La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 26

Testo di pubblico dominio

tremare anche nel risolvere con semplicità il più grande problema che sia mai sorto nella coscienza d'un uomo. Sono un medico, la mia missione è di salvare: non dovrei poter uccidere. Tuttavia, più d'una volta, ebbi la tentazione di fare spontaneamente quello che oggi mi chiedi, per liberare una vittima dalle crudeltà oziose della morte. Se non lo feci, fu per seguire un pregiudizio, per non saper vincere quella sensazione che odio: la paura. Tempo fa, quando non ero colpevole, se tu mi avessi fatta la medesima domanda, ebbene ti avrei risposto chiaramente: «Hai ragione: devi decidere così. Ti aiuto.» Ma ora c'è qualcosa fra noi che me lo impedisce. La vita di un altro, si può rubarla, prenderla a tradimento forse... ma riceverla in dono come tu me l'offri, no! — Andrea, non ragionare!... Noi siamo venuti a quell'ora dove il ragionamento più non regge. Hai dinanzi a te un uomo che ti fu caro, al quale fosti caro, e che soffre, soffre orribilmente... Quest'uomo, con l'anima sua più viva, ti dice: «Senti: ho finita la strada, voglio sparire.» Dunque non discutere. La mia decisione ormai è presa: mi ucciderei da me, in ogni caso, perchè, se tu potessi anche salvarmi come hai fatto per tante creature malate, non mi daresti che il mezzo di soffrire più lungamente. Quello che si chiama l'irreparabile, nè tu nè io potremmo sanare mai più. Invece, tu che sei stato il mio compagno nel mondo, aiùtami!... aiùtami ancora una volta: ho bisogno di te. Voglio andarmene senza insanguinare la casa dove non fui che un ospite, andarmene senza mettere una corona di spine sotto il velo della vedova che lascio... Rimanga fra me e te un segreto: noi fummo abbastanza forti per portarlo sul cuore. — Sai cos'hai fatto? — esclamò Andrea cupamente. — Mi hai messo davanti agli occhi uno specchio e mi hai detto: «Guàrdati!» Ecco, mi vedo; e sono orrendo! — No, sei vivo e difendi la tua vita: questa è la sola differenza fra noi. — Ma perchè ti uccidi, tu che sei credente? — lo interruppe di nuovo Andrea, quasi cercasse di opporre ostacoli al compimento di quell'atto che si rendeva necessario. — La mia fede è un'altra, — Giorgio rispose con serenità; — il mio Dio non è crudele. Guardava in alto, come già lontano, già libero da tutte le impurità che insozzano il cuore degli uomini, e gli splendeva nelle iridi azzurre la limpida visione della sua pace ultima, la tranquilla certezza in una fede sua, più grande, più intima, che la predicazione di ogni chiesa. Poi gli tese le due mani, come per un commiato: — Addio... forse mi sei stato più caro che tutto nel mondo... e mi sarai più fedele, se m'aiuti. L'avversario illividì. Ora, nella sua carne innervata d'acciaio, ripalpitava il cuore dell'uomo, il cuore fragile che s'impaura e che trema, il cuore pieno di gemiti, che si commuove davanti alla bontà. Su le labbra gli venne una confessione, l'ultima, la più disperata, e fu per dirla: — Senti... Giorgio... Ma un istinto supremo contenne la sua voce, gli ricacciò nel cuore le parole che ne traboccavano, e pensando all'amante, alla quale «doveva il suo delitto», mormorò a fior di labbro, come per chiederlo a sè stesso: — Chi l'avrà amata più forte? Ella s'interpose fra loro, bella com'era, vestita del desiderio d'entrambi, e sentiron ciascuno la sua presenza invisibile, soffersero di lei come se li toccasse con il suo corpo discinto. Poi Giorgio disse: — Tu forse, poichè rimani, mentr'io fuggo. E sopra tutto perchè è tua. Una memoria di lei trascorse nelle lor vene, sentiron che si apriva tra loro un abisso perpetuo, vasto come la morte. Ancora tacquero, ed attesero, come se nell'indugio fosse una speranza imprevedibile. I loro pensieri correvano con isfrenata velocità per il più vasto campo che vi sia da percorrere, cioè dalla vita alla morte, dal principio alla fine d'una esistenza umana. — Dunque? — disse Giorgio dopo un lungo silenzio. L'altro attese innanzi di rispondere: cercava in sè un rifugio