campi, la sposa va alla macina, e l’amore vola via. Quando uno muore, ripetono le danze. Il parente più prossimo del defunto ne ricorda le virtù; gli altri, affollati intorno a lui, danzano con gesti e atteggiamenti dolorosi, si coprono di fango, si graffiano il viso, si stracciano i capelli; poi lavano il cadavere, lo ravvolgono in una tela nuova, lo portano, sopra una barella, al cimitero, e lo sepelliscono appoggiato sul lato destro, col viso rivolto a oriente.—Questi sono i loro usi e i loro costumi, per dire così, patenti; ma gl’intimi chi li conosce? Chi può seguire i fili di cui s’ordisce la trama della vita d’un duar? Chi può sapere come parla il primo amore, come s’intrica il pettegolezzo, in che strana forma, con che strani accidenti si producano e lottino l’adulterio, la gelosia, l’invidia; che virtù brillino, che sacrifizi si compiano, che abbominevoli passioni imperversino fra quelle pareti di tela? Chi può rintracciare l’origine delle loro favolose superstizioni? Chi può chiarire quel bizzarro miscuglio di confuse tradizioni pagane e cristiane: le croci segnate sulla pelle, la vaga credenza ai satiri di cui trovano le orme forcute sulla terra, la bambola portata in trionfo al primo spuntare del grano, il nome di Maria invocato in soccorso delle partorienti, le danze circolari che rammentano i riti degli adoratori del sole?—Una sola cosa loro è certa e manifesta: la miseria. Vivono degli scarsi prodotti della terra mal coltivata, scemati ancora da imposte gravissime e mutevoli, riscosse dal Sceicco, o capo del duar, eletto da loro e direttamente sottoposto al Governatore della provincia. Rimettono al Governo, in danaro o in natura, la decima parte del raccolto, e una lira in media per ogni bestia. Pagano cento lire l’anno per ogni tratto di terreno corrispondente al lavoro di due buoi. Fanno al Sultano, nelle principali feste annuali, un regalo obbligatorio, che equivale presso a poco a un’imposta di cinque lire per tenda. Sborsano denaro o forniscon viveri, ad arbitrio dei governatori, quando passa il Sultano, un pascià, un’ambasciata, un corpo di soldati. Oltre a ciò, chiunque abbia denari è esposto alle estorsioni dei Governatori, non velate, non scusate da alcun pretesto, ma sfacciatamente violente. Aver fama di agiato è una sventura. Chi ha un piccolo peculio, lo sotterra, spende di nascosto, finge la miseria e la fame. Nessuno accetta in pagamento uno scudo annerito, anche se è certo che sia buono, perchè può parer levato di sotto terra e mettere in sospetto chi dà la caccia ai tesori. Quando un agiato muore, i parenti, per scongiurare la rapina, offrono un regalo al Governatore. Offrono regali per chieder giustizia, per prevenire le persecuzioni, per non esser ridotti a morir di fame. E quando finalmente la fame li strazia e la disperazione li accieca, disfan le tende, impugnano i fucili e lanciano il grido della rivolta. Che succede allora? Il Sultano sguinzaglia tremila furie a cavallo a seminare la morte nel paese ribelle. Questi tagliano teste, predano armenti, ruban donne, incendiano messi, riducon la terra un deserto coperto di cenere e di sangue, e ritornano ad annunziare alla reggia che la ribellione è domata. Se poi la ribellione si allarga, e mandando a vuoto le arti con cui il Governo tenta di smembrarne le forze, disperde gli eserciti e riman padrona del campo, che vantaggio ne ricava, fuorchè quei brevi giorni di libertà guerresca, che le costan migliaia di vite? Eleggeranno un altro Sultano, e provocheranno una guerra dinastica tra provincie e provincie, a cui terrà dietro un dispotismo peggiore; ciò che da dieci secoli accade. La mattina del 10 la carovana si mise in cammino, all’alba, accompagnata dai trecento cavalieri dei Beni-Hassen e dal loro Governatore Abd-Allà, servo di Dio. Per tutta quella mattina si continuò a camminare in pianura, in mezzo a campi d’orzo, di grano e di saggina, interrotti da grandi spazi coperti di finocchio selvatico e di fiori, e sparsi di gruppi d’alberi e di tende nere, le quali di lontano presentavano l’aspetto di quei grandi mucchi di carbone che si vedono tratto tratto per la maremma toscana. Incontravamo più sovente che nei giorni innanzi, armenti, cavalli, cammelli, brigatelle d’arabi. Lontano, dinanzi a noi, si stendeva una catena di monti d’un color cenerino delicatissimo, e a mezza distanza, fra i monti e la carovana, biancheggiavano due cube, la prima illuminata dal sole, la seconda, visibile appena. Erano le cube di Sidi-Ghedar e di Sidi-Hassem, fra le quali passa il confine della terra dei Beni-Hassen. Presso alla cuba più lontana si doveva piantare quel giorno l’accampamento. Molto prima però di giungere al confine, il Governatore Sidi-Abd-Allà, che fin dal momento della partenza pareva pensieroso e irrequieto, si avvicinò all’Ambasciatore e fece cenno di voler parlare. Mohamed Ducali accorse. —L’Ambasciatore d’Italia mi perdonerà—disse il fiero Governatore—se io oso domandargli il permesso di tornar indietro colla mia scorta. L’ambasciatore domandò perchè. —Perchè,—rispose Sidi-Abd-Allà corrugando i suoi grandi sopraccigli neri,—la mia casa non è sicura. Nientemeno! pensammo noi. A due miglia di distanza! Che delizia di mestiere ha da essere quello di governare i Beni-Hassen! L’Ambasciatore acconsentì; Sidi-Abd-Allà gli prese la mano e se la strinse sul petto con una energica espressione di gratitudine. Ciò fatto, voltò il cavallo, e quella turba variopinta, cenciosa, terribile, slanciati i cavalli a briglia sciolta, in pochi momenti non fu più che un nuvolo

Tag: terra    sposa    sultano    grandi    governatore    tratto    uomini    due    fame    

Argomenti: grande strepito,    erba particolare,    particolare chiamata,    bizzarro miscuglio,    nessuno accetta

Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina:

Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni
Ricordi di Parigi di Edmondo De Amicis
Decameron di Giovanni Boccaccio
Fior di passione di Matilde Serao
Garibaldi di Francesco Crispi

Articoli del sito affini al contenuto della pagina:

Come adottare una tartaruga
Guadalupa, l'acqua cristallina del mare dei Caraibi
Vacanze Estate Savona
Bonifacio, la perla dell'estremo sud
Offerta capodanno alle Hawaii


<- precedente 1   |    2   |    3   |    4   |    5   |    6   |    7   |    8   |    9   |    10   |    11   |    12   |    13   |    14   |    15   |    16   |    17   |    18   |    19   |    20   |    21   |    22   |    23   |    24   |    25   |    26   |    27   |    28   |    29   |    30   |    31   |    32   |    33   |    34   |    35   |    36   |    37   |    38   |    39   |    40   |    41   |    42   |    43   |    44   |    45   |    46   |    47   |    48   |    49   |    50   |    51   |    52   |    53   |    54   |    55   |    56   |    57   |    58   |    59   |    60   |    61   |    62   |    63   |    64   |    65   |    66   |    67   |    68   |    69   |    70   |    71   |    72   |    73   |    74 successiva ->