La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 80

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spogli? Ella diceva queste parole con una voce assonnata, che trascinava le sillabe con ambiguità, quasichè fosse molto stanca, troppo stanca, e non volesse dormire altrove che nelle sue braccia. Poich'egli non rispondeva, gli mise una mano tra i capelli: — Non vuoi dormire vicino a me? No?... Perchè non vuoi? Gli toccava la fronte, le tempie, gli occhi, le guancie, la gola. — Non sai com'è tardi, amore?... Perchè non hai sonno? Perchè ti stanchi? Le forcine, che le davan noia nella capigliatura, se le tolse ad una ad una, posandole sul marmo del tavolino. Producevan cadendo un rumore sottile, come di spilli sul vetro. Nel muovere la mano faceva brillare contro il lume il suo rubino meraviglioso. Con le dita, come con un pettine, si ravviava i capelli disciolti. — Se tu non ti córichi vicino a me, sai che non dormo... Spógliati... Allora gli disfece la cravatta, e col braccio nudo gli ricinse il collo, attraendolo in modo che la bocca dell'amante s'immerse nella sua gola. Egli cominciò a baciarla piano piano, ed ella con le dita irrequiete si snudava il petto. Irritata, s'aggrappò alle sue spalle, si torse, affondando il capo nel cuscino, sollevando il grembo, tendendo alla sua bocca l'àpice dei seni erti. — No, no... spógliati!... — ripeteva. La sua voce era quasi gemente; con le dita irrequiete lo molestava come se volesse batterlo; era tutta inarcata; il suo grembo si offriva; le pianelle caddero. Ma con ira egli divelse da quel bacio la sua bocca ansante, sollevò il corpo su le due braccia tese: gli occhi suoi bruciavano di febbre, il suo viso era terribilmente contraffatto, i suoi polsi tremavano. — Vuoi, — disse repentinamente, — vuoi che facciamo una cosa?... Ella si rovesciò indietro, abbandonata, con un semiriso d'affanno e di piacere su la bocca; lo guardava traverso il vapore de' suoi occhi sperduti, senza ben comprendere quel che l'amante le diceva. — Quale cosa? — mormorò. — Che andiamo insieme a rivedere la camera di Giorgio? Ella trattenne un grido, rivolse la faccia nel cuscino, gli puntò con forza una mano contro la gola, per respingerlo da sè, quasi volesse punirlo di quella orribile celia. — Sei pazzo, Andrea?... Andrea! Ma egli rideva malvagiamente, e lasciatosi cader sui gomiti raccolse il capo di lei fra le sue mani, con tutta la capigliatura. — Non sono pazzo, no! Guárdami! Ella fissò gli occhi, troppo grandi, ne' suoi: con gli occhi lo ascoltava. — Ti amo, Novella! ti amo più che mai!... più che mai!... — le diceva scuotendole il capo; affondando le falangi nel tepore della sua nuca morbida. — Eppure, chissà, fra un'ora, fra un momento... non sarai più mia! Balbettava queste parole, curvo sulla bocca di lei, quasi piangendo, e le serrava il collo con i polsi, nei quali sentiva battere la veemenza del dolore che pativa. — Andrea, cosa dici?... non so cosa dici? Ma no! ma no!... Egli scuoteva il capo, e scuoteva lei pure, duramente, facendole male. — Ascóltami bene... cerca di bene comprendere questa orribile cosa... Mentre ti amo come un pazzo, bisogna che mi provi a perderti! Mentre ti amerò ancora, e sempre, fino alla disperazione... tu, forse, mi odierai! Amore, amore mio, puoi comprendere? Mi ascolti?... Le abbandonò il capo, la sollevò intera fra le braccia, la strinse convulsamente, gli si empiron gli occhi di lagrime: poi rise. Anch'ella piangeva, lentamente, senza saperne il perchè. — Non importa se dopo mi odierai... Ma devi sapere una cosa che non posso più tacerti. È venuta l'ora nella quale ci dobbiamo conoscere interamente. Non importa se griderai... Solamente lasciami parlare! parlare! perchè ti amo, e sono pazzo... e tu devi essere al pari di me, pazza, pazza!... Nel convulso, ella pure singhiozzava, stremata, soffocata, stringendosi forte alla sua persona come in uno spasimo di voluttà. Allora egli si tese, fece un arco di tutta la sua forza, dai calcagni alla fronte, cercando quasi d'imprigionarla nel suo amore terribile; poi le