contro la sua medesima volontà. Infine disse: — Una sola domanda, Giorgio. Oseresti fare per me quello che ora mi chiedi? — Se ciò valesse meglio che offrirti la mia stessa vita, sì, lo farei. — Ma per compiere un simile atto bisogna esserne degni! — Poi soggiunse brevemente: — Potrei non esserlo più. L'anima, ne' suoi occhi, si accusava con una disperata sincerità. — Se devi sorpassare un ostacolo di più, vuol dire che mi offri un dono più grande. — Ma, Giorgio... — egli balbettò con angoscia, — se Novella... se io... se qualcosa che tu non sai... mi tiene alla vita, m'incatena, m'impedisce di punirmi con la stessa mano che t'aiuta, se... — Taci, taci... Vi sono silenzi che debbono continuare anche oltre la morte. Una sola cosa mi devi: ubbidirmi, e poi vivere, perchè nessuno lo sappia. D'improvviso, come se gli balenasse nel cervello un tragico lampo, l'avversario guardò in faccia la morte. — Sì? lo vuoi?! — esclamò. Colui che fu nella vita il suo fratello senza colpa gli posò una mano sulla spalla, come avrebbe fatto nel posarla sulla pietra d'un reconditorio, e disse: — Tutta la mia vita mi sia testimone della risposta: «Sì, lo voglio!» L'avversario lo prese ai polsi, lo serrò convulsamente: — Sia! Poi si volse: l'armadio carico di boccali traluceva nell'ombra; su la tavola ingombra, il fascio del riflettore traeva barbagli dalle boccette di cristallo, dagli aghi d'acciaio, rilucentissimi. Il medico, muovendosi a scatti, veloce, attento, ruppe col pòllice la chiusura ermetica di due boccette, ch'eran sottili come cannule di vetro; ne mescolò alcune gocce in un piattello concavo, dove c'era un dito d'acqua, e lentamente, serrando i labbri, ne riempì la siringa. Il liquido, salendo nel tubo di vetro, diede uno sprazzo iridato, simile ad un piccolo sole rosso e livido, che si spense quando fu al sommo. Allora il medico scosse la siringa per mescerne il contenuto e l'esaminò due volte contro il lume. L'ago minutissimo portava su la punta una scintilla. Poi la depose su l'orlo della tavola e la guardò. La guardò come se fosse ormai solo, come se l'irremediabile fosse già compiuto. Il morituro s'avvicinò lentamente; senza paura, ma lentamente... — È questo il veleno? E sopra vi pose un dito, come per toccare la morte. Parlava automaticamente, con un riso a fior di labbro. Il medico assentì con un cenno del capo, mentre affascinati guardavano entrambi la siringa lucente, colma di un liquido senza colore, innocuo, limpido come l'acqua. L'uomo che doveva morire snudò il braccio sinistro rimboccando la manica lentamente: poi torse il viso, la bocca gli si fece obliqua, e prese la siringa fra due dita. — Che fai? che fai! — gridò l'altro per istinto, soffermandolo. Egli rise, ma d'un riso gutturale, stranamente simile a quello di Marcuccio quando finiva la sua Canzone. — Guarda: e non trema... — disse. Accennava al suo braccio arido, giallastro, proteso contro il lume, e che tremava tuttavia. Egli non vedeva quel tremore, l'altro sì. — Senti, Giorgio... — balbettò l'avversario. — Come si fa?... — domandava ridendo quegli ch'era presso a morire. — Senti, Giorgio... Giorgio!... — Come si fa?... — Così! Rapidamente gli tolse la siringa di mano, e con orgoglio, con la fronte alta, come parlasse a' suoi giudici invisibili: — Io! — disse — io debbo finire di ucciderti, non tu! Non tu, con la tua mano, ma con la mia — guarda! — e anch'essa non trema! Gli teneva strettamente il polso, aveva l'ago pronto a pungere su la pelle rabbrividita, irta del suo pelo, cupa, fra i tendini tesi. Poi diede un colpo forte e schizzò dentro il veleno. — Ahi!... come fa male... ahi!... dille... E girò, in deliquio, sui calcagni, urtando contro la tavola, rovesciando il riflettore, che si spense. Colui ch'era stato il suo fratello ed il suo nemico nel mondo lo sollevò di peso su le

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Argomenti: braccio sinistro,    cuore pieno,    vasto campo,    grande problema,    cuore fragile

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