disse con ira: — Solamente ricórdati questo: — se dopo mi odii, e mi abbandoni, e sei d'un altro, e ti lasci baciare da un altro... io t'uccido! t'uccido! t'uccido... come ho già fatto un'altra volta! E ricaddero avviluppati nella profonda coltre. Poi, nel dubbio che non avesse bene inteso, ripetè, scandendo le sillabe: — Come ho già fatto un'altra volta. Ella era così stordita e soverchiata dalla sua violenza, che, invece di rispondergli, cominciò nervosamente a ridere. — M'hai bene inteso?... Perchè ridi? Ma senz'attendere la risposta, egli, d'un balzo, fu in piedi, si curvò su l'amante, le disse: — Guarda: con queste mani ho ucciso! Gli occhi di lei, stupefatti, si avvinsero alle sue mani, divenendo a poco a poco enormi, vuoti, fermi. — Chi?... — fecero le sue labbra, dopo un lungo silenzio. — Giorgio! Ella, ch'erasi un po' sollevata, si rovesciò indietro, nel solco dei guanciali, come se le avessero rotto il cuore. Le sue mani sperdute brancolarono, quasi per respingere un'ombra; poi, atterrita, si strinse i pugni contro la fronte. — Allora... — mormorò senza fiato, — allora è proprio vero... — Sì, è vero, — egli rispose, ben forte. Ecco: aveva l'impressione d'essersi sparato nel cervello e d'aspettare che la morte cominciasse nelle profonde sue vene. Invece una calma subitanea, una lievità sorprendente gli pervase a poco a poco lo spirito. La vita cominciava un'altra volta, dopo un'attimo d'interruzione. Allora tolse una rosa dal bicchiere, la odorò forte, ne morse il gambo coi denti. Poi fece una riflessione veramente futile, e cioè che quello stelo aveva un sapor brusco, dissimile dal profumo della rosa, e che inacidiva la sua bocca leggermente, come il sapore d'un frutto acerbo. Poi, guardando l'amante, s'accorse che sotto le sue braccia sollevate un seno magnifico ed inverecondo le sbocciava dalla camicia di batista. Lo guardò senza lussuria, come si guarda curiosamente la nudità di un bimbo. Insieme volle conoscere cosa ella sentisse per lui dopo quelle parole irrevocabili, e paurosamente si provò a toccarla. Poichè rimase ferma, una oscura tentazione lo spinse al desiderio di darle ancora un bacio. Su la sua fronte, sopra i suoi pugni serrati, pose le labbra cautamente. — Guárdami! Ella infatti lasciò cadere le braccia, e, pallida come non era mai stata, con tutta l'anima lo guardò. Allora fu egli stesso ad aver quasi paura di quegli occhi; lento, muto, curvo, si ritrasse. La rosa caduta si schiacciò sotto il suo piede. — Andrea... Ma, nel parlare, la mascella le tremava d'un irresistibile tremito; una sensazione di freddo le traversò tutto il corpo; macchinalmente si ricoverse. — Andrea, sì, mi ricordo... Una volta mi hai detto: «Così e più forte...» «Così e più forte...» Queste due parole: — «più forte» — mi sono rimaste nella memoria come una promessa funesta e grande. Anche tu forse te ne ricordi... Ma, guarda come tremo... Dammi, dammi uno scialle!... Egli cercò per intorno senza veder nulla; poi prese il piumino di seta sul quale poltrivano i suoi piedi scalzi e le fasciò il corpo. Nello stenderle sotto il mento la seta lucida e soffice, premeva un po' le dita per toccare la sua gola, e per farle sentire che la toccava, quasi provasse una singolare gioia nell'accorgersi che gli era tuttavia lecito carezzarla come un amante. Ella chiuse gli occhi senza guardarlo, rannicchiò sotto la vestaglia i piedi scalzi, e rimase in quella supinità, ferma, addormentata. Andrea, ritto in piedi, assiderato in una specie di attesa immobile, ascoltava dentro di sè, fuori di sè, il volo del tempo. Gli parve di nuovo che la vita cominciasse in quell'ora, ma fosse di una lentezza esasperante, cupa, monotona, quasi ferma. Sul tavolino da notte, fra la lampada e il bicchiere, un piccolo orologio d'oro batteva i minuti secondi; nell'indugio del suo tempo interiore quella velocità lo

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Argomenti: braccio nudo,    seno magnifico,    singolare gioia,    piccolo orologio,    tempo interiore

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